La Corte dei conti contesta a Zingaretti un danno erariale di 260 milioni
Triangolo Zingaretti-Parnasi-Bnp
Il Segretario del PD è anche indagato per finanziamento illecito
Coinvolta anche la sindaca Raggi
In qualità di ex presidente della Provincia di Roma, la Corte dei Conti contesta al neosegretario del PD Nicola Zingaretti un danno erariale da 263 milioni nell'ambito dell'inchiesta inerente la compravendita del palazzo della Provincia di Roma stipulata qualche anno fa col palazzinaro romano Luca Parnasi già protagonista dei peggiori scandali della Capitale e finito in manette nel giugno scorso insieme all'avvocato genovese Luca Lanzalone, il “Mr. Wolf” di Virginia Raggi nonché “capo di un’associazione a delinquere finalizzata alla corruzione”, nell'ambito dell’inchiesta sulla costruzione del nuovo stadio della AS Roma e altri grandi appalti di Roma Capitale.
Ai danni di Zingaretti e della sua amministrazione di centro “sinistra” la magistratura contabile ipotizza un danno erariale pari all’intero costo del grattacielo (263 milioni) o comunque non inferiore a 107 milioni, tra cui i 70 milioni dovuti alle nuove quote e i 20 milioni spesi in affitti per il 2013 e 2014 visto che la Provincia acquistò il Palazzo due anni prima che il grattacielo di Parnasi fosse pronto.
Tutto inizia nel 2005, quando a capo dell’ente c’è il rutelliano Enrico Gasbarra il quale lancia il grande progetto della sede unica per tutti gli uffici della Provincia. La scelta, nonostante altre opzioni, cade su uno dei due grattacieli che Sandro e Luca Parnasi stanno costruendo all’Eur, in zona Castellaccio.
Il contratto preliminare viene stipulato nell’ottobre 2010 con Zingaretti presidente da oltre due anni.
L’acquisto dell'immobile avviene attraverso una triangolazione di torbidi interessi tra l’ex Provincia di Roma, Parnasi e Bnp Paribas, nonostante sussista un gigantesco conflitto d’interessi plurimo senza precedenti.
Il contratto prevede che la Provincia di Roma mette tutti i suoi immobili, alcuni di pregio e in pieno centro, in un fondo che dovrà venderli; in cambio incassa subito un prestito di 263 milioni, pari al valore che Parnasi chiede per il suo grattacielo.
Nel febbraio 2010 Cassa depositi e prestiti avverte Zingaretti e la sua giunta che il fondo è un’opzione inutilmente rischiosa: meglio vendere i palazzi uno per uno o in blocco. Il 19 dicembre 2012, appena 10 giorni prima delle sue dimissioni e l'annuncio della sua candidatura a Governatore, Zingaretti dà il via libera alla costituzione del Fondo immobiliare “Provincia di Roma”.
Con l'approvazione di questo provvedimento, sottolinea il procuratore della Corte dei Conti, Massimo Lasalvia, la giunta si è messa da sola “nella condizione di dover necessariamente costituire un Fondo”, “strumento atipico e rischioso”. Non solo. l’Ente si “autoqualifica ‘cliente professionale’, caratteristica riconosciuta in automatico solo a governo e Banca d’Italia” e investe da subito il suo Fondo del pieno “rischio di mercato”.
Ma non è tutto: la gestione del Fondo viene affidata a una società specializzata, che poi è quella che ha presentato l’unica offerta valida, la Sgr di Bnp Paribas la quale firma immediatamente il contratto d’acquisto, il 28 dicembre 2012, cioè il giorno prima dell’addio di Zingaretti.
Il palazzo da 263 milioni viene venduto dal Fondo Upside, gestito sempre da Bnp su mandato di Parnasi, e acquistato a carico del Fondo Provincia, scrive il magistrato, “attraverso l’assunzione di un oneroso mutuo di 215 milioni a un tasso elevato presso banca del gruppo Bnp, al solo fine di far beneficiare il venditore Bnp Upside, e per esso la società costruttrice del gruppo Parnasi dell’intera pronta liquidità, oltre a gravarsi di pesantissime commissioni sul finanziamento”.
Il Fondo ha durata triennale (dicembre 2015), con due anni di possibile proroga e ulteriori tre per il cosiddetto “periodo di grazia”. Ma la sua gestione è a dir poco catastrofica. I 20 immobili conferiti dalla Provincia all'epoca avevano un valore di mercato di oltre 255 milioni. Ma in tre anni ne vengono venduti solo un paio e pure sottocosto. Operazioni che nel giro di pochi mesi inducono il Fondo Provincia “a un default tecnico” ulteriormente aggravato dal fatto che nel frattempo il loro valore complessivo è sceso di oltre il 20% pari a circa 50 milioni di euro.
Un invito a nozze per le banche creditrici, prima fra tutte proprio Bnp, che si avventano sul disastro finanziario e costringono “la Provincia alla sottoscrizione di nuove quote per 50 milioni di euro” tra 2016 e 2017, a cui si aggiungono 10 milioni nel 2018 e 10 quest’anno (motivo per cui è coinvolta Raggi, che guida la città metropolitana, ex provincia).
Ma i guai giudiziari di Zingaretti non finiscono qui. Sul suo capo pende anche un avviso di garanzia notificatogli dalla Procura di Roma che lo indaga per finanziamento illecito.
L'inchiesta sul neo segretario del PD è condotta dal procuratore aggiunto Paolo Ielo e dal Pubblico ministero (Pm) Stefano Fava, e prende spunto dalla dichiarazioni degli avvocati siracusani Piero Amara e Giuseppe Calafiore: finiti in galera il 6 febbraio 2018 e condannati con patteggiamento rispettivamente a 3 anni di reclusione e a 2 anni e nove mesi lo scorso febbraio a conclusione del procedimento avviato dalle procure di Roma e Messina sul “Sistema Siracusa” inerente la compravendita delle sentenze al Consiglio di Stato.
Durante l'interrogatorio del 6 luglio scorso Calafiore ha raccontato ai magistrati che l'imprenditore Fabrizio Centofanti (ex capo delle relazioni istituzionali di Francesco Bellavista Caltagirone socio in affari con lo stesso Amara, arrestato a febbraio 2018, ora è libero in attesa di processo, e soprattutto in buoni rapporti con Zingaretti) “è un lobbista che a Roma è dotato di un circuito relazionale di estrema importanza: magistrati, politici, appartenenti al Consiglio superiore della magistratura” che lo tutelano e lo proteggono.
Per questo ha aggiunto Calafiore: “Era sicuro di non essere arrestato; perché questo tipo di assicurazioni gli davano uomini delle istituzioni dei quali non conosco l’identità e perché riteneva di essere al sicuro in ragione di erogazioni che lui aveva fatto per favorire l’attività politica di Zingaretti... che non aveva problemi sulla regione Lazio, perché Zingaretti era a sua disposizione”.
Da qui l’iscrizione di Zingaretti nel registro degli indagati, che, secondo quanto pubblicato da L'Espresso il 19 marzo scorso, risalirebbe al luglio 2018.
Dalle parole di Amara è nato anche un altro filone di indagine, quello che vede indagato Silvio Berlusconi. Il boss di Forza Italia è accusato per corruzione in atti giudiziari per una sentenza del Consiglio di Stato che gli permise di mantenere parte del pacchetto azionario di Mediolanum, diversamente da quanto stabilito dalla Banca d’Italia.
A tal proposito, Amara ha riferito di aver saputo “di una promessa al consigliere Giovagnoli di una somma di 230 mila euro, per la funzione dal medesimo svolta quale componente il collegio che ha deciso su una vicenda in cui era coinvolta una società riconducibile al gruppo facente capo a Silvio Berlusconi”. Una circostanza appresa da testimonianza de relato ma confermata anche da Calafiore.
I due avvocati siracusani hanno chiamato in causa anche l’ex capo di gabinetto di Zingaretti, Maurizio Venafro (già coinvolto con lo stesso Zingaretti in Mafia capitale) perché: Centofanti avrebbe spiegato a Calafiore che le fatture a Venafro “erano state un modo per remunerarlo per un’attività che egli aveva svolto quando era funzionario della Regione Lazio, in ordine a un’autorizzazione che non sarebbe stata concessa senza il suo intervento”. Ossia per ottenere una autorizzazione dalla Regione Lazio per due centrali idroelettriche a Tarquinia, controllate da Centofanti e Amara attraverso la società Energie Nuove.
Mentre Calafiore ha aggiunto che: “una cosa del genere la faceva Amara con Paradiso (Filippo, ndr), funzionario che lavorava presso il ministero degli Interni. Svolgeva funzioni di pubbliche relazioni per conto di Amara, che lo dotava di una carta di credito e in un’occasione gli ha dato anche dei soldi, 2.100 euro”.
Altro che “cambiamento” come ha annunciato Zingaretti appena eletto segretario del PD: questa è perfetta continuità con la corruzione e Mafia capitale!
30 aprile 2019