XVIII Congresso della Cgil
Landini eletto segretario della Cgil sulla linea riformista, collaborazionista ed europeista della Camusso
Propone un "nuovo sindacato confederale unitario", ma quello che occorre è un sindacato dei lavoratori e dei pensionati basato sulla democrazia diretta. Nemmeno una parola contro il capitalismo, non respinge il patto per il lavoro proposto dalla Confindustria per la competitività, non chiede l'abbattimento del governo nero Salvini-Di Maio
Dopo un lunghissimo percorso si è tenuto a Bari nei giorni dal 22 al 25 gennaio l'atto conclusivo del 18° Congresso nazionale della Cgil, il più grande sindacato italiano e uno dei più forti in Europa, con oltre 5 milioni di iscritti. Le prime assemblee di base, quelle nei luoghi di lavoro, erano iniziate nell'estate 2018 anche se i primi passi erano stati fatti ancora prima; complessivamente possiamo dire che tutto l'iter congressuale e durato quasi un anno. Un periodo in cui sono successe molte cose a livello politico-sindacale, compreso l'insediamento del governo nero fascista e razzista Salvini-Di Maio.
Un congresso descritto come unitario, cioè con un solo documento e una sola candidatura alla carica di segretario generale, ma che poi i fatti hanno dimostrato non essere così. Anzitutto perché un secondo documento alternativo è stato presentato e, pur avendo ottenuto solo il 2,1% dei consensi, tra cui quelli dei marxisiti-leninisti, ha portato fino in fondo una posizione molto critica verso la dirigenza uscente della Cgil e una visione democratica del sindacato.
Riguardo al nuovo segretario, la Camusso, con una mossa inusuale, aveva candidato Maurizio Landini, lanciato come leader gradito a tutte le categorie della Confederazione. Invece ad un certo punto si è “auto candidato” Vincenzo Colla, anche questa una mossa al di fuori della prassi consueta della Cgil, che ha provocato una spaccatura tra le varie sigle di categoria. Poi all'ultimo tuffo e stato trovato un accordo interno e Landini è stato eletto segretario come previsto mentre Colla è diventato il suo vice.
La data del congresso coincideva con la scadenza del secondo mandato (il massimo consentito) del segretario in carica, che per statuto doveva forzatamente lasciare la guida della Cgil. In ogni caso la Camusso abbandonerà la segreteria ma rimarrà nell'organico in veste di esperta di questioni internazionali, dopo che è tramontata la sua candidatura a capo dell'organizzazione mondiale dei sindacati ITUC-CSI, dove è stata confermata l’australiana Sharan Burrow.
Il saluto della Camusso
Nella sua ultima relazione in veste di segretaria generale, la Camusso pur senza portare grandi affondi nei confronti dell'esecutivo, ha criticato la Manovra, in special modo il Reddito di Cittadinanza e Quota 100 che non rappresentano né la riduzione della povertà, né il superamento della Fornero, e la mancanza di un piano di sviluppo per il Mezzogiorno. In relazione alla mobilitazione contro la politica economica del governo ha ricordato la prossima manifestazione del 9 febbraio a Roma.
Accanto a queste ci sono state prese di posizione assolutamente da respingere. La Camusso ha chiesto a gran voce la ripresa e il rilancio della realizzazione delle “grandi opere”, quindi anche della TAV. Si è poi prodigata a lungo sulla difesa delle istituzione europee, che ha occupato buona parte del suo discorso. “La CGIL è chiamata ad essere parte attiva nella campagna elettorale europea, con CISL e UIL, ne discuteremo con Confindustria, perché continuare ad essere europei è una scelta di prospettiva e di campo rispetto alle destre e ai nazionalismi”.
Anziché criticare l'Unione Europea (UE) da sinistra, attaccando la politica di austerità, delle privatizzazioni, della protezione dei grandi monopoli a discapito delle condizioni di vita delle masse popolari, ci si contrappone ai cosiddetti “sovranisti”, cioè ai fascisti alla Salvini, schierando la Cgil a difesa della UE capitalista e imperialista, facendo propaganda in suo favore assieme a Cisl, Uil e ai padroni di Confindustria.
Se non è la politica del PD poco ci manca.
L'elezione di Landini
Anche se i partiti della “sinistra” borghese, non hanno più il controllo sulla Cgil che avevano nel passato indubbiamente la loro politica esercita ancora molta influenza su di essa. Esistono cordate e aree strutturate che hanno appoggiato i diversi candidati, nonostante nessuno dei due avesse una proposta di rottura o discontinuità verso la linea tenuta dalla Cgil finora, come abbiamo denunciato fin dall'inizio e come la prima relazione da segretario di Landini ha poi confermato.
Si poteva individuare in Colla un uomo dell'apparato sconosciuto alla base, etichettato come “riformista” molto vicino al PD, al confronto di un Landini “movimentista”, più avvezzo a cambiare velocemente opinione e utilizzare il mezzo televisivo, che strizza l'occhio al Movimento 5 Stelle. Niente a che vedere con presunte differenze tra posizioni di destra o di sinistra. Tanto che l'area programmatica “democrazia e lavoro
”, in teoria a sinistra della Camusso, dava il suo appoggio a Colla perché il suo leader, Nicola Nicolosi, considera Landini autoritario verso chi dissente.
Alla fine il voto è stata una formalità: Landini eletto segretario generale con il 92,7% dei votanti (267), contrari 18, 4 astenuti e una scheda bianca, vicesegretari Vincenzo Colla e Gianna Fracassi. Ma veniamo a quanto ha detto Landini sia all'Assemblea Generale prima del voto, sia dopo la sua elezione. Parole che confermano in pieno tutti i nostri giudizi recentemente espressi su di lui, ovvero che da tempo ha tolto la felpa rossa della Fiom ed è tornato all'ovile, nel recinto dei riformisti più incalliti.
Le prime uscite del nuovo segretario
Fin dagli elogi e dai ringraziamenti verso la Camusso si è capito che le sue non erano solo parole formali e di circostanza, ma certificavano la completa ricucitura con il resto del gruppo dirigente e il definitivo ripudio del Landini avversario del “modello Marchionne”, strenuo difensore dell'articolo 18, contrario alla Tav, avversario di un sindacato concertativo e oppositore di leggi che lo vogliono istituzionalizzare, come il Testo Unico sulla Rappresentanza sindacale (TUR). Chi nutre ancora delle speranze su di lui deve rassegnarsi; quel Landini lì, se mai è esistito, non c'è più. Egli ha seguito la parabola di tutti i comunisti revisionisti.
Nei suoi interventi è riuscito ad essere meno convincente perfino della Camusso. Mai una parola contro il capitalismo e le sue responsabilità nel creare diseguaglianze, sfruttamento, inquinamento, guerre, negazione dei diritti e compressione dei salari dei lavoratori, ha citato solo di passaggio il neoliberismo e il capitalismo finanziario.
Sul governo non chiede e nemmeno pensa al suo abbattimento. Le sue critiche sono concentrate su Salvini e la Lega, sfiorando a malapena Di Maio e i 5 Stelle, come se le due componenti non fossero nello stesso esecutivo. Non si va molto oltre alla critica delle politiche razziste e fasciste, quasi mai chiamate con questo nome, e in modo molto superficiale. Pur rilanciando l'attualità dell'antifascismo non si denunciano il presidenzialismo dei due ducetti, l'annullamento del parlamento e gli attacchi alla democrazia borghese, e nemmeno le provocazioni dirette a screditare da destra i sindacati, a partire proprio dalla stessa Cgil.
Con qualche contorcimento in più rispetto alla Camusso si è dichiarato favorevole alle grandi opere, lui che è stato un NO TAV fin dalla prima ora e invitava le popolazioni della Val di Susa alle manifestazioni della Fiom e sfilava al loro fianco. Sulla politica economica in generale non è andato oltre la la richiesta d'investimenti pubblici, mentre sul Reddito di Cittadinanza si è dovuto allineare alle critiche del resto del gruppo dirigente, ma sappiamo che su questo tema è molto vicino alle posizioni Movimento 5 Stelle.
Addirittura sconcertante l'aver rivendicato alla Cgil “la capacità di respingere il tentativo di cancellare la contrattazione collettiva, rinnovando i contratti nazionali di lavoro in quasi tutti i settori privati e pubblici”. Non c'è la ben che minima autocritica rispetto alla responsabilità del sindacato nell'aver accettato contratti che hanno invece certificato la perdita di centralità del contratto nazionale in favore di quelli aziendali, bloccato i salari accettando la politica dei sacrifici per i lavoratori. E del contratto del pubblico impiego rinnovato dopo 10 anni non ha niente da dire? E di aver subito controriforme devastanti come la Fornero e il Jobs Act?
Allo stesso modo rivendica “l’importanza degli accordi con tutte le organizzazioni imprenditoriali in materia di relazioni industriali e di rappresentanza”. Accordi come “il nuovo modello contrattuale” voluto dagli industriali che lega qualsiasi aumento salariale alla produttività, generalizza il welfare aziendale a discapito della previdenza e della sanità pubblica, instaura nuove relazioni concertative che legittimano solo i sindacati firmatari di accordi e attraverso il TUR limita la democrazia nelle aziende e perfino il diritto di sciopero.
Non è un caso che su questi temi specifici ci siano stati i commenti favorevoli delle organizzazioni padronali. "Ieri - ha detto il capo di Confindustria Boccia - siamo stati al convegno a Bari della Cgil e abbiamo condiviso diversi punti: infrastrutture, giovani, lavoro ed Europa. Vale la pena di continuare l'approfondimento costruendo una piattaforma su cui lavorare con questo sindacato. Dal patto per la fabbrica al patto per il lavoro del Paese".
Ancora più significativo il commento di Fabio Storchi, presidente di Unindustria Reggio Emilia, ex leader di Federmeccanica. Nel 2016 i due si fronteggiarono fino alla firma del nuovo accordo sul contratto dei metalmeccanici, il peggiore nella storia della categoria. Oggi è uno dei più felici per l'elezione del suo nemico-amico, Landini e si aspetta una continuazione del percorso “che ha portato a un cambio di paradigma: dalla conflittualità alla condivisione all’interno delle aziende, con la persona al centro dell’innovazione. Un elemento su cui si gioca il successo o l’insuccesso delle imprese”.
Altro capitolo l'Europa. Anche su questo Landini si accoda alla Camusso: “Non vogliamo uscire, ma vogliamo costruire un’altra Europa, diversa da quella che c'è adesso.” Ovvero si ripropone la trita e ritrita teoria di “un altra Europa è possibile” di bertinottiana memoria, un vecchio cavallo di battaglia dei riformisti che invece di additare l'UE come nemica dei popoli e dei lavoratori, la ritiene utile o addirittura indispensabile e sparge l'illusione che si possa cambiare la sua natura imperialista.
Il sindacato unico
Infine, ma non per importanza, il progetto di Landini di un sindacato unico, a partire dall'unità organica con Cisl e Uil. Lui, mentre al congresso passato, nel 2014, affermava: “Ho sempre pensato che l’unità della Cgil venga prima dell’unità con Cisl e Uil. Bonanni (allora segretario Cisl) rappresenta il sindacato che ha firmato con la Fiat, sulla quale la relazione di Camusso ha taciuto, e ha fatto i contratti separati. E viene al congresso Cgil a fare la lezione di democrazia a noi e la platea non ha problemi ad applaudirlo? Stiamo scherzando? Mi vengono i capelli dritti”.
Altri tempi , anche se sono passati solo 4 anni. Del resto Landini ci ha abituato alle inversioni di rotta. Nel 2015 affermava: “Serve una riforma profonda delle organizzazioni sindacali perché il mondo del lavoro oggi è frantumato e non ha rappresentanza. E serve più democrazia perché i lavoratori possano eleggere i dirigenti sindacali e votare sugli accordi che li riguardano. Insomma in prospettiva serve un nuovo sindacato unitario e pluralista....se si vuole davvero aprire la strada verso un processo unitario bisogna coinvolgere i lavoratori, fondare il nuovo soggetto sulla partecipazione dal basso, sulla democrazia”. Anche se presentata in maniera molto vaga si trattava, e si tratta tutt'ora, di una esigenza reale e impellente.
Adesso il vero obiettivo di Landini è sommare i tre sindacati confederali, magari per avere un soggetto da 12 milioni di iscritti che abbia maggior forza ai tavoli della concertazione con governo e padronato. Un grande sindacato unico che sbaragli i sindacati minori e diventi a tutti gli effetti sindacato istituzionale che eserciti il suo monopolio attraverso il TUR.
Un grande sindacato unico corporativo di regime, simile a quello del fascismo che riconquisti la perduta autorevolezza “per legge”, attraverso il suo riconoscimento giuridico (l'articolo 39 del Costituzione, mai attuato). Un modello sindacale che era stato proposto pochi anni fa da Renzi, Prodi, Marchionne e dalla Cisl, come ha rivendicato Marco Bentivogli della Fim (Il Bolscevico
n° 41/2018) e che Landini a suo tempo vi si era opposto con forza.
Quello che occorre è invece un grande sindacato di tutte le lavoratrici e i lavoratori, delle pensionate e dei pensionati, del settore pubblico e privato basato sulla democrazia diretta dal basso verso l'alto, ma quella vera delle assemblee generali e non di internet. Un sistema in cui i lavoratori e i pensionati discutono i problemi, mettono a confronto le idee, assumono le decisioni, approvano le piattaforme e gli accordi con voto palese, selezionano i loro rappresentanti più capaci e combattivi e li revocano non appena essi non riscuotono la fiducia dei lavoratori. Che va ben oltre un semplice sì o no a un referendum (pur importante) su decisioni già prese.
Che assuma una piattaforma rivendicativa che abbia come unico scopo la conquista di migliori condizioni di vita e di lavoro, per quanto possibile sotto il capitalismo. Un sindacato autonomo e indipendente dal governo, dai partiti, dal padronato e dal potere economico in generale, che rifiuti a livello di principio la concertazione e il "patto sociale", poiché è solo con la lotta di classe, con l'uso di tutti i metodi di lotta a disposizione che possono essere conquistati veri ed effettivi avanzamenti sociali per gli sfruttati e gli oppressi.
Non c'è alcuna discontinuità
Non ci sono i presupposti per accreditare Landini come il nuovo segretario che sposterà la Cgil a sinistra e promuoverà una Cgil più conflittuale. Con il suo intervento al Congresso di Bari, e sulla base delle sue successive dichiarazioni, si colloca perfettamente sulla linea riformista, collaborazionista ed europeista della Camusso. La nostra non è una posizione pregiudiziale, ma basata sui fatti.
Come Pmli lo abbiamo appoggiato quando era in prima fila con la Fiom ad opporsi alla cancellazione dell'articolo 18 e del contratto nazionale, lo abbiamo appoggiato nella sua lotta contro Marchionne, Cisl, Uil e il loro “modello Pomigliano”, lasciando in secondo piano le sue convinzioni politiche che sapevamo ben diverse dalle nostre. Lo stesso abbiamo fatto quando ha denunciato un sindacato sempre più burocratico e scollegato dai lavoratori, specie quelli giovani e precari.
Lo abbiamo criticato quando per un certo periodo ha accreditato Renzi come un valido interlocutore. Allo stesso modo non potevamo accettare che tirasse la Fiom dentro al suo progetto della “Coalizione Sociale”, un nuovo soggetto politico riformista e borghese, un ibrido tra sindacato e partito.
Proprio mentre si delineava il fallimento della sua “Coalizione” si susseguivano altri fatti che mostravano come Landini stesse abbandonando le posizioni di lotta per riavvicinarsi alla Camusso e alla segreteria nazionale. La “sua” Fiom licenziava il portavoce della minoranza “il sindacato è un altra cosa”, Sergio Bellavita, e attuava provvedimenti disciplinari contro 16 delegati del gruppo FCA rei di aver scioperato contro gli straordinari e i turni massacranti. Di seguito, dopo aver detto no accettava di buon grado il famigerato TUR.
Infine firmava l'ultimo contratto nazionale dei metalmeccanici assieme a Cisl e Uil, dopo i precedenti accordi separati che la Fiom aveva respinto. Un contratto talmente succube alle richieste padronali da cui le altre categorie della Cgil hanno cercato di smarcarsi in ogni modo, quando invece in passato era spesso un modello per tutti gli altri. Una firma che però gli è valsa l'entrata in segretaria, ed è stata il pegno da pagare e il biglietto da visita per essere proposto dalla Camusso come nuovo segretario generale della Cgil. Stando così le cose, non ci rimane che continuare la nostra battaglia unitaria con le altre forze sindacali all'interno della Cgil in difesa degli interessi delle masse lavoratrici e pensionate e per far acquisire ad esse la proposta sindacale del PMLI.
30 gennaio 2019