La Lega vota no, nonostante la posizione favorevole di Conte
La destra von der Leyen eletta con i voti decisivi del M5S
La presidente della Commissione europea esalta il ruolo di “leadership globale” dell'Ue, riafferma l'alleanza con la Nato, si impegna per “un'autentica Unione europea di difesa” e proietta l'imperialismo europeo in Africa
Ricevuta l’investitura nel Consiglio europeo straordinario del 30 giugno, sulla base dell’intesa dell’asse franco-tedesco che dopo la farsa delle elezioni europee si è attrezzato per continuare a comandare nella Ue imperialista, Ursula von der Leyen ha superato il 16 luglio l’esame dell’europarlamento e sarà la prima donna a guidare la Commissione europea. La democristiana ex ministro della Difesa tedesco e delfina della cancelliera tedesca Angela Merkel, tanto da essere l’unico membro del governo tedesco a poter vantare un’ininterrotta presenza in tutti i suoi governi dal 2005, prende il posto dello screditato e amico delle multinazionali il lussemburghese Jean Claude Juncker.
Il primo compito della nuova presidente è quello di definire la composizione e gli incarichi della Commissione per il periodo 2019-2024 sulla base delle indicazioni dei governi dei paesi membri e, una volta che i singoli candidati saranno stati valutati in una serie di audizioni nelle commissioni parlamentari, presentare la squadra al voto dell’europarlamento entro ottobre prossimo. Entrerà in carica con la successiva nomina da parte del Consiglio europeo l’1 novembre 2019 per un mandato di cinque anni.
Considerata una rigorista in materia fiscale, alla guida del dicastero della Difesa dal dicembre 2013 aveva predisposto un consistente aumento della spesa e un massiccio piano di ammodernamento dello strumento bellico tedesco per i prossimi cinque anni dopo che fino al 2018 aveva lavorato sulla riduzione dei bilanci militari. Nel periodo di magra della spesa militare era inciampata in uno scandalo su contratti di consulenza assegnati a società esterne da persone di fiducia del suo ministero aggirando le procedure ordinarie per gli appalti. Sulla vicenda è ancora in corso il lavoro di una commissione di inchiesta del parlamento tedesco. Ritenuta una convinta europeista fino al punto di sostenere la realizzazione degli Stati Uniti d’Europa (sotto la guida della Germania, ndr) sul modello di Stati federali come la Svizzera, gli Stati Uniti o la Germania, e quindi anche da un punto di vista militare, seppur nell’ambito di un rafforzamento della Nato, a sua volta vista non solo come alleanza militare ma anche politica. Su queste basi ha costruito il suo programma presentato all’assise di Strasburgo, un discorso allargato a altri temi inseriti come acchiappavoti, dall’ecologia al salario minimo, che non ha convinto i Verdi che non l’hanno votata ma gli italiani del M5S i cui voti sono risultati determinanti.
I pentastellati da opportunisti si sono tappati il naso e hanno votato il campione imperialista scelto nell’intesa tra la Merkel e Macron, sperando di ricavare credibilità e alleati nella Ue per tenere anche il fronte interno. Proprio durante l’elezione della nuova presidente della Commissione Ue è andato tra l’altro in scena l’ennesimo scontro intragovernativo con la Lega che ha votato no nonostante la posizione favorevole concordata e espressa per l’Italia dal primo ministro Giuseppe Conte e confermata fino alla vigilia del voto in aula. Il duce dei fascisti del XXI secolo, Matteo Salvini, nella Ue gioca appoggiandosi soprattutto al gruppo parlamentare fascista con la filorussa francese Le Pen. Dopo l’esplosione dello scandalo Russiagate, in cui i servizi segreti francesi e tedeschi hanno voluto mettere lo zampino per aiutarlo a renderlo di pubblico dominio, i due caporioni fascisti hanno per rivalsa concordato di non votare la candidata democristiana.
Del resto entrambi i soci del governo italiano per ora raccolgono molto poco, il M5S ottiene la riconferma di un vicepresidente dell’europarlamento, rieletto col minimo dei voti, alla terza e ultima votazione in fondo alla lista dei 14 rappresentanti concordati. La Lega dopo il “successo” nelle elezioni del 26 maggio aveva messo in pista, per il posto autorevole rivendicato nella Commissione europea, Giancarlo Giorgetti, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio braccio destro e sinistro di Salvini. Il quale il 18 luglio si è ritirato dalla candidatura e lo ha comunicato di persona al presidente Sergio Mattarella, con una procedura anche questa volta inusuale che ha ignorato Conte. Forse per la Lega al momento è più importante schierare i pezzi da novanta sul fronte interno dove è sotto la bufera del cosiddetto Russiagate.
Nel voto a scrutinio segreto del 16 luglio la von der Leyen è stata eletta con 383 voti a favore, 327 contrari, 22 gli astenuti. Appena 9 voti in più del necessario (la maggioranza assoluta è di 374 voti, il 50% dei deputati più uno). Sulla carta, rispetto alle dichiarazioni di voto dei gruppi, ne avrebbe dovuti avere almeno una settantina di più, decisivo quindi è stato l’appoggio dei 14 parlamentari M5S. Solo dall’intesa PPE-PSE-ALDE poteva contare su 444 voti.
Lo si comprende meglio facendo una rapida mappatura dell’europarlamento uscito dal voto del maggio scorso e che nel mese di luglio ha assegnato cariche e definito i gruppi. Nell’assise i giochi, sotto la regia esterna Merkel-Macron, sono guidati dalla maggioranza formata al momento dai 182 parlamentari democristiani del Partito Popolare Europeo (PPE), che vanno dalla CSU-CDU tedesca a Forza Italia agli ungheresi di Fidesz e i polacchi del Pis; dai 108 liberali dell’Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l’Europa (ALDE) ribattezzata Rinnovare l’Europa (RE) con l’ingresso del partito di Macron e dal secondo gruppo per consistenza numerica ma ridotto a stampella degli altri due, quello dei 154 socialdemocratici dell’Alleanza Progressista di Socialisti e Democratici (S&D) dove il gruppo più numeroso è quello dei socialisti spagnoli, seguito dal PD di Zingaretti davanti ai vecchi leader tedeschi del Spd in caduta libera, tanto che hanno dovuto lasciare la presidenza del gruppo alla spagnola Iratxe Garcia Perez e la candidatura a presidente dell’europarlamento all’italiano David Sassoli.
Completano lo schieramento dei gruppi europeisti i 74 parlamentari Verdi/Alleanza libera europea (Verdi/ALE) e i 41 del Gruppo confederale Sinistra unitaria europea/Sinistra verde nordica (GUE-NGL) di cui fanno parte i tedeschi di Die Linke, i greci di Syriza e gli spagnoli di Podemos.
La destra dell’europarlamento è rappresentata dai 73 del nuovo gruppo Identità e democrazia (ID), il gruppo guidato dal leghista Marco Zanni e formato cogli eletti del Fronte nazionale francese della Le Pen, i nazisti tedeschi dell’AFD, gli austriaci del FPOE, i polacchi del Congresso della Nuova Destra e gli olandesi del Partito per la Libertà. Rimasto invariato il gruppo dei 62 parlamentari Conservatori e Riformisti europei (ECR) di cui fanno parte Fdi e Fitto, si è sciolto invece quello di Europa della Libertà e Democrazia diretta (EFDD) che era formato dai britannici dell’UKIP del fascista Nigel Farage e dagli M5S. In base alle regole dell’europarlamento per formare un gruppo ci vogliono almeno 25 deputati di 7 paesi diversi, Farage e la sua formazione Brexit Party se ne dovrebbero andare a ottobre con l’uscita della Gran Bretagna, gli opportunisti M5S sono rimasti col culo a mollo con 14 eletti e una volta bussato inutilmente alle porte di Verdi e Gue, che non li hanno voluti anche perché sono al governo con Salvini, fanno parte dei 57 non iscritti.
Prima delle votazioni, la candidata ha presentato ai deputati il suo programma e le priorità per i prossimi cinque anni. “Un’Unione più ambiziosa, il mio programma per l’Europa”, il titolo del documento che subito mette in evidenza che sta parlando di una “superpotenza commerciale mondiale”. Che è da completare intanto con l’integrazione del mercato dei capitali. Nell’elencare gli orientamenti politici del suo programma von der Leyen metteva al primo posto “Un Green Deal europeo” e solo al quarto “Un’Europa più forte nel mondo”, una lista che va dal tema attuale e acchiappavoti dell’Europa ecologica con la promessa di ridurre le emissioni nocive del 55% entro il 2030 a quello sostanziale dalla difesa del ruolo imperialista della Ue nella contesa mondiale con Usa, Cina e Russia; passando dalla “difesa del nostro stile di vita europeo” ossia dalla blindatura delle frontiere contro gli immigrati e dall’interventismo in Africa. Niente di nuovo sulla posizione di destra della Ue sul tema migranti comprese le oramai superpromesse di un “nuovo patto sulla migrazione e l’asilo” e della riforma del regolamento di Dublino.
Uno schema di programma ripreso nelle conclusioni dove prometteva che “il primo giorno presenterò un collegio composto in parti uguali da uomini e donne. Entro 100 giorni presenterò un Green Deal europeo. Entro il prossimo anno, gli europei potranno esprimersi in occasione di una conferenza sul futuro dell’Europa. Entro il 2024 (tre anni di anticipo su quanto già deciso, ndr), 10.000 guardie di frontiera e guardie costiere europee dovrebbero contribuire a proteggere le nostre frontiere esterne e ogni lavoratore dovrebbe beneficiare di un salario minimo equo. Entro il 2050, infine, l’Europa dovrebbe essere il primo continente al mondo a impatto climatico zero. Questa è la mia visione per un’Europa più ambiziosa”. Ossia più attiva come potenza imperialista e protagonista sulla scena mondiale alla pari dei maggiori concorrenti, con una salda guida del doppio tandem franco-tedesco, quello di Merkel-Macron e quello della von der Leyen alla Commissione Ue e la francese Christine Lagarde alla BCE. Per far ciò serve una svolta per invertire la lenta ma sicura decadenza del sogno imperialista europeo, macerato all’interno dai colpi dei sovranisti e dall’uscita della Gran Bretagna.
Nel mezzo del documento e in specifico nel capitolo sull’Europa forte nel mondo sta la parte sostanziale del progetto della presidente della Commissione europea dove esaltava il ruolo di “leadership globale” dell’Ue, riaffermava che “la Nato costituirà sempre la pietra angolare della difesa collettiva dell’Europa. Resteremo transatlantici e diventeremo più europei” ma anche che “nei prossimi cinque anni avremo bisogno di nuove iniziative coraggiose per costruire un’autentica Unione europea della difesa”. Senza dimenticare di proiettare l’azione dell’imperialismo europeo in Africa con la formula che l’Europa “dovrebbe svolgere un ruolo pieno e attivo nei paesi limitrofi”, che “deve assistere l’Africa nella progettazione e attuazione di soluzioni proprie a sfide quali l’instabilità, il terrorismo transfrontaliero e la criminalità organizzata”.
La von der Leyen vuole un’Europa con “una voce più forte e più unita nel mondo”. E sottolineava che “per essere leader mondiale, l’Ue deve essere in grado di agire rapidamente: mi adopererò affinché il voto a maggioranza qualificata diventi la regola in questo ambito”, “dagli aiuti allo sviluppo alla nostra politica estera e di sicurezza comune”, senza perdere tempo a concordare le azioni all’unanimità. E ripeteva che “per rimanere un attore globale forte, auspico che nel prossimo bilancio a lungo termine l’Ue investa il 30 % in più in azioni esterne rispetto ad oggi”.
Nel programma della Commissione solo un passaggio era riservato al tema delicato della Brexit. La von der Leyen non vuole una rottura con Londra, che salvo sorprese è la soluzione che si prospetta al 31 ottobre in mancanza di una nuova intesa, e si dichiarava “pronta a preparare il terreno per un partenariato ambizioso e strategico con il Regno Unito, che resterà nostro alleato, partner e amico” sulla base dell’accordo di recesso negoziato con Londra ma bocciato assieme al governo May.
Convinceva i democristiani e i socialdemocratici, persino sembra la destra di ungheresi e polacchi. La romena Dacian Ciolos, capogruppo di RE, esprimeva il voto favorevole del gruppo liberale di Macron con “ci aspettiamo da lei una vera leadership europeista. L’Europa non è un’amministrazione, ma un’ambizione politica”. La portavoce dei M5S Tiziana Beghin si arrampicava sugli specchi e esultava perché la candidata presidente aveva “fatto suoi i punti del nostro programma, fra cui salario minimo e un patto chiaro sull’immigrazione” e avvisava che “il Movimento Cinque Stelle la sosterrà ma monitorerà costantemente il suo mandato e sarà, se necessario, molto duro con lei”. La von der Leyen già trema. Il belga Philippe Lamberts per i Verdi denunciava che “la nostra casa comune sta bruciando, il clima si sta deteriorando, ci sono disuguaglianze sempre più profonde con un contraccolpo per le libertà fondamentali e lo Stato di diritto” perciò il suo gruppo non era pronto a votare la candidata; ma intanto prometteva appoggio caso per caso.
Voti contrari dalla destra di ID e di ECR. E dalla “sinistra” del GUE col tedesco Martin Schirdewan a sostenere che gli elettori si aspettano un candidato principale come Presidente della Commissione, non un ministro della Difesa, segnale della “continua militarizzazione” della Ue”. Giusta la denuncia della militarizzazione della Ue ma a dire il vero sono di più i circa 200 milioni, la metà degli aventi diritto al voto di tutti gli Stati membri dell’Unione Europea che hanno disertato le urne tra il 23 e il 26 maggio scorsi e delegittimato in partenza il Parlamento europeo e la Ue. Hanno messo in chiaro che la superpotenza imperialista europea non è affatto una conquista dei popoli del vecchio continente ma uno strumento al servizio dei circoli dominanti borghesi e dei monopoli europei, guidata dagli uomini e donne indicati dai paesi più forti. L’Ue imperialista è irriformabile, va distrutta.
24 luglio 2019