Rapporto Censis
Meno lavoratori, che lavorano molto di più con stipendi sempre più bassi
Gli occupati sono sempre di meno ma le ore lavorate e i ritmi sono sempre maggiori. Questa è l'istantanea scattata dal rapporto del Censis, l'istituto di ricerca socio-economica italiano, in collaborazione con Eudaimon, società specializzata nella fornitura di welfare aziendale alle imprese. È lo stesso titolo proposto per la loro ricerca a fornirci questo quadro: “Occupazione: lavorare in pochi, lavorare troppo”, ovvero il contrario del famoso slogan lanciato alle manifestazioni già ai tempi del '68: “lavorare meno, lavorare tutti!”.
Il 50,6% dei lavoratori afferma che negli ultimi anni si lavora di più, con orari più lunghi e con maggiore intensità. Sono 2,1 milioni i lavoratori dipendenti che svolgono turni di notte, 4 milioni lavorano di domenica e nei giorni festivi, 4,1 milioni lavorano da casa oltre l'orario di lavoro con e-mail e altri strumenti digitali, 4,8 milioni lavorano oltre l'orario senza il pagamento degli straordinari.
Gli effetti patologici dell'intensificazione del lavoro sono rilevanti. A causa del lavoro, 5,3 milioni di lavoratori dipendenti provano i sintomi dello stress (spossatezza, mal di testa, insonnia, ansia, attacchi di panico, depressione), 4,5 milioni non hanno tempo da dedicare a se stessi (per gli hobby, lo svago, il riposo), 2,4 milioni vivono contrasti in famiglia perché lavorano troppo.
Il 2° rapporto Censis-Eudaimon parla di “paradosso italiano”. Ma pur tenendo conto delle particolarità del nostro Paese, questa situazione è comune in tutti i continenti perché in fondo è determinata dalle stesse ferree leggi del profitto capitalistico. Se non si tiene conto di queste dinamiche allora ci sembra paradossale che in un momento di forte sviluppo tecnologico, dove l'automazione sostituisce il lavoro delle persone fisiche aumentino i ritmi e l'orario si lavoro.
Nel sistema di mercato gli unici interessi che contano sono quelli del capitalista, non certo quelli della popolazione lavoratrice nel suo complesso. Altrimenti in un periodo di quarta rivoluzione industriale, ancora più accentuata rispetto a quelle del passato, sarebbe logico, non solo a chi fa un ragionamento basato sul marxismo-leninismo, ma anche a chi usa il solo buon senso, ridurre l'orario di lavoro, naturalmente a parità di salario e di ritmi.
Poi, come dicevamo, ci sono le particolarità dell'Italia dove emergono delle criticità nel mondo del lavoro che in altri Paesi sono meno accentuate, e il rapporto ne individua almeno altre due. Creiamo meno occupazione che altrove e aumentano le diseguaglianze salariali tra operai e impiegati da una parte e dirigenti dall'altra.
Nei dieci anni che vanno dal 2007 al 2017 il numero di occupati in Italia è diminuito dello 0,3%, è invece aumentato in Germania (+8,2%), Regno Unito (+7,6%), Francia (+4,1%) e nella media dell'Unione europea (+2,5%). Nel nostro Sud il tasso di occupazione è pari al 34,3% (2,9% in meno rispetto al 2007), al Centro è al 47,4% (lo 0,4% in meno), nel Nord-Ovest al 49,7% (l'1,1% in meno), nel Nord-Est al 51,1% (l'1,3% in meno). Non solo creiamo meno lavoro degli altri Paesi (l'Italia è il fanalino di coda dell'Unione Europea), ma ne distruggiamo di più proprio dove ce n'è di meno: il Mezzogiorno.
Da sottolineare come i giovani nella fascia 15-34 anni nel 1997 rappresentavano il 39,6% degli occupati, nel 2017 sono scesi al 22,1%. Pur con un livello d'istruzione mediamente più alto, sono occupati per lo più come camerieri e nel settore della ristorazione e del commercio, mentre i lavoratori più “anziani”, da 55 anni in su, hanno un'alta presenza nella pubblica amministrazione (il 31,6% del totale, con una differenza di 13,5 punti percentuali in più rispetto al 2011) e nei settori istruzione, sanità e servizi sociali (il 29,6%, il 7,4% in più).
Questi numeri sono fortemente influenzati dal Jobs Act e dalle altre controriforme che hanno stravolto il mercato del lavoro, con relazioni industriali di tipo mussoliniano e con un precariato sempre più diffuso che ha investito in misura maggiore i giovani, e con la Legge Fornero che ha allungato l'età pensionabile per uomini e donne fin quasi ai 70 anni.
Il rapporto inoltre evidenzia e conferma come i salari dei dipendenti italiani siano tra i più bassi d'Europa, con una forte perdita del potere d'acquisto che ha portato una larga fetta di persone, pur avendo un lavoro, a trovarsi sulla soglia della povertà, testimoniato dalla distanza sempre maggiore dagli stipendi dei dirigenti.
Rispetto al 1998, nel 2016 il reddito individuale da lavoro dipendente degli operai è diminuito del 2,7% e quello degli impiegati si è ridotto del 2,6%, mentre quello dei dirigenti è aumentato del 9,4%. Nel 1998 il reddito da lavoro dipendente di un operaio era pari al 45,9% di quello di un dirigente ed è diminuito al 40,9% nel 2016. Quello di un impiegato era il 59,9% di quello di un dirigente e si è ridotto al 53,4% nel 2016.
6 febbraio 2019