Arrestati i magistrati Savasta e Nardi: aggiustavano i processi
Savasta incontrò Lotti per fare un favore al padre di Renzi
Il 14 gennaio il Gip Giovanni Gallo, su richiesta del procuratore di Lecce Leonardo Leone de Castris e della sostituta Roberta Licci, ha ordinato l'arresto di Antonio Savasta e Michele Nardi: i due magistrati (il primo ora in servizio al tribunale di Roma, il secondo pubblico ministero sempre nella capitale) al centro di uno dei casi più gravi di corruzione giudiziaria in Italia.
L'accusa di associazione a delinquere finalizzata alla corruzione si riferisce al periodo in cui i due magistrati prestavano servizio presso la procura di Trani dove, invece di amministrare la giustizia, intrattenevano stretti legami con le consorterie politiche borghesi, i servizi segreti e la massoneria e, in cambio di laute tangenti, orologi d'oro, diamanti e viaggi di lusso, aggiustavano i processi e ne vendevano le sentenze.
Il turpe mercimonio giudiziario-politico-massonico è riassunto nelle 860 pagine di ordinanza di custodia cautelare in cui il Gip descrive: “Un quadro caratterizzato da gravissime pressioni, omissioni, alterazioni di dati processuali, falsificazione di prove e di documenti, persino di interi fascicoli processuali nel contesto di uno stabile asservimento delle pubbliche funzioni ad interessi privati”.
Tutto ruota attorno a un imprenditore, Flavio D’Introno, e ad alcune sue “disavventure” giudiziarie.
Nardi, in qualità di Gip a Trani e poi di ispettore presso il ministero a Roma, è ritenuto dagli investigatori la mente dell'organizzazione “capace di indirizzare le indagini della Procura o comunque a promettere di farlo” in cambio di tangenti.
In cambio dei processi aggiustati Nardi ha ricevuto, secondo l’accusa, viaggi a Dubai, preziosi, opere di ristrutturazione per case a Roma e villini a Trani. Il suo atteggiamento, scrive il Gip nell’ordinanza, in più occasioni ha rasentato la mafiosità, avendo “minacciato di morte l’imprenditore Flavio D’Introno di Corato che si rifiutava di consegnargli le somme pretese, millantando rapporti con massoneria e servizi segreti deviati”.
Savasta, in qualità di Pm a Trani, gestiva invece i fascicoli provvedendo anche, secondo l’accusa, a istruire procedimenti ad hoc, anche fasulli, e a informare “D’Introno dell’esistenza di indagini sul suo conto presso la procura di Lecce tanto da invitarlo a fuggire all’estero”.
A tenere i rapporti era un ispettore di Polizia, Vincenzo Di Chiaro, anche lui finito in manette. Mentre, secondo la procura di Lecce, come mediatrice si poneva l’avvocato Simona Cuomo, ora interdetta dalla professione.
Agli atti dell'inchiesta ci sono anche i tentativi dei magistrati di depistare le indagini a loro carico comprando il silenzio di D’Introno il quale, a partire dal 18 agosto scorso, ha deciso di non sottostare più alle continue richieste di denaro e di rivelare tutto alla magistratura leccese.
Nardi per esempio, è scritto nell'ordinanza: “non esita di avvalersi dei suoi collegamenti con la massoneria per avvicinare il giudice di un suo processo (a Catanzaro in una causa per calunnia, ndr) per ottenere una decisione favorevole”. Contatta l’avvocato Giancarlo Pittelli, ex parlamentare di Forza Italia, coinvolto (e archiviato) nelle inchieste Why Not di De Magistris che, si legge sui documenti della loggia del Grande oriente d’Italia, “non ha fatto mancare la convinta solidarietà” alla loggia. Pittelli, secondo quanto lui racconta a Nardi, incontra un giudice che doveva occuparsi di una sua questione. “Mi ha detto, fammi chiamare dall’avvocato e ci mettiamo d’accordo perché va fatto comunque l’abbreviato”.
Tra le inchieste sospette di aggiustamenti e depistaggi spicca anche quella su Luigi D’Agostino, imprenditore in affari con Tiziano Renzi, papà dell'ex premier. Non a caso tra le contestazioni a carico di Savasta ce n’è una che punta dritta proprio su Palazzo Chigi e contro l’ex ministro e sottosegretario renziano Luca Lotti.
Secondo gli inquirenti fu Savasta, in qualità di titolare dell'inchiesta sul centro commerciale di lusso che papà Renzi voleva costruire a Fasano (Lecce), a chiedere al suo socio Dagostino di incontrare Lotti. Savasta aveva in mano la sorte giudiziaria di Renzi e voleva barattarla con il suo trasferimento a Roma.
A fargli da tramite, un amico avvocato, Ruggiero Sfrecola, anche lui ora interdetto. Dagli atti risulta che il regista occulto di quell’incontro avvenuto a Palazzo Chigi il 17 giugno del 2015 fu proprio Tiziano Renzi.
L’inchiesta su Dagostino era partita da un giro di fatture false scoperte dalla guardia di Finanza a Trani e poi trasferita a Firenze.
A confermare il tutto è lo stesso Lotti il quale davanti ai Pm Luca Turco e Christine Von Borries, dopo tanti “Non ricordo con esattezza” ad un certo punto rimembra: “Di regola Dagostino mi parlava dei suoi interessi a Firenze come il caffé Rivoire, delle sue attività riguardanti il The Mall e del fatto che voleva costruire un centro commerciale a Fasano”. Tre business
di Dagostino al centro di altrettante indagini penali.
Del resto ci sono quattordici contatti telefonici tra il maggio 2016 e il febbraio 2017, riportati nell’ordinanza di custodia del gip di Lecce, a raccontare come i due siano qualcosa di più di semplici conoscenti. Nel secondo incontro coi pm fiorentini, il successivo 14 maggio, a Lotti torna parzialmente la memoria, grazie anche alla consultazione della sua agenda personale: “Credo che inizialmente venne nel mio ufficio Dagostino insieme a Franzé, che voleva qualche incarico perché ho trovato il suo curriculum tra i miei appunti. No, non sapevo che Tiziano Renzi aveva interesse alla costruzione dell’outlet di Fasano”. Ma è quando la curiosità dei magistrati si posa sull’organizzatore di quell’incontro a quattro a Palazzo Chigi che Lotti accenna al ruolo di regista occulto svolto da papà Renzi e ammette: “È noto che ero in buoni rapporti con Tiziano Renzi, con il quale passeggiavo ogni lunedì da via Mazzini alla stazione (di Firenze, ndr), quindi è probabile che tale appuntamento l’abbia chiesto o Andrea Bacci o Tiziano Renzi”.
Interrogato dai Pm il 13 aprile 2018, Dagostino conferma l’incontro a Palazzo Chigi e aggiunge: “Siccome tramite Tiziano Renzi l’unico politico che avevo visto 3 o 4 volte era Lotti (...) decisi che lo potevo portare da lui. Effettivamente fissai con Lotti tramite Tiziano Renzi (estraneo alle indagini, ndr) un appuntamento dicendogli che volevo portare un magistrato che aveva interesse a mostrare una proposta di legge”.
Secondo i Pm, invece, la convenienza di quell'incontro era duplice: Savasta cercava di barattare il suo trasferimento a Roma con l'insabbiamento delle indagini sulle società di Dagostino ivi compresa la famigerata Nikila Invest che in quel momento era partecipata anche da una società di Tiziano Renzi e di sua moglie Laura Bovoli.
Agli atti dell'inchiesta risulta che “Nonostante le sollecitazioni della Finanza – è scritto nell’ordinanza – Savasta non procede nei confronti di Dagostino, omettendo sia di iscriverlo che di trasmettere gli atti alla Procura di Firenze”.
30 gennaio 2019