Honduras
Rivolta contro il golpista Hernandez sostenuto da Trump
I manifestanti esigono la deroga dei decreti governativi sulla privatizzazione dei servizi
Lo sciopero generale di 48 ore del 30 e 31 maggio proclamato dalle organizzazioni riunite nella piattaforma in difesa della salute e dell’istruzione contro la privatizzazione dei servizi è stato l'ultimo atto della rivolta del popolo dell'Honduras protagonista da oltre un mese di proteste e duri scontri di piazza. Appena due giorni prima, il 28 maggio, il presidente Juan Orlando Hernandez aveva firmato il decreto che secondo le organizzazioni sindacali e le opposizioni porteranno a licenziamenti di massa dei dipendenti pubblici in scuole e ospedali.
Per il ritiro del decreto migliaia di manifestanti bloccavano le principali strade della capitale Tegucigalpa, comprese quelle che la collegano all’aeroporto di Toncontín che era chiuso, e tenevano testa alla repressione della polizia lanciando sassi e molotov e incendiando barricate, come quella eretta presso l'ambasciata Usa. Altre proteste continuavano nei giorni successivi; il 3 giugno i manifestanti nel villaggio di Guadalupe Carney davano fuoco ai contenitori della multinazionale agroalimentare americana Dole Fruit Company, una delle padrone del paese.
Le proteste e le rivolte contro il regime del presidente golpista Hernandez, sostenuto da Trump, erano iniziate lo scorso aprile e avevano ripreso vigore lo scorso 22 maggio con la presentazione in parlamento del nuovo bilancio dello Stato contenente pesanti tagli a istruzione e salute; due settori già colpiti da tagli negli ultimi dieci anni con i fondi del settore educativo passati dal 32,9% al 19,9% del bilancio, soprattutto col congelamento dei salari dei lavoratori e la riduzione di quelli per le infrastrutture, e quelli della sanità passati dal 14,3% al 9,7%.
Il percorso delle privatizzazioni era iniziato nel parlamento di Tegucigalpa a metà aprile con l'approvazione di una riforma del sistema scolastico e di quello sanitario subito contestata con scioperi e manifestazioni che ne chiedevano il ritiro. Dopo alcuni giorni di proteste e scontri di piazza, il 29 aprile, mentre nella capitale i dimostranti riuscivano a assaltare e dare fuoco a tre edifici pubblici e altre città e strade nazionali erano bloccate, il parlamento decideva di sospendere la controriforma.
Le manifestazioni continuavano ma il presidente Hernandez non intendeva cedere e il 28 maggio firmava il decreto sulle privatizzazioni che faceva ripartire la rivolta contro il progetto e tutta la politica antipopolare del suo governo. Un governo nato dopo la sua rielezione alla presidenza del novembre del 2017, contro il candidato dell’Alleanza di Opposizione contro la Dittatura, ritenuta falsificata da pesanti brogli persino dall'Organizzazione degli Stati americani; che naturalmente non ha poi mosso un dito contro il protetto dell'imperialismo americano.
L’Honduras è un piccolo paese con neanche nove milioni di abitanti dell'America Centrale venuto recentemente alle cronache per essere stato il punto di partenza di carovane di disperati diretti a piedi verso nord, verso gli Usa e bloccati dal muro al confine americano. Un paese povero, la cui economia è in mano alle multinazionali americane e alle organizzazioni criminali di narcotrafficanti che controllano la via della droga verso gli Usa; coi vicini El Salvador e Guatemala si contende il primato di paese con più omicidi del mondo, tutt'altro che quel “paradiso” spacciato in molte edizioni internazionali del programma televisivo L'isola dei famosi
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Un paese segnato dal golpe del 2009 contro il presidente Manuel Zelaya, la cui “colpa” era stata quella di aderire all’Alleanza Bolivariana per le Americhe fondata dal venezuelano Hugo Chávez, allontanandosi dallo stretto controllo dell'imperialismo americano. Washington non poteva perdere senza colpo ferire un paese nel quale aveva impiantato le basi dei "contras" nicaraguensi per combattere la rivoluzione del Nicaragua e che ospita a Palmerola e Mosquitia le due più grandi basi militari americane del Centro America.
Nel giugno 2009 l’esercito honduregno, di concerto con l'allora amministrazione Obama e in particolare con la Segretario di Stato Hillary Clinton, arrestò il presidente Zelaya, depose il governo e preparò la strada ai regimi filoamericani dei successivi presidenti, Micheletti, Porfirio Lobo Sosa e Hernandez. A Obama è succeduto Trump che continua a appoggiare Hernández e a seguire la stessa politica nel “cortile di casa” dell'imperialismo americano dove hanno messo più di un piede le rivali imperialiste Russia e Cina per scalzarlo.
12 giugno 2019