Altro che “anno bellissimo” preannunciato da Conte
Il Def certifica che l'Italia non cresce
I sindacati confederali minacciano lo sciopero generale. Niente per il Mezzogiorno e il lavoro. Tagli per 2 miliardi. Flat tax per i ricchi. Privatizzazioni e dismissioni immobiliari. Sblocca porcate. Rischio aumento Iva e manovra correttiva
La cancellazione dell'usuale conferenza stampa, al termine del Consiglio dei ministri del 9 aprile che ha approvato il Documento di economia e finanza (Def), certificava l'imbarazzo del governo per il quadro economico deludente, per non dire disastroso, che emerge nero su bianco dopo quasi un anno di vita del "governo del cambiamento" Lega-M5S e un quadrimestre dalla tanto strombazzata "manovra del popolo".
I numeri parlano chiaro, e sono impietosi: il 2018 si è chiuso con un incremento reale del Pil dello 0,9%, e la proiezione di crescita tendenziale per il 2019, che nella manovra di dicembre era stata fissata all'1% (dopo il braccio di ferro perso con la Ue, perché inizialmente Salvini e Di Maio avevano sparato addirittura l'1,5%), viene rivista ad un misero 0,1%. E il rapporto deficit/Pil, programmato al 2,04%, salirà invece al 2,4%, cioè di fatto quello che i due ducetti volevano imporre nella legge di Bilancio 2019 al ministro dell'Economia Tria e alla Commissione europea, per finanziare in deficit le loro "riforme" demagogiche ed elettoralistiche come il Reddito di cittadinanza e Quota cento: solo che nei loro proclami al "popolo" avrebbe dovuto far fare all'economia dell'Italia un balzo dell'1,5%, mentre adesso devono accontentarsi dello 0,1%, che col contributo del "decreto crescita" e del decreto "sblocca cantieri" porterebbe, bene che vada, ad una crescita programmatica di Pil dello 0,2%.
Due decreti che fra l'altro non garantiscono affatto la crescita, poiché il primo anziché varare nuovi investimenti consiste essenzialmente in detassazioni alle imprese, un ulteriore condono e qualche pannicello caldo per le esauste finanze comunali, mentre non prevede assolutamente nulla per il Sud e per il lavoro ed espone il nostro patrimonio culturale alla speculazione privata; e il secondo, ribattezzato non a caso dai sindacati "sblocca porcate", punta tutto sulle grandi opere, e prevalentemente concentrate al Nord, e alla liberalizzazione degli appalti, con più lavoro nero, più mafia e meno sicurezza sui cantieri.
Manovra correttiva, tagli lineari per 2 miliardi, blocco dei fondi al trasporto locale
Non molto meglio vanno le previsioni per i prossimi tre anni, visto che si parla di una crescita dello 0,8% complessiva nel triennio 2020-2022, e con una riduzione di deficit all'1,5% nel 2022. E il peggio è che nel Def si prende pure atto che per il 2019 il contributo alla crescita del Pil dei due suddetti provvedimenti bandiera di Lega e M5S è pari a zero. Stando così le cose non è nemmeno escluso che si renda necessaria una manovra correttiva in estate (in ogni caso, ovviamente, dopo le elezioni europee), che la Commissione europea potrebbe esigere per non aprire la procedura di infrazione, visto che il governo non ha rispettato le cifre pattuite. Per scongiurarla nel Def si riconferma la clausola di salvaguardia del congelamento di due miliardi di risorse tagliate linearmente a tutti i ministeri, aggiungendoci anche le risorse destinate al trasporto pubblico locale, "per far fronte a specifiche esigenze economico-contabili".
Da queste cifre imbarazzanti la dichiarazione di Conte che il 2019 sarebbe stato un "anno bellissimo" viene precocemente ridicolizzata, anche se il premier ha cercato di cavarsela dicendo che quella era solo "una battuta di reazione a previsioni troppo pessimistiche", e che "non ci sono state cattive previsioni. È che oggi c'è una congiuntura completamente diversa". E comunque lo 0,2% di crescita è stato scritto solo "per prudenza", dato che "secondo il governo la crescita potrebbe essere superiore".
Chi si contenta gode. Oltretutto le cifre di questo Def sono scritte sull'acqua, perché su di esso pesano grosse incognite che saranno sciolte solo con la prossima legge di Bilancio in autunno, e che nel documento sono solo enunciate senza essere accompagnate dalle necessarie coperture. La prima e la più pesante è la clausola di salvaguardia dell'aumento dell'Iva, che per essere disinnescata deve essere coperta con risorse (tagli alla spesa e nuove entrate) per ben 23 miliardi. La seconda è la Flat tax, che Salvini ha voluto inserire a tutti i costi nonostante la riluttanza e i mugugni di Tria, Conte e perfino Di Maio, e che nell'ipotesi da lui formulata dell'aliquota unica al 15% per tutti i redditi Irpef fino a 50 mila euro, costerebbe non meno di 13 miliardi.
Una tassa piatta che favorisce solo le fasce più alte di reddito, quelle tra i 40 e i 50 mila euro, con risparmi di Irpef anche del 50%, mentre per quelle medio-basse il vantaggio sarebbe pressoché nullo o addirittura negativo, perché per esse contano molto le attuali detrazioni fiscali, che verrebbero azzerate in caso di opzione per la Flat tax. Senza contare lo scalino penalizzante che si creerebbe per i redditi immediatamente superiori ai 50 mila euro, l'incentivo alle separazioni fittizie per rientrare nel tetto, e così via.
Privatizzazioni, dismissioni, aumenti Iva e tagli alla spesa
Solo con queste due voci siamo già ad una manovra da 36 miliardi da varare a fine anno. Ci sono poi altre incognite grosse come macigni tutte da verificare a fine 2019: per esempio il piano di privatizzazioni per 18 miliardi che il governo aveva messo in bilancio per quest'anno (e altri 5,5 per il 2020), ma che a tutt'oggi non ha portato in cassa nemmeno un euro. E si parla di pezzi di primarie aziende partecipate dallo Stato, come il 53% di Enav, il 30% di Poste italiane, il 4,34% di Eni e il 13% di StMicroelectronics, la cui vendita sul mercato richiede tempo e procedure complesse. A questo si aggiunge il piano di dismissioni di immobili dello Stato per 1,84 miliardi già previsti e altri 1,25 miliardi nel triennio 2019-2021. Se anche tutte o in parte queste entrate verranno a mancare a fine anno, andranno trovate altre risorse per coprire il buco.
Il ridicolo è che nella risoluzione congiunta Lega-M5S sul Def approvata a larga maggioranza alle Camere, si ribadisce tassativamente che il governo si impegna "ad adottare misure per il disinnesco delle clausole di salvaguardia fiscali del 2020", vale a dire aumento di Iva e accise sui carburanti, nonché ad inserire la Flat tax nella prossima legge di Bilancio (anche se nel Def non ci sono cifre già fissate, come avrebbe voluto Salvini). E contemporaneamente si impegna "a non prevedere misure di incremento della tassazione sui patrimoni".
E allora, se Iva e accise non devono aumentare e di tassazione patrimoniale neanche a parlarne, dove pensa il governo di trovare i 36 miliardi, come minimo, per sterilizzare l'Iva e varare la Flat tax per regalare soldi ai più ricchi? Mistero, nessuno nel governo e nella maggioranza è in grado di spiegarlo. Non certo dalla lotta all'evasione fiscale, visto che nel 2018 il gettito di imposte recuperate risulta addirittura in calo del 4,5%. Si sa solo che, come recita la risoluzione sul Def, il governo adotterà "un piano di razionalizzazione, riqualificazione e di revisione della spesa pubblica ed in particolare delle amministrazioni pubbliche, degli enti pubblici e delle società controllate direttamente o indirettamente da amministrazioni pubbliche": cioè la fantomatica spending review,
che se dovesse essere applicata veramente a tutte le amministrazioni pubbliche e società partecipate dallo Stato e dagli enti locali per coprire una cifra così consistente, metterebbe in serio pericolo il funzionamento della macchina amministrativa e produrrebbe una falcidie senza precedenti nelle prestazioni sociali.
"La tassa piatta è stata promessa e si farà"
Il ministro Tria, almeno inizialmente, aveva avvertito che se si vuole abbassare le tasse occorre rinunciare alla sterilizzazione dell'Iva. Ma per la Lega questo problema non esiste: "La cosiddetta tassa piatta è prioritaria per la Lega. E' stata promessa e si farà", ha sentenziato la ministra della Funzione pubblica, Giulia Bongiorno. Quanto alle risorse necessarie, ha aggiunto, "c'è un vasto piano (sic) di taglio della spesa pubblica, l'aumento dell'Iva non è nemmeno da prendere in considerazione".
È più probabile che alla fine si seguano tutte e due le strade, come si comincia ad avanzare in certi ambienti di governo (oltre al favorevole Tria sarebbero possibilisti anche Conte e il sottosegretario Giorgetti), con aumenti differenziati dell'Iva e robusti tagli alla spesa, per scaricare sui consumi e sullo Stato sociale (sanità, trasporti, scuola e Università, servizi sociali e assistenziali), cioè in tutti e due i casi sui ceti meno abbienti, i costi della Flat tax da regalare all'elettorato più benestante della Lega, il suo nocciolo duro: piccoli e medi imprenditori, commercianti, proprietari immobiliari, professionisti, impiegati di fascia alta e manager, ecc.
Anche gli industriali hanno fatto sapere di gradire l'ipotesi di una Flat tax pagata con mirati aumenti delle aliquote Iva, tagli alle detrazioni fiscali e tagli alla spesa pubblica: "Con il governo il clima è cambiato", ha dichiarato Vincenzo Boccia al Corriere della Sera
. "Se il governo intendesse fare una vera riforma fiscale che agevoli i cosiddetti produttori, imprese e lavoratori, quindi un'operazione macro, che non riguardi solo le clausole di salvaguardia Iva, sarebbe arrivato il momento di pensarci", ha aggiunto il presidente di Confindustria .
Il Def del governo è stato bocciato dalle confederazioni sindacali nella riunione dei loro esecutivi a Roma, che non hanno escluso uno sciopero generale se il governo non accetterà un confronto "serio" e non darà le risposte "attese". E hanno ricordato le iniziative di lotta già in programma, dalle manifestazioni nazionali dei pensionati del 1° giugno e del pubblico impiego l'8 giugno, allo sciopero della scuola il 17 maggio e quello dei metalmeccanici il 14 giugno.
ci auguriamo che le direzioni sindacali tengano fede a questo proposito, anche se per parte nostra lo sciopero generale, nazionale di 8 ore con manifestazione a Roma davanti a palazzo Chigi, sarebbe già necessario subito, visto che questo governo nero ha già dimostrato ampiamente la sua natura razzista e fascista e la sua politica economica tanto elettoralistica e demagogica verso i lavoratori e le masse popolari, quanto compiacente e larga di maniche verso i capitalisti, i ricchi, gli evasori fiscali e gli speculatori edilizi, e prima viene buttato giù da sinistra con la lotta e meglio è per il Paese.
24 aprile 2019