Applicando la linea fascista di Minniti e Salvini sulla sicurezza
Bologna e Firenze in mano al PD apripista nella “caccia ai balordi”
Salvini istituisce i prefetti neopodestà
Bologna e Firenze, due grandi città amministrate entrambe dal PD, hanno oggi il poco onorevole primato di laboratorio per la sperimentazione della politica di “sicurezza” diretta contro migranti, mendicanti, clochard ed altri emarginati sociali, inaugurata da Minniti e inasprita dal suo successore Salvini.
La prima fu Bologna nel dicembre 2017, quando al Viminale c’era Minniti, ad adottare con il prefetto Matteo Piantedosi, sulla base del decreto antimigranti varato a febbraio dal ministro PD, un provvedimento straordinario di divieto di accesso e stazionamento in alcune aree ritenute a rischio, come quella del parco della Montagnola, a persone denunciate dalle forze di polizia per attività legate a spaccio di droga; ma anche a persone coinvolte in “risse, percosse, lesioni personali, danneggiamento di beni e commercio abusivo su aree pubbliche”.
Una formula abbastanza ampia da includere quindi venditori ambulanti, mendicanti, senza fissa dimora, occupanti di case ed emarginati in generale. Tanto da sollevare forti dubbi di opportunità e di costituzionalità da parte di diversi giuristi che parlarono di “una gamma di sanzioni solo nominalmente amministrative ma che si traducevano in realtà in provvedimenti fortemente limitativi della libertà personale”. Il sindaco Virginio Merola, invece, non solo approvò l’ordinanza ma chiese che venisse estesa anche alla zona universitaria. L’ordinanza fu poi rinnovata anche dalla nuova prefetta Patrizia Impresa.
Di recente, come abbiamo denunciato sul n. 15/2019 de Il Bolscevico
, un’ordinanza simile, della validità di tre mesi, è stata adottata anche dalla prefetta di Firenze Laura Lega il 10 aprile scorso, con l’istituzione di una “zona rossa” comprendente il centro storico allargato ad alcune zone limitrofe, interdetta a soggetti “che ne impediscano l’accessibilità e la fruizione” e per “rendere più difficile il radicamento di fenomeni di illegalità e di degrado”. Con il plauso del sindaco, il renziano Dario Nardella, che del resto aveva condiviso la misura nella riunione del Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica, il quale lo ha salutato come un “provvedimento senz’altro utile che rafforza l’azione che le forze dell’ordine stanno svolgendo nel nostro territorio, nonostante il fatto che siano sotto organico e siano in attesa di agenti che devono venire da Roma come promesso. Noi come Comune abbiamo collaborato attivamente, perché credo che il gioco di squadra possa essere molto utile, anche se è giusto che l’apporto più rilevante per la sicurezza dei cittadini sia dato dallo Stato”.
La direttiva di Salvini ai prefetti
Bologna e Firenze si prestano perciò a fare da apripista per l’affermazione della linea securitaria fascista di Salvini, che può così zittire chi la critica sostenendo che a volerla per prime sono le città amministrate dalla “sinistra” (borghese, ndr). È forte anche di questa non indifferente pezza d’appoggio che il nostro “ministro della paura” ha varato una direttiva ai prefetti e “per conoscenza” al capo della polizia ordinando loro di applicare ed estendere in tutta Italia ordinanze simili a quelle di Bologna e Firenze sulle “zone rosse”.
La direttiva, volta infatti a promuovere “ordinanze e provvedimenti antidegrado e contro l’illegalità”, fa riferimento alle grandi città metropolitane e più in generale alle zone dove si registrano “fenomeni antisociali e di inciviltà lesivi del ‘buon vivere’ cittadino, particolarmente in determinati luoghi caratterizzati dal persistente afflusso di un notevole numero di persone, sovente in condizioni di disagio sociale”. E all’obiettivo di “prevenire e contrastare l’insorgenza di condotte di diversa natura che – pur non costituendo violazioni di legge – sono comunque di ostacolo alla piena mobilità e fruibilità di specifiche aree pubbliche”.
Dopo aver richiamato tutta la legislazione vigente in materia, a partire dal decreto Minniti del 20 febbraio 2017 che dava ai sindaci poteri di interdire aree cittadine di pregio e comminare Daspo per motivi di sicurezza e “decoro” urbano, la sua estensione anche a ospedali e luoghi di mercati, fiere e teatri disposta dal decreto legge che porta il suo nome, e l’introduzione nel codice penale del reato di esercizio molesto dell’accattonaggio e dell’esercizio abusivo dell’attività di parcheggiatore, Salvini sottolinea che l’esperienza sui territori “ha evidenziato l’esigenza di intervenire con mezzi ulteriori ogni qual volta emerga la necessità di un’azione di sistematico ‘disturbo’ di talune condotte delittuose che destano nella popolazione un crescente allarme sociale”. Con particolare riferimento alle “cosiddette piazze dello spaccio”.
Il ricorso a questi “mezzi ulteriori” a cui Salvini allude, da adottare al di là della legislazione vigente, diventa “improcrastinabile” e “giustificato”, da parte dei prefetti, “laddove non sia già stato perseguito utilizzando le possibilità offerte dal suddetto ‘pacchetto’ normativo”, allo scopo di “potenziare l’azione di contrasto al radicamento di fenomenologie di illegalità e di degrado che attentano alla piena e civile fruibilità di specifici contesti cittadini”.
Il modello fascista dei prefetti neopodestà
In altre parole il ducetto fascio-leghista ordina ai suoi prefetti di intervenire direttamente con proprie ordinanze in tutte quelle situazioni in cui ritengano che i sindaci non facciano abbastanza per cacciare dai centri urbani migranti, ambulanti, mendicanti, clochard e altre persone, come lui stesso dice, “sovente in condizioni di disagio sociale”. Sul modello, appunto, “localmente sperimentato con successo” a Bologna e Firenze. E conclude la direttiva ordinando loro di “convocare specifiche riunioni del Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica”, onde stabilire “una complessiva strategia di intervento che contempli anche il ricorso al potere straordinario di ordinanza”, e di inviare a partire dal 31 maggio “puntuali” rapporti trimestrali sui risultati delle ordinanze adottate.
Con questa direttiva, perciò, Salvini prova ad assestare un altro colpo surrettizio alla Costituzione allargando i poteri dei prefetti ai suoi ordini, avendo evidentemente come modello di riferimento i podestà di Mussolini, tramite i quali il governo centrale fascista ramificava il suo potere anche a livello locale. Non a caso la direttiva ha sollevato le proteste dei sindaci di alcune grandi città, che hanno accusato Salvini di volerli “commissariare” tramite i prefetti minacciando la loro autonomia. “In caso di sindaci distratti - aveva dichiarato infatti pochi giorni prima il ministro dell’Interno - c’è sempre il supporto dei prefetti. Un esempio è l’ordinanza anti balordi (sic) del prefetto di Firenze Laura Lega, sulla base della quale emanerò a breve una direttiva che verrà applicata in tutta Italia”. Nella polemica si è inserito prontamente anche il ducetto Di Maio, il quale ha detto: “Io sono dell’opinione che chi governa lo scelgono i cittadini. E’ l’abc della democrazia”, ha chiosato schierandosi coi sindaci protestatari.
“Un disegno eversivo del ministro dell’Interno”
Tra questi il sindaco di Milano, Beppe Sala, e quello di Bari e presidente dell’Anci, Antonio Decaro, che ha rimproverato Salvini di non aver posto la questione nella Conferenza Stato-città, dove non si era fatto vedere, nel qual caso gli avrebbe detto “che varare zone rosse non risolve il problema, lo sposta altrove. Noi sindaci amministriamo ogni giorno, tra mille difficoltà e non abbiamo bisogno di essere commissariati da nessuno”. Ma in sostanza questi sindaci del PD si risentono solo per sentirsi diminuiti nei loro poteri, e non denunciano il contenuto fascista della direttiva di Salvini.
Un po’ più nel merito è entrato il sindaco di Palermo, Leoluca Orlando, dichiarando in una conferenza stampa che “se la Prefetta di Palermo si dovesse adeguare alla direttiva del ministro dell’Interno adirò al Tribunale amministrativo sulle cosiddette zone rosse. Siamo di fronte al segno dell’involuzione politica e culturale di questo ministro, si parla di caccia ai ‘balordi’, mi chiedo quale sia la definizione giuridica del termine ‘balordi”. Il sindaco di Palermo ha detto che “siamo in presenza di un disegno eversivo del ministro dell’Interno”, parlando anche di “comportamenti che se non sono criminali sono criminogeni”, e ha aggiunto: “Siamo in presenza di un governo che utilizza un’odiosa immunità parlamentare di un ministro, responsabile del reato di sequestro, la conferma che il nostro Paese è a rischio di tenuta democratica”.
Anche la sezione fiorentina dei Giuristi democratici ha espresso preoccupazione per la “deriva securitaria” impressa da ordinanze come quella di Firenze, che anticipano “la soglia di rilevanza di condotte non costituenti reato a livelli di prevenzione intollerabili in democrazia”, e che “violano anzitutto la riserva di legge e la riserva di giurisdizione e quindi almeno gli articoli 13 (libertà personale), 16 (libertà di circolazione) e 24 (diritto di difesa) della Costituzione”.
“Le massime espressioni del potere statuale, il ministero dell’interno ed ora alcuni prefetti, col plauso di alcuni sindaci - sottolinea il comunicato della sezione fiorentina dei Giuristi democratici - si fanno portavoce di un concetto vetusto di sicurezza e di una cultura attenta solo alla demagogica difesa da pericoli esterni, mentre dimenticano, o volutamente calpestano, le elementari garanzie dello stato di diritto e non rivolgono alcuna attenzione alle condizioni reali dei cittadini che manifestano piuttosto una diffusa e grave riduzione della loro sicurezza di poter esercitare appieno i diritti fondamentali, anzitutto i diritti sociali sanciti nella carta costituzionale”.
29 maggio 2019