San Ferdinando (Reggio Calabria)
Un altro bracciante migrante morto bruciato
Sylla Noumo, senegalese, perde la vita nell'incendio della sua tenda. Cinismo di Salvini: “Se fosse successo nella baraccopoli abusiva il bilancio poteva essere ben più pesante”
Dopo Becky, Dominic, Marcus, Moussa, e Surawa, è Sylla Noumo la sesta vittima della povertà, della disperazione e dello sfruttamento a San Ferdinando, nella piana gioiese.
Sylla è bruciato vivo in un rogo notturno nella tendopoli di nuova costruzione, avallata anche dalle istituzioni locali e dallo Stato, che lo stesso Salvini eletto a senatore proprio in Calabria, aveva indicato a modello, dichiarando non più di quindici giorni fa assieme al prefetto di Reggio Calabria: “È stata finalmente cancellata una delle più vergognose baraccopoli d’Italia dove proliferavano degrado e illegalità. Dopo anni di chiacchiere, ora sono arrivati i fatti”.
Certe problematiche non solo non sono state risolte con le ruspe e con le nuove tendopoli, ma questi provvedimenti non ne hanno nemmeno mitigato gli effetti più drastici, a partire dalla condizione sanitaria, e ne è dimostrazione il fatto oggettivo che in questi luoghi si continua a morire.
“Chiediamo a gran voce che venga riavviato il progetto per l’insediamento abitativo diffuso al fine di dare dignità a questi uomini e donne impegnati nella raccolta degli agrumi”, dichiara Peppe Marra, referente Usb e membro del Comitato per il riutilizzo della case vuote: “la soluzione agli immani problemi dei lavoratori passa, infatti, per il riconoscimento dei diritti salariali e previdenziali e per il riutilizzo di migliaia di case sfitte o abbandonate”.
Il trentaduenne senegalese Sylla, era stato trasferito nella nuova struttura proprio in seguito all’abbattimento della vecchia baraccopoli tanto pompata da Salvini, ma è rimasto vittima dell’incendio scaturito probabilmente da un malfunzionamento di cavi elettrici.
Arrivano puntuali le lacrime di coccodrillo del ducetto leghista: “Siamo addolorati per la morte di una persona e se fosse successo nella baraccopoli abusiva il bilancio poteva esser più pesante”, che quindi riesce anche in questa occasione nel vergognoso tentativo opportunista di dare lustro al suo inefficiente provvedimento nonostante i fatti.
Per il procuratore di Palmi, Ottavio Sferlazza, i tempi rapidi in cui il rogo si è propagato e soprattutto il motivo per cui Sylla non sia riuscito a scappare rimangono ancora punti da decifrare; dal canto suo il prefetto Michele Di Bari ha annunciato l’arrivo di moduli abitativi per i migranti che ancora una volta non risolvono la situazione e che nel tempo si trasformeranno inevitabilmente in nuovi piccoli ghetti.
Per il Comitato locale, la soluzione da percorrere è quella trovata a Drosi, una frazione di Rizziconi, dove da alcuni anni 150 raccoglitori prendono in affitto case a soli cinquanta euro al mese, su mediazione di Caritas e curia. “Le case sono a costo zero per lo Stato e i migranti ricevono i servizi gratis. E’ il modello vincente a queste latitudini. L’alternativa è un eccidio senza fine.”, dichiara ancora il rappresentante del Comitato, ma è impensabile poter ipotizzare un generale modello come questo; è necessario invece che sia lo Stato che, oltre a controllare a fondo le dinamiche di lavoro ripristinando i diritti completamente calpestati, si occupi anche degli alloggi dei migranti, al pari di tutti coloro che al momento non hanno un luogo in cui vivere, ripristinando il diritto alla casa, completamente disatteso nel nostro Stato capitalista.
Le leggi del governo, terreno fertile per i caporali
In realtà, le ripercussioni sulle condizioni di vita dei raccoglitori sono l’ultimo anello di una catena che parte dalle multinazionali del settore alimentare che dettano i prezzi dei prodotti agli imprenditori agricoli, i quali a loro volta banditescamente si affidano agli spietati caporali che scaricano tutto sui raccoglitori, anello debole e disgraziato, più di qualunque altro settore, di questo processo.
Sono certe dinamiche tipiche del sistema economico capitalista, rafforzate nel nostro paese anche dalle politiche sull’immigrazione del governo Salvini-Di Maio che offrono un terreno fertile affinché questa situazione si diffonda, consentendo maggiori guadagni ai proprietari agricoli stessi.
Dal momento in cui il caporalato attinge manodopera nei luoghi della disperazione più profonda, è conseguente e corretto sostenere che il Decreto Sicurezza di Salvini che abolisce i permessi di soggiorno per motivi umanitari, crea altra carne da macello.
Tale decreto ha infatti come effetto immediato quello di spingere i lavoratori stranieri che prima vivevano nei centri di accoglienza, direttamente nelle mani del caporalato o della malavita organizzata, laddove entrambe non siano già la stessa cosa; inoltre, la disoccupazione stessa rimane il teatro principale dello sfruttamento, in particolare in questo settore disastrato.
Questo come i precedenti governi borghesi favoriscono questa barbaria: massima libertà commerciale, scarsi controlli e misure tampone che costano alle casse pubbliche milioni di euro ma che non riescono a migliorare assolutamente la situazione, rendendosi complici primari di questa ecatombe di uomini, donne e di diritti sempre negati.
10 aprile 2019