In attesa del risultato delle elezioni europee
Il governo non decide sul Tav
Salvini: “L'alta velocità si farà”
Le castagne dal fuoco della “madre di tutte le questioni” cavalcate dal Movimento 5 Stelle nel suo periodo di ascesa, in qualche modo andavano tolte. Adesso, in un periodo opposto a quello in termini di consensi in forte calo a seguito dei ripetuti tradimenti alle posizioni sentite come prioritarie da gran parte della sua base, Di Maio sapeva di non poter arretrare anche sul no alla TAV, pena il tracollo alle prossime elezioni europee; anzi, il M5S aveva necessità di uno scalpo o di una posizione più o meno di comodo che non confermasse l'ennesima bandiera ammainata.
Allo stesso modo anche Salvini aveva tutto l’interesse a proseguire il rapporto dal grande feeling politico con Di Maio, ed è per questo che tutto è andato nelle mani di Conte e al suo pool di tecnici, ministri, sottosegretari ed ingegneri, ognuno con il proprio parere, ma con l’obiettivo politico comune di evitare di far uscire qualche forza di governo con le ossa rotte.
Alla fine ne è uscito uno squallido compromesso che ha messo in un angolo anche le analisi costi-benefici (Italia – Francia e anche solo fronte italiano) che evidenziano negatività economiche in caso di realizzazione dai 3,5 ai 7 miliardi di euro, il tutto al netto dell’impatto ambientale e delle peggiorate condizioni di vita delle popolazioni coinvolte, che a questo punto non paiono interessare più a nessuno.
Conte rimanda tutto di almeno 6 mesi
Alla fine dunque è proprio Conte che congela opportunisticamente la crisi di governo sulla TAV.
Nella lettera inviata al presidente di Telt du Mesmil, l’azienda francese di proprietà al 50% dello Stato francese e al 50% delle Ferrovie dello Stato Italiane con sede a Le Bourget-du-Lac, che ha lo scopo di progettare, realizzare e successivamente gestire la sezione transfrontaliera della futura linea ferroviaria AV Torino-Lione, il premier chiede di “astenersi da ogni ulteriore azione che possa produrre, a carico dello Stato italiano, vincoli giuridici di sorta” con la sola conseguenza di “soprassedere dalla comunicazione dei capitolati di gara”; per salvare la “capra” del progetto che probabilmente in qualche modo si farà, ed i “cavoli” che sarebbero stati del governo una volta persi i finanziamenti, Conte conclude comunicando di “adoperarsi per non pregiudicare gli stanziamenti finanziari posti a disposizione dalla Ue”.
Nei fatti i bandi per le candidature partono regolarmente ma Telt si impegna a non procedere col passaggio successivo, quello dell’invio dei capitolati, senza l’avallo dei governi italiano e francese; inoltre è stata inserita la cosiddetta “clausola di dissolvenza” che Telt stessa aveva proposto nel carteggio con il governo italiano.
Comunque sia, nell’attesa dei risultati elettorali europei di maggio e dei nuovi equilibri di governo, al momento va avanti la linea pro TAV, dal momento in cui l’atto di lunedì 11 con l’avvio dei bandi è la conferma del proseguimento dell’opera. E questo è quanto, nonostante la bugiarda propaganda pentastellata tenti in ogni modo di celebrare la positività del risultato.
Di Maio, con la sua solita faccia di bronzo, parla di “soluzione positiva”, e su facebook annuncia che “Oggi abbiamo ottenuto una grande vittoria che è il rispetto del contratto”. Con lui Toninelli esulta come se il progetto fosse stato respinto (!).
Le inconsistenti proposte alternative M5S
Nei giorni precedenti all’ennesima proroga, Di Maio per mezzo dei suoi ministri, ha fatto sapere di essere potenzialmente favorevole al raddoppio della galleria del Frejus, scavata da Cavour nell’ottocento, in alternativa al TAV.
Una posizione che in tutta evidenza non soddisfa nessuno poichè l’Europa non finanzierebbe l’opera in quanto i fondi di Bruxelles sono stati concessi per la realizzazione di “tunnel di base”, gallerie che attraversano le montagne ad un’altezza di circa 600 metri in modo tale da far transitare treni molto pesanti, circa 2.000 tonnellate, togliendo potenzialmente merci dai tir; il Frejus è invece a 1.300 metri di altezza e più si sale lungo la montagna, più le gallerie hanno minor portata, infatti a Bardonecchia possono arrivare solo treni di peso massimo di 650 tonnellate.
Poi ci sarebbero i costi di chiusura delle gallerie già scavate per la TAV e quelli dell’ampliamento che costerebbero più di quanto spenderebbe l’Italia per terminare la Torino-Lione nel suo giù inutile progetto iniziale.
Di Maio pare dunque arrampicarsi sugli specchi in cerca di una via di uscita, quando sa bene che la clausola del contratto di governo che lui stesso ha firmato prevede “la revisione integrale dell’opera nel rispetto dell’accordo con la Francia”, quando è cosa nota che l’accordo con la Francia prevede la sua realizzazione.
A Di Maio, per uscirne pulito, servirebbe l’approvazione di una legge in parlamento che abolisca il trattato con la Francia del 2015 nonostante praticamente tutte le forze ad eccezione dei Cinque Stelle siano favorevoli all’opera. Legge peraltro controfirmata dal Presidente della Repubblica Mattarella.
Impensabile. Eppure i Cinque Stelle avevano dichiarato di aprire il parlamento “come una scatoletta di tonno”. Adesso il tonno è proprio lo stesso Di Maio, imprigionato dalle stesse regole che senza problemi, ha tranquillamente accettato.
La Lega conferma la propria linea SI TAV
Mentre la questione in seno al M5S è destinata a ripresentarsi, il ducetto Salvini ostenta sicurezza affermando che “Io non voglio rompere con i 5 stelle, ma non posso nemmeno intestarmi un “no” alla Tav che comporterebbe il rischio della perdita dei fondi europei e perfino di un maxi risarcimento danni a nostre spese: se l’assumano loro, se vogliono”.
Il vice premier leghista non si stanca mai di ribadire che se la TAV alla fine non si facesse, ci sarebbe la perdita dei 300 milioni di fondi europei, che salirebbero a 813 in considerazione dell’intero cofinanziamento già approvato per la prima fase dei lavori, strizzando l’occhio anche a tutta l’opposizione che concorda pienamente, a partire dal PD e dal neo eletto segretario Zingaretti che del TAV fa a sua volta una bandiera, sulla necessaria realizzazione piena del tunnel.
Sapendo che la situazione è tutt’altro che conclusa e che essa sarà oggetto della prossima campagna elettorale europea che fa gola a tutti, Salvini fornisce due nuovi “assist” al veleno all’alleato di governo, quando invita Di Maio, “se proprio volesse bloccare l’opera”, a presentare un disegno di legge con cui modificare il Trattato Italia-Francia che prevede appunto la Torino-Lione (l’esito in questo caso sarebbe scontato poiché non avrebbe i numeri né alla Camera né tantomeno al Senato, dato che oltre alla Lega anche Pd, Fi e Fdi voterebbero a favore dell’alta velocità) oppure il referendum da tenersi però nel solo Piemonte.
Le reazioni del PD di Zingaretti
In linea con quanto già accennato, sull’ultimo rinvio della decisione sul Tav, il Pd attacca pesantemente il governo, reo a loro dire di non aver già formalizzato l’opera.
Intanto sono state calendarizzate per il 21 marzo al Senato le mozioni di sfiducia presentate da PD e Forza Italia nei confronti del ministro dei Trasporti, Danilo Toninelli, reo di aver “spudoratamente mentito al Parlamento e al Paese nonché al Governo Francese e alla Unione Europea, sottoponendo all'attenzione di tutti una analisi costi/benefici palesemente infondata e ora oggetto di aggiustamenti da parte del Presidente del Consiglio”.
La mozione del PD è in sostanza un lungo testo in cui si ripercorrono le tappe della vicenda, la discussione all'interno del governo Lega-M5S, le proposte emerse, come l'ipotesi 'mini Tav, giudicata dai dem "come una maldestra exit strategy dalla situazione politica che si è venuta a creare nella maggioranza di Governo”.
Al PD fa eco Tajani che a nome di Forza Italia sostiene di schierarsi “contro l’immobilismo”, e si dice pronto a una mobilitazione in tutto il Paese poiché “Sarebbe una scelta contro gli italiani, contro il progresso e la crescita”.
Chiudiamo col neosegretario PD Nicola Zingaretti che definisce il rimando sulla TAV “un pasticcio indecente e un danno immenso alla credibilità dell’Italia. Così si distrugge la fiducia. Il governo si tiene insieme solo per un patto per la gestione del potere. Spero provino vergogna. È tempo di cambiare”.
Quel che è certo è che non è cambiata né la Lega né Forza Italia né il PD, che anche sul tema grandi opere inutili sottolineano la loro natura lobbystica di impenitenti cementificatori e distante anni luce dalle esigenze e dalle aspirazioni delle popolazioni coinvolte; non cambia nemmeno il Movimento 5 Stelle targato Di Maio, capace di vendere l’anima al diavolo per rimanere sulla nera carrozza del governo.
13 marzo 2019