Con l'ordinanza che nega la convalida dell'arresto della comandante della Sea Watch 3
La GIP Vella smantella le tesi del PM e di Salvini
Nell'iniziare il commento all'ordinanza di tredici pagine - con la quale la Giudice per le Indagini Preliminari (GIP) del Tribunale di Agrigento, Alessandra Vella, non ha convalidato l'arresto di Carola Rackete e ha rigettato l'applicazione nei suoi confronti di altra misura cautelare - bisogna precisare che tale decisione giurisdizionale non prende in esame la colpevolezza o meno della giovane comandante tedesca in relazione ai reati a lei contestati dalla Procura della Repubblica (articolo 1100 del codice della navigazione, ossia resistenza o violenza contro nave da guerra, e articolo 337 del codice penale, ossia violenza o minaccia a un pubblico ufficiale) bensì soltanto la legittimità o meno del suo arresto in flagranza da parte della guardia di finanza (si ricordi che l'arresto, insieme al fermo, è una misura precautelare prevista per alcuni reati, come i due contestati alla Rackete, per i quali l'arresto è comunque facoltativo e non obbligatorio, e che il Pubblico Ministero aveva richiesto al GIP, oltre che la conversione della misura precautelare dell'arresto nella misura cautelare degli arresti domiciliari, anche l'irrogazione dell'ulteriore misura cautelare del divieto di dimora in provincia di Agrigento).
Nell'ordinamento processuale penale italiano, infatti, la decisione circa la colpevolezza o meno di un imputato relativamente alle ipotesi di reato a lui contestate è, dopo l'esercizio dell'azione penale da parte di quel magistrato inquirente che è il Pubblico Ministero (PM), compito dell'organo giurisdizionale di merito (nel caso della Rackete sarà il Tribunale dibattimentale di Agrigento o, nell'ipotesi che la giovane imputata scelga un rito alternativo, il Giudice per le Indagini Preliminari), mentre l'ordinanza in commento è estrinsecazione dei poteri tipici del GIP, il quale è l'organo giurisdizionale del Tribunale al quale il codice di procedura penale italiano assegna il compito di controllo circa la legittimità, in quella fase del procedimento penale che è precedente all'esercizio dell'azione penale e quindi all'inizio del processo di merito, degli atti compiuti nell'estrinsecazione dei rispettivi poteri sia dal Pubblico Ministero (e dalla polizia giudiziaria che da lui dipende) sia dal difensore della persona sottoposta alle indagini, ossia l'Avvocato Difensore. Nel caso in esame la GIP doveva quindi semplicemente valutare la legittimità o meno dell'atto precautelare di arresto, compiuto materialmente dalla guardia di finanza e tempestivamente convalidato dal PM, e decidere se convertirlo nella misura cautelare degli arresti domiciliari, e decidere altresì se irrogare o meno l'altra misura cautelare, richiesta dal PM, di divieto di dimora in provincia di Agrigento.
“Del particolare non si dà scienza”
A p. 2 della sua ordinanza la GIP Alessandra Vella scrive nella sua parte programmatica e introduttiva denominata “Premessa
“ che “il fatto contestato all'indagata Carola Rackete non può essere atomisticamente esaminato, ma deve essere vagliato unitamente ed alla luce di ciò che lo precede, ossia il soccorso in mare e gli obblighi che ne scaturiscono. In particolare, la Carta Costituzionale, le convenzioni internazionali, il diritto consuetudinario e i principi Generali del Diritto riconosciuti dalle Nazioni Unite, pongono obblighi specifici sia in capo ai comandanti delle navi che in capo agli Stati contraenti, in ordine alle operazioni di soccorso in mare
“: la giurista siciliana in queste poche righe anticipa che il suo programma esegetico sarà di tipo deduttivo, seguendo uno schema logico descritto per la prima volta da Aristotele nella sua Metafisica dove si può leggere che “del particolare non si dà scienza
“ (Aristotele, Metafisica
, Bari, 1973, p. 225). Contrariamente, infatti, all'esegesi delle norme giuridiche che Matteo Salvini e la sua scuola di sottili intellettuali vorrebbero eseguire a salto di quaglia, un interprete giuridico sa bene che quando deve essere valutato, alla luce del diritto, un fatto pienamente noto e che per la sua complessità spaziale e temporale (come lo è la vicenda della Sea Watch 3, che l'ha vista per oltre quindici giorni navigare tra le acque internazionali, quelle territoriali libiche e quelle territoriali italiane) può essere inquadrato e sussunto nell'ambito di una complessa serie di norme, è indispensabile per l'interprete la ricerca di quante più norme possibili senza fermarsi alle scarne norme dettate dai codici penale e di procedura penale, scartando poi, eventualmente e solo in un secondo momento, quelle disposizioni che non possono essere applicate al caso concreto in quanto speciali o in quanto inapplicabili per altra ragione, il tutto secondo un corretto modello di esegesi deduttiva che Alessandra Vella ha appreso, contrariamente a Matteo Salvini che in questa vicenda ci ha sbattuto il muso sia da un punto di vista politico sia da un punto di vista intellettuale, dal “maestro di color che sanno
“, come il sommo poeta Dante definisce Aristotele in Inferno, IV, 131.
Il dovere incondizionato del salvataggio in mare
Il programma logico delle norme applicabili al caso concreto è elencato dalla magistrata siciliana da pagina 2 a pagina 5 della sua ordinanza, nella parte denominata “In diritto
“.
La giurista esordisce citando l'articolo 10 della Costituzione, una norma che nell'ordinamento giuridico italiano riveste una particolare rilevanza per due motivi: il primo di essi è che si tratta di una norma di rango costituzionale che, nella gerarchia delle fonti normative dell'ordinamento italiano, ricopre una forza primaria e sovrasta tutte le altre norme, e il secondo motivo è che tale norma costituisce il condotto giuridico attraverso il quale possono penetrare nel diritto italiano norme internazionali consuetudinarie (ossia nate da comportamenti che soggetti pubblici e privati hanno tenuto per tanti secoli senza mai essere messe in discussione) e pattizie (ossia nate da convenzioni e trattati internazionali i quali, quando vengono ratificati dall'Italia, generano diritto valido anche nell'ordinamento interno dell'Italia) le quali, senza l'art. 10 della Costituzione, resterebbero al di fuori dell'ordinamento giuridico italiano.
La magistrata prende in considerazione la normativa della Convenzione di Montego Bay del 10 dicembre 1982, ratificata e resa esecutiva in Italia con la legge 2 dicembre 1994 n. 689, cita la Convenzione di Londra del 1° novembre 1974 ratificata e resa esecutiva in Italia con la legge 23 maggio 1980 n. 313 e tiene in debito conto della Convenzione di Amburgo del 27 aprile 1979 ratificata e resa esecutiva in Italia con la legge 3 aprile 1989 n. 47: tutte queste fonti internazionali dettano norme obbligatorie per ciò che riguarda il salvataggio di naufraghi in mare e hanno generato, a seguito di ratifica e di legge di esecuzione, diritto interno nell'ordinamento italiano, per cui hanno creato specifici obblighi di soccorso per i soggetti naviganti italiani, pubblici e privati, sia nelle acque territoriali sia nelle acque internazionali, e hanno creato altresì specifici obblighi di soccorso per le autorità portuali italiane.
La magistrata, peraltro, tiene ben presente, citandola, la normativa del testo unico sull'immigrazione (d.lgs. n. 286/1998) che prende in esame l'ipotesi che persone senza un valido titolo di ingresso possano giungere nel territorio italiano via mare e anche a seguito di naufragio, giungendo alla conclusione che “deriva l'obbligo, in capo alle autorità statali, di soccorrere e fornire prima assistenza, allo straniero che abbia fatto ingresso, anche non regolare, nel territorio dello Stato
“.
La ricostruzione dei fatti operata dal GIP smentisce le illazioni di Salvini e della stampa a lui asservita
Nella parte dell'ordinanza denominata “In fatto
“ (pagine 5-8) la magistrata siciliana ricostruisce la vicenda sulla base dei rapporti di servizio effettuati dalla guardia di finanza a partire dal 12 giugno, quando la Sea Watch 3 raccolse nella zona di ricerca e soccorso al largo delle acque territoriali libiche 53 migranti naufragati. La comandante Rackete, preso atto che in territorio libico, nel quale imperversa una guerra civile, non ci sono porti sicuri, inviò tempestivamente comunicazioni alle autorità italiane, maltesi e olandesi al fine di poter sbarcare i naufraghi, ma nessuna di tali autorità si mostrò disponibile, e nel frattempo, il 15 giugno, in Italia entrava in vigore il decreto sicurezza bis (d.l. n. 53/2019) e lo stesso giorno un provvedimento interministeriale italiano (interno, Difesa e Infrastrutture e Trasporti) vietava espressamente alla nave Sea Watch 3 l'attracco in qualsiasi porto italiano. La nave si portava quindi al largo di Lampedusa, da dove in tempi diversi venivano fatti sbarcare 13 migranti per ricevere cure a terra. La notte del 29 giugno, infine, la comandante Rackete decideva di fare ingresso, nonostante gli espressi e ripetuti divieti, nel porto di Lampedusa, dove la Sea Watch 3 si avvicinava per attraccare alla banchina, e dove (come riporta la stessa relazione della guardia di finanza) “durante le manovre di ormeggio presso la suddetta banchina, urtava l'unità della GDF V808 che, però riusciva a sfilarsi ed ad ormeggiare non lontano dalla nave
“: come si può vedere, è la stessa relazione di servizio - che, non dimentichiamolo, è di parte - a smentire le parole di Salvini e la fantasiosa ricostruzione degli eventi da parte della stampa a lui asservita, in quanto vi è stato un piccolo urto senza alcun danno, ed emerge anche che mai in nessuna occasione è mai stata messa in pericolo la vita di alcun finanziere, come in modo menzognero è stato fatto credere.
Le dichiarazioni di Carola Rackete hanno avuto una parte importante nella decisione della GIP
Nella parte dell'ordinanza denominata “Le dichiarazioni di Carola Rackete e il quadro normativo di riferimento
“ (pagine 8-11) il magistrato prende in esame le parole dell'indagata Carola Rackete, comandante del Sea Watch 3, pronunciate alla stessa udienza di convalida.
Il magistrato ha giudicato corretta, anche da un punto di vista strettamente giuridico, la decisione della giovane comandante di non sbarcare i naufraghi nel porto libico di Tripoli, in quanto sia il Commissario per i Diritti umani del Consiglio d'Europa sia alcuni tribunali italiani lo giudicavano espressamente non sicuro.
Anche il porto di Tunisi veniva giudicato problematico dalla comandante, la quale sapeva che un mercantile che aveva raccolto naufraghi era stato fatto attendere al largo per 14 giorni senza poter sbarcare, mentre Malta era giudicata troppo distante, per cui l'unico porto sicuro nelle vicinanze era considerato quello di Lampedusa. Anche tali decisioni della comandante erano ritenute giuridicamente ineccepibili da Alessandra Vella. Infine la comandante, dopo aver messo in risalto di aver cercato di non infrangere la legge per ben 14 giorni, ha dovuto cedere allo stato di necessità perché la situazione psicofisica dei naufraghi era diventata insostenibile, tanto da farle decidere prima l'entrata nelle acque territoriali italiane (26 giugno) e poi l'ingresso al porto di Lampedusa nella notte del 29 giugno.
La GIP si convinceva, alla luce delle dichiarazioni dell'indagata, che la condotta della giovane comandante aveva comunque tenuto presente tutta la normativa internazionale in tema di salvataggio di naufraghi.
Le motivazioni della GIP a sostegno dell'ordinanza sono ineccepibili
Nella parte finale dell'ordinanza denominata “Valutazioni del GIP
“ (pagine 11, 12), che precede immediatamente la parte dispositiva nella quale il magistrato non convalida l'arresto e non infligge alcuna misura cautelare, Alessandra Vella motiva la propria decisione, ossia mostra quale è stato il suo ragionamento giuridico in base al quale ha preso la sua decisione cautelare.
Per ciò che riguarda il reato di resistenza o violenza contro nave da guerra, la magistrata esclude che nel caso in esame sia stato consumato tale reato in quanto le navi militari della guardia di finanza all'interno delle acque territoriali italiani non possono essere considerate mai navi da guerra. A suffragare tale tesi cita la sentenza della Corte costituzionale n. 35/2000, dove effettivamente si legge che le navi della guardia di finanza “quando operano fuori delle acque territoriali ovvero in porti esteri ove non vi sia un'autorità consolare esercitano le funzioni di polizia proprie delle 'navi da guerra' (art. 200 del codice della navigazione) e nei loro confronti sono applicabili gli artt. 1099 e 1100 del codice della navigazione (rifiuto di obbedienza o resistenza e violenza a nave da guerra), richiamati dagli artt. 5 e 6 della legge 13 dicembre 1956, n. 1409 (Norme per la vigilanza marittima ai fini della repressione del contrabbando dei tabacchi)
“.
Per ciò che riguarda poi il reato di violenza o minaccia a un pubblico ufficiale, la GIP ritiene che (anche sulla base dei filmati da lei stessa visionati) “il fatto deve essere di molto ridimensionato, nella sua portata offensiva, rispetto alla prospettazione accusatoria
“ fondata sulle relazioni di servizio della stessa guardia di finanza.
In pratica la magistrata ritiene che la guardia di finanza abbia quantomeno gonfiato ed esagerato una vicenda nella quale nessuno si è ferito e nemmeno la V808 ha riportato alcun graffio, un po' come quando, dopo scontri di piazza, le forze di polizia annoverano ufficialmente tra il numero dei feriti anche coloro che si sono fatti medicare per una impercettibile escoriazione o un modestissimo bernoccolo.
La GIP, ad ogni modo, ha ritenuto che il reato di violenza o minaccia a un pubblico ufficiale previsto dall'articolo 337 del codice penale “deve ritenersi scriminato, ai sensi dell'art. 51 c.p., per avere l'indagata agito nell'adempimento di un dovere. L'attività del capitano della nave Sea Watch 3, di salvataggio in mare di soggetti naufraghi, deve, infatti, considerarsi adempimento degli obblighi derivanti dal complesso quadro normativo che si è sopra richiamato
“, e il riferimento della GIP è chiaramente rivolto alle convenzioni sul diritto del mare ratificate dall'Italia.
Alessandra Vella, dopo aver riconosciuto la doverosità della condotta della Rackete, attacca pesantemente anche il decreto sicurezza bis e il decreto interministeriale di interdizione allo sbarco diretto alla Sea Watch 3, cosa che ha fatto andare su tutte le furie Salvini: “ai sensi di detta disposizione
- scrive la GIP di Agrigento - il divieto interministeriale da essa previsto (di ingresso, transito e sosta) può avvenire, sempre nel rispetto degli obblighi internazionali dello Stato, solo in presenza di attività di carico o scarico di persone in violazione di leggi vigenti nello Stato Costiero, fattispecie qui non ricorrente vertendosi in una ipotesi di salvataggio in mare in caso di rischio di naufragio
“.
La magistrata ha pertanto accertato l'inesistenza di motivi giuridici per i quali era stata irrogata alla giovane comandante la misura precautelare dell'arresto, e contemporaneamente l'inesistenza di validi motivi cautelari per i quali la Rackete dovesse essere ristretta agli arresti domiciliari o avere il divieto di dimora in provincia di Agrigento.
D'altra parte non era così scontato che un magistrato giungesse a tali conclusioni, perché per giungervi, oltre ad avere intelligenza, bisogna anche avere coraggio, soprattutto in un momento storico nel quale il duce dei fascisti del XXI secolo aspirante duce d'Italia imperversa un giorno sì e l'altro pure in tutti i mass media contro chi non ha la stessa visione oscurantista della realtà sociale, come poi è effettivamente accaduto.
Alessandra Vella quindi se ne è letteralmente infischiata del tradizionalismo becero di Matteo Salvini, con il quale egli vuole intossicare l'intera società, e ha espresso con coraggio e determinazione un pensiero genuino, così come Giulietta Capuleti potè dire, a proposito del nome di Montecchi che le convinzioni bigotte di Verona le imponevano di detestare: “che cosa c'è in un nome? Ciò che noi chiamiamo con il nome di rosa, anche se lo chiamassimo con un altro nome, conserverebbe pur sempre lo stesso dolce profumo
“ (W. Shakespeare, Romeo e Giulietta, Atto II, scena II).
10 luglio 2019