Su mandato del parlamento inglese
May torna a Bruxelles per ottenere un accordo alternativo al backstop irlandese
Junker: “L'accordo sulla Brexit non si tocca”

 
Dopo la larga bocciatura dell'intesa definita dal governo inglese con i rappresentanti dei 27 Paesi dell'Unione europea sulla Brexit e il successivo risicato voto di fiducia che ha tenuto in piedi l'esecutivo conservatore puntellato dai parlamentari unionisti dell'Ulster, la Camera dei comuni di Londra approvava il 29 gennaio una mozione che impegnava la premier Theresa May a tentare di riaprire il negoziato con Bruxelles per una nuova intesa che contenga “soluzioni alternative” a quelle individuate sul cosiddetto backstop, ossia sul mantenimento della attuale gestione dei traffici di merci, capitali e persone attraverso quella che diventerà la frontiera terrestre tra Gran Bretagna e Ue dal prossimo 29 marzo. Una gestione a tempo determinato, per dare modo ai negoziatori di trovare una intesa specifica.
Con 317 voti a favore e 301 contrari il parlamento inglese approvava la mozione a favore del piano May presentato dal deputato conservatore Graham Brady che ricompattava le varie anime dei Tories, comprese quelle che sostengono la rottura pura e semplice, l'azzeramento dei rapporti e la rinegoziazione di nuove intese per una alleanza che vedono secondaria rispetto a quella coll'altra sponda dell'Atlantico, con l'imperialismo americano guidato dal fascista Trump. La parte della borghesia britannica che ha scelto la Brexit ritiene che la posizione migliore nello scontro tra l'imperialismo americano e il socialimperialismo cinese per il controllo del mondo sia al seguito di Washington e non nel gruppo del più debole imperialismo europeo. Il riposizionamento di Londra alla corte della Casa Bianca va bene alla May e ai conservatori mentre i laburisti di Jeremy Corbyn puntano a non rompere con la Ue e a mantenere i legami commerciali previsti dall'appartenenza quantomeno al mercato comune; per i laburisti si tratta di una specie di divorzio morbido e di una nuova associazione leggera, per la May divorzio chiaro e netto e nuove intese per sistemare gli affari, in ogni caso entrambi vorrebbero una uscita senza sbattere la porta. Come arrivarci resta il nodo ancora da sciogliere e dato che la scadenza del 29 marzo è alle porte il percorso scelto dalla May si fa sempre più complesso. Tanto più che la May tornerà a Bruxelles per ottenere un accordo alternativo al backstop irlandese ma il presidente della Commissione Ue Jean-Claude Junker l'ha già avvisata che “l'accordo sulla Brexit non si tocca”. Anche il presidente del Consiglio Ue Donald Tusk sottolineava che la posizione dei 27 Stati è che “l'accordo raggiunto è e resta il migliore ed unico modo per assicurare una uscita ordinata della Gran Bretagna dall'Ue. Il backstop è parte di quell'accordo, e quell'accordo non è aperto a nuovi negoziati”. I pronunciamenti delle istituzioini europeee erano validati da quelli altrettanto pesanti di paesi guida quali l'imperialismo francese, col presidente Emmanuel Macron che la stessa sera del 29 gennaio sosteneva che l'accordo con Londra “è il migliore possibile e non è rinegoziabile”.
Per capire l'aria che tira basti pensare che le istituzioni europee, Commissione e Consiglio Ue, hanno già preparato alcune misure di emergenza in caso di una Brexit senza accordo circa gli studenti dei programmi Erasmus, le pensioni dei lavoratori europei in Gran Bretagna e i pagamenti per i programmi Ue definiti nel bilancio 2019 coperti dalla quota dei contributi di Londra. Per esempio i giovani che al 29 marzo studiano in Gran Bretagna e che sono circa 14 mila e i circa 7mila britannici che studiano neglli altri paesi della Ue avranno coperta la loro borsa Erasmus fino al completamento del periodo all'estero previsto mentre i contributi dei lavoratori occupati fino al 29 marzo in Gran Bretagna saranno comunque riconosciuti per il calcolo della pensione. Francia, Belgio e Olanda stanno rispolverando le vecchie sedi doganali per il ripristino del presidio ai confini con la Gran Bretagna.
Il 3 febbraio la casa automobilistica giapponese Nissan annunciava che non avrebbe costruito uno dei suoi modelli nello stabilimento inglese di Sunderland come era previsto e avrebbe concentrato la produzione in Giappone. Nel comunicato aziendale evidenziava che la decisione dipendeva anche dalla Brexit poiché “la continua incertezza sul futuro dei rapporti del Regno Unito con l’Unione Europea non aiuta compagnie come la nostra a programmare il futuro”.
Il nodo dello scontro tra Londra e Bruxelles, e a Londra dentro financo il governo, è la questione del backstop irlandese, una frontiera che non può essere come ora senza barriere perché staccherebbe di fatto l'Ulster da Londra ma neanche una frontiera vera e propria perché staccherebbe di nuovo la parte nord dell'isola dall'Irlanda, annullando lo status attuale che è parte integrante dell'accordo di pace del 10 aprile 1998 che mise fine alla rivolta trentennale dei cattolici indipendentisti nordirlandesi. Una rivolta rievocata dall'autobomba esplosa il 19 gennaio di fronte al tribunale di Derry, in Irlanda del Nord e rivendicata dagli indipendentisti dell'Ira con un comunicato il 29 gennaio al Derry Journal nel quale si legge: “continueremo a colpire i membri delle Forze della Corona e il loro establishment imperiale” e che “tutto questo parlare di Brexit, hard bord, soft border, non influenza in alcun modo le nostre azioni e l’Ira non andrà da nessuna parte”. “La nostra lotta prosegue”, chiudeva il comunicato.
 
 
 
 
 
 
 
 

6 febbraio 2019