Contro la cassa integrazione imposta dai nuovi padroni di Arcelor-Mittal
Sciopero all'ex Ilva di Taranto
Il 4 di luglio, mentre al Ministero per lo sviluppo economico (Mise) a Roma s'incontravano Di Maio e i vertici di Arcelor-Mittal Europa e Italia, Geert Van Poelvoorde, Matthieu Jehl, e Samuele Pasi, a Taranto i lavoratori dell' ex Ilva scioperavano contro la cassa integrazione richiesta improvvisamente dai nuovi padroni dell'acciaieria pugliese.
Due questioni solo apparentemente distinte che i sindacati invece denunciano essere collegate tra loro. Sono i fatti e la tempistica a dirci che appena si è saputo che nel “decreto Crescita” era contenuta la fine dell’immunità penale la direzione aziendale ha comunicato l’intenzione di procedere ad una cassa integrazione di 13 settimane per quasi 1.400 lavoratori, ufficialmente “in ragione delle difficili condizioni di mercato“
Secondo il decreto legge varato dal governo l'immunità dovrebbe scadere il 6 settembre prossimo, e Arcelor-Mittal ha subito minacciato di mollare la più grande acciaieria d'Europa. I nuovi padroni non vogliono spendere un euro per le malefatte combinate dai Riva (i vecchi proprietari), anche se al momento dell'acquisto sapevano benissimo cosa si sarebbero trovati tra le mani.
L'incontro del 4 luglio al Mise non è stato risolutivo per cui è stato fissato un nuovo appuntamento per il 9 dello stesso mese. L'intenzione è quella di giungere ad un accordo che permetta alla nuova società di risparmiare molti milioni di euro. Fatto salvo l'impegno a rispettare le prescrizioni del Piano ambientale, si cercherà di ripristinare la vecchia immunità mascherandola dietro una interpretazione diversa.
Come riporta il quotidiano della Confindustria, Il sole 24 ore
:“in sostanza, l’obiettivo del leader 5 Stelle Di Maio è non far apparire l’intervento come una retromarcia, ribadendo che Arcelor-Mittal non pagherà per le colpe del passato ma spiegando nel contempo all'elettorato di riferimento che lo scudo non varrà per le condotte future”.
Intanto a Taranto lo sciopero ha dimostrato come la rassegnazione non abbia preso il sopravvento e i lavoratori sono pronti al conflitto e alla lotta. Anzitutto per fermare il ricorso alla cig e ai ricatti padronali. Nonostante l'azienda cerchi di sminuire l'adesione parlando di un 35%, Fim, Fiom e Uilm parlano di partecipazione del 75 per cento con punte superiori in alcune aree dello stabilimento. Le spiegazioni che vengono date a proposito del divario così evidente tra un numero e l'altro è che l'azienda considera dirigenti e impiegati sullo stesso piano degli operai, ma quest'ultimi hanno scioperato in maniera massiccia.
Valerio D’Alò, segretario nazionale Fim Cisl, definendo “altissima adesione allo sciopero nello stabilimento Arcelor Mittal di Taranto”, dice infatti che “il 75 per cento dei lavoratori delle due acciaierie ha incrociato le braccia”. E anche Francesca Re David, segretario generale Fiom Cgil, ha parlato di “un’altissima partecipazione dei lavoratori, con circa il 75 per cento di adesioni e impianti completamente fermi”.
Quello che non si può negare è che l'alta adesione degli operai ha bloccato la produzione. Come conferma Rocco Palombella, segretario generale Uilm: “al primo turno la percentuale è di circa l’80 per cento. Si sono fermati diversi impianti tra altoforni, acciaierie, laminatoi, servizi, manutenzione e hanno partecipato numerosi anche i lavoratori delle ditte in appalto”.
Era da tempo che non si registravano adesioni così alte. Ora i sindacati vogliono usare la pressione dello sciopero verso Arcelor-Mittal e il governo in vista dell’incontro al Mise del 9 luglio nel quale le sigle metalmeccaniche intendono fare un punto complessivo. Non solo lo stato dell’accordo di settembre 2018, quello che ha ufficializzato l’arrivo della multinazionale con le riassunzioni, ma anche la cassa integrazione e la questione dell’immunità penale collegata al piano ambientale.
10 luglio 2019