50 anni fa la rivolta di Battipaglia
Un avvenimento indelebile nella storia del movimento operaio italiano
In occasione del 50° anniversario, il PMLI e “Il Bolscevico” rendono solenne omaggio alle vittime e ai protagonisti della storica rivolta di Battipagnia (Salerno) che segna un avvenimento indelebile nella storia del movimento operaio italiano e uno dei momenti più combattivi della Grande Rivolta operaia che nel biennio tra il 1968 e il 1969 scosse dalle fondamenta il sistema capitalistico italiano.
Con le potenti lotte dell' “Autunno caldo” la classe operaia italiana occupò per la prima volta nella storia il suo ruolo guida delle masse studentesche e popolari già scese in lotta negli anni precedenti. Le lotte degli studenti contro le organizzazioni studentesche che cercavano di integrarle nel sistema capitalistico e le manifestazioni antimperialiste, cosiccome le lotte dei braccianti nel Mezzogiorno e in Lombardia nel 1967, avevano segnato l'inizio della Grande Rivolta del Sessantotto, il più grande avvenimento della storia della lotta di classe del dopoguerra in Italia, che sprigionerà la sua massima forza nel quadriennio che va dal '67 al '70 e i cui ultimi bagliori arrivano fino al '74-'75.
All'epoca in ogni angolo del mondo montava la lotta dei popoli oppressi. Le lotte di liberazione nazionale e le lotte rivoluzionarie si diffondevano a macchia d'olio nei paesi del Terzo mondo e in quelli soggiogati dal neocolonialismo e dall'imperialismo, favorite anche dal dispiegarsi del pensiero di Mao e dalla sua opera di costruzione del socialismo in Cina. La Grande Rivoluzione Culturale Proletaria, la riaffermazione dei principi del marxismo-leninismo e la ferma lotta contro il revisionismo moderno influenzarono infatti in maniera determinante le guerre rivoluzionarie e di liberazione nazionale, ma ebbero un peso anche sui conflitti di classe in altre parti del mondo, occidente compreso.
Anche in Italia la classe operaia e le masse popolari duramente colpite dalla crisi economica del 1964-65 cominciarono a ribellarsi e a organizzare scioperi e manifestazioni spontanee. Il padronato attuò una ristrutturazione selvaggia degli impianti che portò ad una maggiore meccanizzazione e alla conseguente espulsione di mano d'opera delle aziende. Centinaia di migliaia di lavoratori videro così aggravarsi le loro condizioni economiche e sociale perché alla sofferenza per la mancanza di alloggi, per la carente assistenza socio-sanitaria e di servizi pubblici e sociali si aggiunse anche quella della disoccupazione che portò tra il 1963 e il 1968 ad un calo di circa il 4% degli operai dell'industria. A farne le spese furono soprattutto i più anziani e i più giovani fra i lavoratori ed in misura ancora maggiore le donne.
Dopo il tradimento della vertenza Fiat da parte dei vertici sindacali, nella primavera del 1968, in moltissime fabbriche inizia un periodo in cui le lotte operaie avvengono al di fuori delle strutture e della linea ufficiale dei sindacati, puntando direttamente alla organizzazione del lavoro, alle condizioni in fabbrica per estendersi a significative lotte generali. Vengono individuati e perseguiti obiettivi quali: l'abolizione del cottimo; l'abbassamento dei ritmi produttivi; l'inquadramento unico con la progressiva riduzione delle differenze salariali tra gli operai e tra operai e impiegati; il rifiuto della monetizzazione della nocività e la lotta per il controllo delle condizioni di lavoro e delle norme di sicurezza in fabbrica; la rottura del legame tra aumenti salariali e aumento della produttività; gli aumenti salariali uguali per tutti; la parificazione dei salari dei giovani e delle donne a quelli degli adulti; il passaggio automatico di categoria; la limitazione e il controllo sindacale sugli straordinari; i diritti sindacali in fabbrica.
Vedono così la luce le assemblee di reparto e l'assemblea generale come momento decisionale; nuove strutture unitarie di coordinamento e di controllo all'interno delle singole aziende con rappresentanti eletti da tutti gli operai iscritti e non iscritti al sindacato. Viene infranta la tradizione di sospendere la lotta in presenza di una trattativa. Nascono gli scioperi a "gatto selvaggio'' con fermate attuate con tempi e modalità sempre diverse, senza preavviso, con costi contenuti per gli scioperanti ma con alta incidenza sui cicli produttivi; a "singhiozzo'' che coinvolge l'intera fabbrica alternando brevi periodi di lavoro ad altri di sciopero; a "scacchiera'' dove diversi reparti scioperano per brevi periodi in momenti differenti così da creare una agitazione interna pressoché‚ costante. Si attuavano inoltre cortei interni alla fabbrica che bloccavano il lavoro negli uffici e si effettuavano, in concomitanza con gli scioperi, picchettaggi di massa ai cancelli con la partecipazione anche degli studenti con i quali si formavano stabili organismi di confronto.
Accanto alla miriade di lotte aziendali si sviluppò con maggior forza anche la battaglia su aspetti più generali quali le pensioni, significativo lo sciopero del marzo '68 con manifestazioni in varie città. Nella sola Milano parteciparono 300.000 metalmeccanici e scesero in piazza anche folti gruppi di impiegati. E ancora va ricordata la lotta per l'abolizione delle "gabbie salariali'' (la differenza di retribuzioni tra Nord e Sud con stipendi inferiori nel Meridione fino al 30%), che si concluderà con l'accordo del 18 marzo 1969 che aboliva le "gabbie salariali'' in maniera definitiva anche se scaglionata, con l'azzeramento che sarà raggiunto il 1/7/1972.
In questo contesto, il 9 aprile 1969, l'intera città di Battipaglia scende in piazza a manifestare per il lavoro e contro il degrado economico del Mezzogiorno.
In quel periodo Battipaglia conta circa 30.000 abitanti, la maggior parte supersfruttata nelle industrie di trasformazione e nelle campagne dove il caporalato la fa da padrone.
La crisi economica che colpisce l’area a fine decennio induce molti conservifici a minacciare la chiusura.
Ai primi di aprile del 1969 arrivò la decisione da parte della SAIM (Società agricola industriale del Mezzogiorno) di chiudere anche le due aziende storiche, lo zuccherificio e il tabacchificio. Una decisione che rischia di gettare sul lastrico oltre la metà della popolazione tra dipendenti diretti e lavoratori dell’indotto.
La sera dell’8 aprile il consiglio comunale straordinario indice un corteo di protesta. Fin dalle prime ore del 9 aprile, centinaia di manifestanti si radunano nel centro della città controllati a vista da un folto schieramento di polizia e carabinieri in assetto antisommossa.
Il corteo parte al grido di “Difendiamo il nostro pane” e “Basta con le promesse” e si snoda per le vie della città, ingrossandosi sempre più lungo il percorso. Giunti a Piazza della Repubblica, i manifestanti decidono di sfidare i limiti imposti dalle “forze dell’ordine” e di proseguire verso la stazione ferroviaria; parte così la prima carica dei celerini, dalla quale il corteo esce però in breve ricompattato e determinato.
La stazione è già da tempo assediata dalla polizia ma il corteo si è ormai trasformato in una folla di gente esasperata: il vicequestore non prova nemmeno a contrastarla e si limita a schierare gli uomini a difesa degli impianti tecnici. I manifestanti si impossessano dei binari, determinati a mantenere l’occupazione, ma dal Viminale, guidato dal reazionario Franco Restivo, lo stesso ex ministro democristiano recentemente tirato in ballo da Ciancimino junior nelle varie inchieste su mafia, stragi, servizi segreti e trattativa Stato mafia, arriva l’ordine di rimuovere i blocchi e reprimere nel sangue la protesta.
Partono le prime cariche selvagge che proseguono per più di un’ora senza lesinare l’uso di manganelli, lacrimogeni ed idranti, a cui la popolazione risponde con una fitta sassaiola.
Nel tardo pomeriggio il corteo incanala la propria rabbia contro il Commissariato di via Gramsci, dentro cui si sono asserragliati un centinaio di poliziotti e carabinieri che iniziano a sparare all’impazzata sulla folla, uccidendo Teresa Ricciardi, giovane insegnante che seguiva gli scontri dalla finestra della propria abitazione, e l’operaio tipografo diciannovenne Carmine Citro; tra i 200 manifestanti feriti almeno la metà presenta ferite da arma da fuoco.
Tutta la popolazione insorge insieme ai manifestanti e permette di soccorrere i feriti lanciando oggetti e suppellettili dai balconi contro le forze dell’ordine. La maggior parte dei celerini è costretta a fuggire a gambe levate. La rabbia della folla si scaglia anche contro il Municipio, poi verso sera sulla città torna a regnare la calma.
L’eco della rivolta di Battipaglia giunge fino a Roma, dove viene raggiunto un accordo per la riapertura delle due fabbriche. Ma non basta. I sindacati e tutta la popolazione nei giorni seguenti organizzano uno storico sciopero generale di protesta contro il governo DC-PSI-PRI egemonizzato dalla destra DC e guidato da Mariano Rumor e contro l'eccidio appena compiuto.
Per noi ricordare quel movimento di lotta, richiamare alla memoria l'"Autunno caldo'', i morti e i feriti di Battipaglia e di tante altre città del Nord, Centro e Sud Italia, non è certamente un atto formale né un semplice momento commemorativo. Rappresenta uno stimolo e uno strumento per le nuove generazioni; per i giovani operai e studenti che quegli avvenimenti non hanno vissuto e ai quali devono ispirarsi per abbattere il governo nero, fascista e razzista Salvini-Di Maio, spazzare via il capitalismo e cominciare davvero a costruire un mondo migliore.
10 aprile 2019