Per il sequestro dei migranti sulla Diciotti
Il tribunale dei ministri: “Salvini va processato”
Il ducetto leghista pretende che il Senato neghi l'autorizzazione coinvolgendo tutto il governo. Conte e Di Maio servilmente fanno quadrato attorno al sequestratore dei migranti
Il 24 gennaio il tribunale dei ministri di Catania ha inviato al parlamento una richiesta di autorizzazione a procedere contro il ministro dell'Interno Salvini, per l'accusa di sequestro di persona aggravato dalla presenza di minori, avendo egli "abusato dei suoi poteri privando della libertà personale 177 migranti sulla Nave Diciotti". Il riferimento è ai fatti svoltisi da 20 al 25 agosto scorsi, quando il pattugliatore della marina militare italiana fu bloccato per suo ordine nel porto di Catania per ben 5 giorni, senza poter sbarcare i migranti salvati in mare ma da lui tenuti in ostaggio sulla nave in attesa che altri Stati europei si decidessero ad accoglierli tutti.
La decisione dei giudici Nicola La Mantia, Sandra Levanti e Paola Corda è piombata come un fulmine a ciel sereno su Salvini, che troppo presto aveva accolto trionfalmente la frettolosa e compiacente richiesta di archiviazione del procuratore di Catania, Zuccaro, quello che da due anni ha aperto inchieste tutte risultate inconcludenti contro le navi delle Ong nel tentativo di dimostrare inesistenti complicità con i trafficanti libici di esseri umani. In quella richiesta Zuccaro, senza neanche aspettare il pronunciamento del tribunale dei ministri a cui spettava la parola finale, aveva liquidato prematuramente l'inchiesta del procuratore di Agrigento a carico di Salvini con la motivazione che i cinque lunghi giorni di ritardo dello sbarco dei migranti stremati e bisognosi di cure urgenti erano giustificati "dalla scelta politica, non sindacabile dal giudice penale per la separazione dei poteri, di chiedere in sede europea la distribuzione dei migranti". Col che, mentre assolveva Salvini, il procuratore di Catania sanciva anche il principio che la magistratura non deve mai mettere il naso nelle scelte politiche dei ministri, indipendentemente che queste scelte violino diritti umani, principi costituzionali o leggi internazionalmente riconosciute.
Le scelte politiche non possono prevaricare i diritti umani
Una motivazione insostenibile, questa di Zuccaro, per il tribunale dei ministri di Catania, che sottolinea espressamente che "le scelte politiche o i mutevoli indirizzi impartiti a livello ministeriale non possono ridurre la portata degli obblighi degli Stati di garantire nel modo più sollecito il soccorso e lo sbarco dei migranti in un luogo sicuro, obblighi derivanti da convenzioni internazionali che costituiscono una precisa limitazione alla potestà legislativa dello Stato in base agli articoli 10, 11 e 117 della Costituzione". Al contrario, scrivono i giudici, "per cinque giorni i migranti rimasero su una nave ormeggiata sotto il sole, dopo aver affrontato un estenuante viaggio". E questo solo perché "l'intera catena di comando che avrebbe dovuto gestire l'assegnazione di un porto sicuro alla Diciotti risultava paralizzata in attesa delle determinazioni politiche del ministro".
Le motivazioni della richiesta di rinvio a giudizio per sequestro di persona sono dunque chiare: Salvini non agì in base ad un "preminente interesse pubblico nazionale", ma unicamente per un suo personale calcolo politico, senza che vi fossero particolari motivi di emergenza, di ordine pubblico o di sicurezza nazionale, a giustificare il blocco della nave nel porto. Anche perché, precisano i giudici, "Nessuno dei soggetti ascoltati da questo tribunale ha riferito di informazioni sulla possibile presenza, tra i migranti soccorsi, di persone pericolose per la sicurezza e l’ordine pubblico".
Alla notizia della richiesta il ducetto fascio-leghista è andato su tutte le furie, scagliandosi subito in diretta Facebook dal suo ufficio al Viminale contro "questi tre giudici" che "ci riprovano" a incastrarlo "manco fossi uno stupratore", e che lo fanno con accuse "dai 3 ai 15 anni di galera per aver difeso i confini nazionali". E puntando il dito nella telecamera ha chiamato a raccolta i suoi sostenitori contro i magistrati proclamando che quel che gli stava succedendo "è qualcosa che riguarda non solo la mia persona, ma anche voi".
Salvini pretende di essere salvato dal processo
Sulle prime quindi il ministro sequestratore di migranti ha reagito in tono di sfida ai magistrati, come aveva fatto ad agosto apprendendo di essere indagato, quando in un'intervista a Libero
dichiarò addirittura: "Se il tribunale dei ministri dirà che devo essere processato andrò davanti ai magistrati a spiegare che non sono un sequestratore. Voglio proprio vedere come va a finire". E così dava ad intendere di voler fare anche adesso, tanto che le sue prime reazioni incoraggiavano diversi esponenti del M5S a ventilare un loro voto favorevole all'autorizzazione a procedere, senza per questo mettere in pericolo l'alleanza di governo con la Lega, avendo sempre spergiurato e scritto nel loro statuto che l'autorizzazione del parlamento va sempre concessa per i ministri indagati, indipendentemente dal reato contestato. Lo stesso Di Maio, illuso di salvare capra e cavoli così a buon mercato, aveva dichiarato in televisione: "Salvini vuol farsi processare, non gli faremo un dispetto votando contro".
Ma se il ducetto pentastellato avesse letto bene tutte le dichiarazioni del suo alleato avrebbe capito che Salvini stava invece preparando la retromarcia e non si sarebbe lasciato andare a una dichiarazione così incauta e per nulla gradita all'interessato: "Non ho ancora valutato se avvalermi o meno dell'immunità. Vedremo, ci sto ragionando, il parlamento è sovrano ", dichiarava infatti quello già poche ore dopo l'intemerata via Facebook, e ci aggiungeva una velata minaccia: "Sono sicuro del voto dei senatori della Lega. Vedremo come voteranno tutti gli altri, se ci sarà una maggioranza".
Per farla breve, molto probabilmente dopo essersi consultato con il suo consigliere magistrato Carlo Nordio e con la sua avvocata e ministra Bongiorno, alla fine Salvini ha abbandonato ogni ambiguità e, senza neanche avvisare Di Maio, il 29 ha scritto una lettera al Corriere della Sera
in cui ha annunciato senza tanti giri di parole: "Ritengo che l'autorizzazione a procedere vada negata". E questo in base alla motivazione che egli ha agito "per il perseguimento di un preminente interesse pubblico nell'esercizio delle funzioni di governo". Evidentemente i suoi consiglieri dovono avergli fatto notare la serietà dei rischi a cui va incontro ad affrontare il processo, anche perché l'impianto accusatorio appare ben fondato. Lo dimostra anche il tentativo di "fonti del Viminale" di sollevare il pretesto del "pericolo della presenza di terroristi a bordo" come pezza d'appoggio difensiva, nonostante che il tribunale dei ministri, come già detto, ne avesse già confutato la sussistenza nelle sue motivazioni.
Allineamento servile di Di Maio e Conte a Salvini
A quel punto però Di Maio e il M5S erano con le spalle al muro: votando sì all'autorizzazione Salvini avrebbe avuto buon gioco a tacciarli di traditori e far cadere il governo; o comunque avrebbe avuto un argomento formidabile da cavalcare nella campagna per le europee e aumentare ulteriormente i suoi consensi. Votando no il movimento avrebbe rinnegato per l'ennesima volta i "principi" di cui si è fregiato per distinguersi dagli altri partiti. Salvini ne sarebbe uscito comunque rafforzato in tutti i casi, pur avendo ben chiaro che tra le due, pur di restare al potere ed evitare le elezioni anticipate, dalle quali non può che temere un bagno di sangue, il M5S avrebbe scelto la seconda. E infatti anche quest'ultimo innestava subito la retromarcia, cominciando a preparare il terreno per il voltafaccia politico.
Il premier Conte abbandonava precipitosamente un summit a Cipro per tenere un vertice a Roma con Salvini e Di Maio in cui concordavano la linea da tenere in Senato: l'intero governo si dichiarava corresponsabile delle decisioni di Salvini sulla Diciotti, per cui la votazione non sarebbe più stata sull'operato del ministro dell'Interno ma di tutto il governo. Le stesse dichiarazioni di Conte prima di partire, così la anticipavano: "Sulla vicenda Diciotti è stata seguita la linea del governo, mi assumo la piena responsabilità politica di quel che è stato fatto. Non sarò certo io a suggerire ai senatori cosa votare, saranno loro a giudicare la linea politica del governo". Ma, aggiungeva significativamente, "se avessi ritenuto quella linea illegittima, sarei intervenuto".
Da parte sua Di Maio, affiancato dal capogruppo Giarrusso, ha iniziato subito a lavorare sul gruppo di otto senatori Cinquestelle nella giunta, dato che essi risulteranno decisivi per l'esito del voto, per convincerli a votare no alla richiesta di autorizzazione a procedere. E la cosa non è ancora del tutto scontata, anche perché i malumori e i dissensi tra i suoi parlamentari per la sua linea troppo schiacciata su Salvini e i suoi continui voltafaccia non mancano, e lo ha messo in evidenza il presidente della Camera e leader dell'ala "ortodossa" del M5S, Fico, dichiarando che se la stessa cosa fosse capitata a lui avrebbe chiesto di votare sì all'autorizzazione a procedere.
Tutto questo avveniva mentre intanto il ministro sequestratore di migranti e i suoi complici Di Maio, Conte e Toninelli, tenevano in ostaggio per giorni un'altra nave con migranti salvati a bordo, la Sea Watch 3 nella rada di Siracusa, e mentre l'organizzazione dell'Onu per i rifugiati (Unhcr) lanciava un preoccupato allarme sulla sorte dei migranti che tentano di raggiungere l'Europa, mettendo in evidenza come la rotta del Sud del Mediterraneo, con sei morti al giorno, sia diventata negli ultimi mesi la più pericolosa in assoluto. Un numero che in percentuale è più che raddoppiato rispetto al 2017, tanto più impressionante considerando che l'85% di chi parte dalla Libia viene intercettato dalla guardia costiera e riportato nei lager.
6 febbraio 2019