Forte denuncia del professore Mattei e dell’ex assessore ai Beni Comuni Lucarelli
De Magistris svende i beni pubblici di Napoli
L'inizio della dismissione voluta dal prefetto Carpino, sodale del ducetto di Maio
Redazione di Napoli
Il 22 marzo scorso buona parte delle strutture pubbliche, tra cui centri sociali, case occupate e autogestite, beni pubblici trasformati in “beni comuni” secondo la delibera della giunta napoletana di De Magistris n. 446 del 2016, sono state colpite da questa sorta di sigillo che bloccava i cancelli d’entrata o quelli periferici: “Agenzia del Demanio – Direzione Regionale della Campania. AVVISO: si comunica che in data 22/03/2019 personale dell’Agenzia del Demanio si è recato presso il presente immobile di proprietà dello Stato per sottoporlo ad attività di vigilanza ex DPR 13/7/1998 n. 367”.
In un attimo i comunicati dei disoccupati organizzati e poi mano mano di tutte le realtà politiche e di movimento napoletane hanno denunciato questo “avviso” e poi chiesto i motivi di questa affissione direttamente alla giunta arancione. In realtà dietro questa operazione sembrava esserci, in un primo momento, il solo prefetto Riccardo Carpino, direttore dell’Agenzia del Demanio dall’agosto 2018 su volere del ducetto Di Maio, ma dal 2008 al 2011 già capo di gabinetto del ministro per i rapporti con le Regioni, il turismo e lo sport, ai tempi cioè del ministro Raffaele Fitto (ex UDC). L’idea di Carpino è che per valorizzare gli immobili pubblici presenti sul territorio napoletano, ne vanno dismessi alcuni che farebbero rientrare un po’ di denaro pubblico nelle precarie casse comunali. Tramite il “Regolamento recante norme per la semplificazione del procedimento di presa in consegna di immobili e compiti di sorveglianza sugli immobili”, Carpino vorrebbe programmare l’attività di vigilanza degli immobili, vederne la consistenza e avviare la svendita.
In realtà in questa nuova privatizzazione, che sembra far ripiombare Napoli ai tempi dei governi di “centro-sinistra” del rinnegato Bassolino e della DC Iervolino, Carpino e Di Maio non sembrano essere soli. Una delibera che ha visto il 31 marzo l’unanime voto della giunta che alla presenza di tutti gli assessori, varava un clamoroso quanto scandaloso piano di dismissione di 479 cespiti immobiliari, tra cui il lido Pola e l’ex Carcere Filangieri oggi autogestiti dai giovani centri sociali (“Bancarotta” e “Scugnizzo Liberato”) che hanno creato spazi di aggregazione in quartieri difficili come, rispettivamente, Bagnoli e Montesanto.
In una nota del 7 aprile la giunta De Magistris cercava di aggiustare il tiro e tranquillizzava i giovani dei centri sociali: da un lato si rivendicava il proprio ruolo di capitale dei beni comuni; dall’altro accusava i propri uffici dell'errato inserimento di Lido e Scugnizzo nella delibera di dismissione. Nessuna altra parola, invece, sui restanti 477 beni pubblici che verranno probabilmente svenduti ai pescecani di turno pronti ad approfittare della delibera privatizzatrice.
“Ciò che si è clamorosamente verificato a Napoli è un problema istituzionale che va ben oltre la sincerità di questo o quell'amministratore locale - affermano il professore Ugo Mattei e l’ex assessore ai Beni Comuni del Comune di Napoli Lucarelli su “Il Fatto quotidiano” del 10 aprile scorso -. Simili dismissioni, completamente discrezionali per gli enti pubblici titolari dei beni pubblici (circa il 70% degli immobili pubblici sono comunali) avverranno sempre più intensamente, perché il pubblico oggi è alla mercé dei poteri privati organizzati e nessuna legge limita le sdemanializzazioni a loro vantaggio (molto spesso la forza coi deboli prova a nascondere la debolezza verso i forti)”. Mattei e Lucarelli fanno l’esempio dell’area ex ferroviaria di Saronno, messa in vendita per 22 milioni, che potrebbe essere aggiudicata per poco più di tre milioni a speculatori e palazzinari.
Contemporaneamente, anche dopo la doppia sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, le istituzioni locali e nazionali in camicia nera che ritenevano ormai fosse necessario dare spazio ai “beni comuni” rinnovando il codice fascista del 1942 definitivamente, hanno fatto orecchie da mercante; cominciando proprio dalla giunta antipopolare De Magistris che nulla ha fatto per resistere al possibile saccheggio dei beni comuni cittadini.
“Con il Referendum del 2011 il popolo aveva accolto la nostra impostazione – continuano Mattei e Lucarelli - dicendo basta alle privatizzazioni neoliberali dei beni comuni (….). Napoli aveva faticosamente portato avanti, in un quadro legislativo nazionale avverso, una coraggiosa sperimentazione locale (compresa la ripubblicizzazione dell'acquedotto)”. Infatti si annunciava in maniera “rivoluzionaria” e a bandiere arancioni spiegate la modifica all’unanimità dello stesso Statuto comunale nel 2011, inserendo tra i valori fondativi la nozione dei beni comuni elaborata dalla Commissione Rodotà; per poi disattenderli subito dopo, il che provocava la ferma denuncia di noi marxisti-leninisti.
Criticando decisamente la recente delibera della giunta antipopolare del neopodestà De Magistris, sia Mattei che Lucarelli ritengono ormai “necessaria con estrema urgenza una legge nazionale che modifichi il Codice, protegga la dimensione sociale ed ecologica del nostro diritto dei beni riservandone le utilità alle generazioni future. Solo così si possono blindare i beni pubblici nei confronti di svendite truffaldine, legalizzate dalla debolezza del demanio”. E ancora, con una certa frustrazione: “Quanto sta succedendo nella Capitale dei beni comuni, obbliga tutti ad abbandonare finalmente distinguo, particolarismi e nostalgie (del demanio) per mettere in campo intorno alla legge di iniziativa popolare Rodotà un fronte unico capace di conquistare milioni di firme per fermare il saccheggio dei nostri beni e garantirli per le generazioni che verranno”.
17 aprile 2019