Concorsi truccati, da Catania a Milano
3 rettori indagati, 66 docenti coinvolti
“Se qualcuno fa ricorso noi lo schiacciamo”
Dopo quello della magistratura, un altro caso che dimostra che le istituzioni borghesi italiane sono marce
Un codice di comportamento mafioso fatto di ricatti, minacce, ritorsioni e pizzini per predeterminare nell'Università di Catania gli esiti dei concorsi per professori, ordinari o associati, chiamate dirette, prove per ricercatori, dottorati, assegni di ricerca. Tutto veniva predestinato e deciso a tavolino. I bandi venivano pilotati e cuciti addosso ai candidati raccomandati attraverso composizioni collegiali orientate, riunioni inesistenti, verbali falsificati e sbarramenti per partecipanti esterni a discapito dei tanti concorrenti meritevoli che invece erano “da schiacciare”. E chi osava ribellarsi e fare ricorso se la doveva “piangere”.
È il sistema ideato dalla "cricca dei baroni" universitari scoperchiato dalla procura di Catania il 28 giugno con l'inchiesta “Università bandita” che dopo 21 mesi di indagini è sfociata nella sospensione del rettore dell'Università del capoluogo etneo, Francesco Basile, e di altri nove baroni universitari con posizioni apicali all'interno dei dipartimenti dell'Ateneo, tutti indagati per associazione per delinquere, corruzione, truffa aggravata, falsità ideologica e turbativa d'asta.
Nel registro degli indagati sono iscritti complessivamente 66 docenti e 3 rettori: 40 professori dell'Università di Catania e 20 degli atenei di Bologna, Cagliari, Catanzaro, Chieti-Pescara, Firenze, Messina, Milano, Napoli, Padova, Roma, Trieste, Venezia e Verona.
Indagate anche altre sei persone a vario titolo collegate con l'Università di Catania.
Sono almeno 27 i concorsi truccati ma si indaga anche su altre 97 procedure già bandite.
L'inchiesta del Giudice per le indagini preliminari (Gip) Carlo Cannella, della Procura di Catania guidata da Carmelo Zuccaro di Catania ha svelato quella che gli investigatori hanno definito “un'associazione a delinquere, che avrebbe avuto come capo il rettore dell'Università di Catania Francesco Basile e di cui sarebbe stato promotore il suo predecessore, Giacomo Pignataro, finalizzata a commettere un numero indeterminato di reati per alterare il naturale esito dei bandi di concorso per il conferimento degli assegni, delle borse e dei dottorati di ricerca, per l'assunzione del personale tecnico-amministrativo, per la composizione degli organi statutari dell'Ateneo, per l'assunzione e la progressione in carriera dei docenti”.
Per le elezioni del Consiglio di Ateneo (CdA) sarebbero anche stati usati dei pizzini per i componenti del Senato accademico. Le regole imposte dalla “cricca dei baroni” prevedevano anche sanzioni: ritardi nella progressione in carriera o esclusioni da ogni valutazione oggettiva del proprio curriculum scientifico. Il sistema, secondo gli investigatori, non sarebbe riferito solamente all'Università etnea ma sarebbe esteso ad altri Atenei italiani. Il provvedimento del Gip - per il rettore ed i nove professori erano stati chiesti gli arresti domiciliari - è stato emesso sulla base di indagini svolte dal giugno del 2016 al marzo del 2018 partite da una querelle che c'era stata in precedenza tra un professore e l'ex rettore Pignataro e che riguardava una procedura amministrativa. Dopo quella vicenda, il giorno della sua elezione, Basile, incontrando Pignataro avrebbe chiesto se la stanza fosse stata bonificata da eventuali cimici.
Tutti i concorsi sarebbero stati organizzati sulla base del vincitore prescelto. I bandi, le pubblicazioni e l'ordine di chiamata, secondo gli accertamenti della procura etnea, venivano stati stabiliti in base ai requisiti posseduti dal raccomandato di turno e inoltre si sarebbero organizzati finti eventi culturali per poter pagare le trasferte ai commissari.
Durante la conferenza stampa il procuratore della Repubblica Carmelo Zuccaro ha parlato di uno “squallido sistema di nefandezze criminali che possono produrre effetti devastanti” e di “fatti estremamente gravi che non fanno onore a persone che dovrebbero appartenere al mondo della cultura”.
La cupola dei baroni universitari catanese aveva truccato perfino l’elezione del “Magnifico” rettore Basile avvenuta tramite la distribuzione di “pizzini” a tutti gli elettori, studenti compresi, con l'obbligo di votare il nome in essi indicato. “Anche per il CdA abbiamo votato con i pizzini”, ha confessato l’ex direttore di Scienze politiche, Giuseppe Barone, capace di far assegnare al figlio il ruolo ad Economia.
Scandagliando i concorsi interni, gli investigatori non ne hanno trovato uno regolare. L’unico che stava andando secondo merito è stato stoppato dal rettore in carica.
Chi osava presentarsi in antitesi al candidato prescelto veniva pubblicamente umiliato e costretto a ritirare la candidatura. Un ricorso al Tar comportava ritorsioni tipo quelle intercettate dagli inquirenti e allegate all'inchiesta in cui si sente Barone che, mentre si accinge a scorrere una lista di candidati minaccia: “Vediamo chi sono questi stronzi che dobbiamo schiacciare... hanno pestato la merda e ora se la piangono”.
Mentre il vincitore prescelto veniva convocato da Basile e gli veniva spiegato quali titoli dovesse presentare, quali sarebbero stati i punteggi attribuiti. In alcuni casi il candidato era così potente che diceva lui al “Magnifico” come doveva essere realizzato il concorso: “Dobbiamo soggiacere al potere”, si giustifica Basile in una telefonata mentre agli amici degli amici spiega che non era importante che in facoltà entrassero i migliori: “L’università nasce su una base cittadina abbastanza ristretta, un’élite culturale, finora sono state sempre quelle le famiglie...”.
Tra i casi più scandalosi gli inquirenti hanno scoperto quello di Velia Maria Lucia D’Agata, figlia dell’ex procuratore di Catania Vincenzo D’Agata, che nel gennaio 2018 è diventata professoressa di prima fascia di Anatomia associata a Scienze biologiche. Padre e figlia sono ora indagati per turbata libertà del procedimento di scelta del contraente, in concorso con il rettore Francesco Basile, il direttore del dipartimento, Filippo Drago e il rettore della Sapienza di Roma, Eugenio Gaudio.
Per farle ottenere il posto, Basile e Drago avrebbero deciso di attribuire più peso all’anzianità di abilitazione rispetto ad altri e proprio il direttore del dipartimento avrebbe promosso “la modifica dei criteri dipartimentali per le graduatorie”. C’è però l’incognita della partecipazione di un altro candidato, Sergio Castorina, che intanto si è abilitato, al quale sarebbe stato suggerito di non presentarsi. “Nel giro di sei mesi sistemo tutto ti bandisco un altro posto, sono io d’accordo con il Rettore (Basile, ndr)”, avrebbe detto Drago secondo la ricostruzione di Castorina. Quindi sarebbe intervenuto in prima persona lo stesso Basile, che avrebbe promosso “il raggiungimento di un accordo” tra i due candidati, che garantisse a Castorina almeno la leadership interna al dipartimento.
In molti passaggi si auspica la partecipazione del rettore della Sapienza, Gaudio, come membro interno per un’eventuale commissione “ex art. 18”, ovvero una procedura aperta anche a candidati esterni. Procedura che lo stesso Gaudio avrebbe sconsigliato. “Ha detto assolutamente no, – dice la D’Agata intercettata mentre parla con Basile in un incontro al quale partecipa anche suo padre, l’ex procuratore di Catania, Vincenzo D’Agata – perché lui dice se si presenta il Nobel, ovviamente lo vince il Nobel”. Il rettore catanese però la tranquillizza: “Va be ma insomma questa cosa la risolviamo”. E infatti, la procedura viene modificata con il passaggio un “ex art. 24” che di fatto circoscrive il bando solo a candidati interni. Lo stesso verrà fatto in seguito anche per il bando di Castorina.
Un altro caso riguarda la selezione per un contratto di ricercatore di tipo B (che dopo tre anni permette di diventare professore associato) in storia contemporanea, sempre all’Ateneo catanese. In questa vicenda, il cardine sarebbe il docente Giuseppe Barone, membro interno della commissione e Direttore del Dipartimento di Scienze politiche, che in concorso con la collega Giovanna Cigliano, associato della Federico II di Napoli, avrebbero condizionato il bando in favore di Sebastiano Granata, a danno di altri nove candidati. Lo stesso Granata, si legge negli atti, avrebbe contribuito “a selezionare i commissari compiacenti”, fornendo a Barone i numeri di telefono dei professori da contattare e aiutandolo anche nella “parte valutativa degli altri candidati in modo da stilare una graduatoria che lo vedesse al primo posto”. Tra i docenti “prescelti” c’è la Cigliano, che avrebbe avuto “un debito di riconoscenza” nei confronti di Barone.
Agli atti dell'inchiesta ci sono anche riunioni telematiche mai fatte e firme posticce. “Allora io ho già inviato tutto, ma formalmente lo devo fare alle 12”, spiega Barone alla Cigliano che risponde: “Quindi siamo riusciti a rifare la firma? Perché là c’era quel problema!”. Il direttore replica: “Sì, abbiamo fatto un’operazione straordinaria, di cuci, taglia e incolla”. Barone è anche indagato per truffa perché avrebbe creato ad hoc un “fantasioso convegno fittizio” per elargire “somme di denaro per il viaggio, il vitto e l’alloggio” alla Cigliano, garantendole “illecitamente” che non anticipasse “nessuna delle spese per il viaggio” per la seduta della Commissione. Il titolo del convegno è “Volontari italiani in Russia durante la grande guerra” e prevede anche un catering: il contributo di 460 euro è erogato però alla Cigliano, per voli Napoli-Catania, più 300 euro di vitto e una somma “non ancora determinata” per l’alloggio.
Una prassi corruttiva in auge, sia pure con forme e modalità diverse, in tutti gli Atenei italiani derivante dallo strapotere del Rettore e del Direttore generale ai quali la legge 10 febbraio 2000, n. 30 sull’autonomia universitaria di Luigi Berlinguer e la controriforma Gelmini (2010) hanno attribuito ampi poteri deliberativi e manageriali.
L’inchiesta di Catania, come già quella di Firenze che nel settembre 2017 che portò all'arresto di sette docenti e l'interdizione di altri 22 professori tutti accusati di corruzione nell'ambito dell'inchiesta sui concorsi universitari truccati condotta dal Pm Paolo Barlucchi; insieme alla scandalosa inchiesta giudiziaria della procura della Repubblica di Perugia che ha travolto in questi giorni il Consiglio superiore della magistratura (Csm) per non parlare degli scandali in cui sono coinvolti quotidianamente ministri, sottosegretari, deputati, senatori, presidenti di Regione, consiglieri, sindaci e assessori di tutte le cosche parlamentari borghesi, dalla Lega di Salvini ai Cinquestelle di Di Maio, confermano che tutto il sistema e tutte le istituzioni borghesi, nessuna esclusa, dal più piccolo comune fino al Quirinale, sono marce e corrotte fino al midollo, sono irriformabili e l'unico sistema per fare davvero piazza pulita è di spazzarle via il prima possibile con la rivoluzione proletaria e l'instaurazione della dittatura del proletariato e la conquista del socialismo.
17 luglio 2019