Il parlamento inglese chiede una proroga sulla Brexit
L'Ue orientata a concederla

 
La scadenza del 29 marzo per l'uscita della Gran Bretagna dalla Ue, che separerebbe i destini degli imperialisti inglesi da quelli degli imperialsiti europei, è alle porte ma nonostante il tempo avuto dal via libera alla Brexit nel referendum del 23 giugno 2016 non è ancora per nulla chiaro quali saranno i termini del divorzio. Stando alle ultime frenetiche e schizofreniche votazioni a Westminster, il parlamento inglese chiedeva una proroga, anche se non è ancora definito se breve, al 30 giugno prossimo, o più lunga con le istituzioni Ue orientate a concederla, sempre che qualche paese non si metta di mezzo. L'alternativa è la separazione secca, senza accordi di passaggio come vorrebbe una buona parte dei conservatori inglesi e la destra di Farage che hanno finora fatto naufragare le ipotesi messe in campo dal governo di Theresa May. Un governo nato per costruire le condizioni per la Brexit e due volte messo sotto in parlamento; secondo logica avrebbe dovuto rimettere il mandato, invece la May ha sostituito i ministri della destra dimessisi contro i suoi accordi con la Ue e ancora resta al numero 10 di Downing Street.
L'ultimo intoppo alla tattica della May era arrivato il 19 marzo quando lo speaker della Camera, John Bercow, aveva respinto la richiesta del governo di votare per la terza volta il testo dell’accordo di divorzio, dato che era rimasto sostanzialmente lo stesso già bocciato due volte. Secondo fonti governative il terzo voto, in caso favorevole, avrebbe rafforzato la decisione del parlamento di chiedere al vertice europeo del 21 marzo il rinvio di tre mesi della scandenza per l'uscita di Londra, il tempo ritenuto necessario per definire le norme tecniche della separazione che poi sarebbero quelle su cui si discute da due anni e bocciate dal parlamento. In ballo resta anche la possibilità di rinvio per una scadenza ancora più lunga, anche di un anno, il tempo ritenuto necessario dalla May per poter trovare un accordo in casa propria, in alternativa all'uscita senza accordo, il cosidddetto “no deal”; ci vuole l'accordo, votava il parlamento inglese che finora ha regolarmente bocciato gli accordi raggiunti con Bruxelles ritenendo soprattutto insufficienti le garanzie per far ritornare la linea di confine tra Irlanda e Irlanda del Nord come una vera frontiera, al termine di un periodo di transizione temporalmente non definito. I laburisti hanno finora bocciato il piano governativo perché favorevoli al mantenimento di una unione doganale con la Ue.
Il parlamento britannico bocciava il 12 marzo l'accordo governativo per la Brexit con 391 contrari e 242 favorevoli. Uno scarto ridotto rispetto a quello della pesante sconfitta del primo tentativo nel gennaio scorso ma sempre di sconfitta si trattava per la May che aveva portato a casa dalla precedente missione a Bruxelles un protocollo aggiuntivo che confermava come temporaneo il mantenimento delle regole comunitarie lungo la frontiera irlandese ma che comunque teneva l'Irlanda del Nord temporaneamente agganciata alla Ue; l'ipotesi respinta a priori dai fautori della Brexit senza concessioni e dai parlamentari protestanti nordirlandesi i cui voti sono determinanti per la risicata maggioranza governativa.
Il 13 marzo il parlamento approvava con 312 voti a favore e 308 contrari una proposta preparata assieme da deputati conservatori e laburisti che stabiliva che la Gran Bretagna non poteva lasciare la Ue “senza un accordo di recesso e una cornice sulle relazioni future”. La Commissione europea salutava la decisione dei parlamentari britannici ma ricordava loro che “non basta votare contro il No Deal, occorre trovare un'intesa per un accordo”. L'intesa sarà varata il 14 marzo, annunciava la May che chiedeva un nuovo voto per la richieta di proroga dei negoziati, una volta incassato l'appoggio dei laburisti con Corbyn che definiva a questo punto “inevitabile” la richiesta di un rinvio.
La mozione che consentiva al governo di chiedere all'Unione europea un rinvio corto della Brexit, dal 29 marzo al 30 giugno 2019 aveva il via libera con 412 voti favorevoli contro 202; tanto per avere una idea dei contrasti in casa Tory risultava che tra i voti contrari più di una novantina erano di deputati conservatori e financo di 8 ministri. La scadenza del 30 giugno era presentata come l'ultima data utile prima del 2 luglio, dell'insediamento del nuovo europarlamento eletto a maggio; se la Gran Bretagna fosse ancora dentro la Ue dopo quella data dovrebbe in teoria partecipare alle elezioni di maggio.
Le istituzioni Ue si dichiaravano pronte a esaminare una eventuale richiesta in tal senso se presentata da Londra nel Consiglio europeo in programma il 21 e 22 marzo, purché ben motivata e tale da convincere tutti i partner dato che in questo caso serve un voto favorevole all’unanimità.
Una posizione confermata il 19 marzo dalla riunione a Bruxelles del Consiglio dei ministri degli Esteri che in via informale facevano sapere che la Ue era pronta a attendere anche fino a un’ora prima del 29 marzo per valutare il rinvio la cui accettazione non richiedeva un voto formale. E che quindi la May non aveva l'obbligo di presentarsi al Consiglio europeo del 21 marzo con la richiesta del rinvio, aveva tempo un'altra settimana.
“Prima di affrontare le conseguenze di una Brexit senza accordo ha senso provare un ultimo tentativo ma più si spingerà in avanti la proroga più sarà complicato”, dichiarava il ministro degli Esteri tedesco Heiko Maas a margine della riunione di Bruxelles avvisando che a fine marzo chi si troverà con le spalle al muro non sarà la Ue ma il governo May. In fondo a Berlino come a Parigi non spaventa una uscita di Londra senza accordo, anzi sarebbe un argomento favorevole alla guida Ue dell'asse tra i dua paesi, rinnovato da Emmanuel Macron e Angela Merkel nel recente Trattato di Aquisgrana.
 

20 marzo 2019