Tra gli arrestati Del Bergiolo, candidato al senato per Forza Nuova
Traffico internazionale di armi da parte dei neonazisti: sequestrate armi da guerra tra cui un missile di 3 metri
Per Salvini si tratta solo di “qualche demente”
La rete nera dei mercenari nazi-fascisti italiani filorussi in Donbass
Dal 15 luglio, su ordine della Procura di Torino, la Digos del capoluogo piemontese, in collaborazione con gli omologhi uffici di Milano, Varese, Pavia, Novara, Massa Carrara e Forlì, coordinati dalla Polizia di Prevenzione - Ucigos, sta effettuando una serie di sequestri e perquisizioni in tutto il Nord-Ovest tra Piemonte, Lombardia, Liguria e Toscana a carico di un gruppo di mercenari nazi-fascisti italiani filorussi che hanno preso parte al conflitto armato nella regione ucraina del Donbass e risultano implicati in un inquietante traffico internazionale di armi da guerra.
Un arsenale bellico
L'operazione “Matra” ha già portato al sequestro di un autentico arsenale bellico: fucili d'assalto automatici di ultima generazione, pistole, mitra, centinaia di munizioni, pacchi di esplosivo, bombe a mano, diverse insegne, simboli, vessilli e materiale di propaganda nazista e perfino un missile aria-aria alto circa tre metri e dal peso di otto quintali, di fabbricazione francese, perfettamente funzionante, in uso alle forze armate del Qatar, custodito in un hangar nei pressi dell'aeroporto di Rivanazzano Terme (Pavia) insieme ad altro materiale bellico e da sparo stipato in decine di scatoloni impilati su scaffali alti dieci metri.
Il missile e parte del materiale bellico sequestrato, fino a due mesi fa, si trovava in un capannone a Oriolo, nei pressi di Voghera. I due depositi in cui il missile è stato custodito erano di proprietà di Alessandro Monti, svizzero di 42 anni, e Fabio Bernardi, milanese di 51 anni, entrambi messi ai domiciliari.
Il ruolo di Bergiolo
Il terzo trafficante finito in manette è il noefascista Fabio Del Bergiolo, 60enne, ex ispettore delle dogane di Gallarate (Varese), finito nei guai nel 2003 per una truffa effettuata mentre era in servizio a Malpensa, già candidato al senato per Forza Nuova nel 2001.
Secondo gli inquirenti, Del Bergiolo si proponeva come intermediario chiedendo tra il 5 e il 10% del prezzo finale di vendita delle armi. L'ex candidato di FN aveva contattato anche un'azienda che si occupa di transazioni nazionali e internazionali di armamenti italiani e un funzionario di un Paese estero per concludere la vendita.
Il 20 luglio in una abitazione secondaria di Bergiolo presso la frazione di Antona di Massa Carrara è stato rinvenuto e sequestrato altro materiale fra cui: un fucile Sig Sauermodello 550, un machete, un arco Compound con 13 dardi, una pistola, un treppiede per mitra, una balestra, una cassetta con 11 ordigni inerti tra bombe a mano e mortai, munizioni di vario calibro e vario materiale di propaganda su nazismo e fascismo fra cui un ritratto incorniciato di Mussolini, 34 Dvd dal titolo "Hitler e il terzo Reich", 13 videocassette intitolate "Urss - dalla caduta degli Zar al crollo di un mito" e un'altra su "Il trionfo della volontà". Altre perquisizioni e sequestri sono state svolte in abitazioni e depositi di materiale militare a Peschiera Borromeo (Milano), Sesto Calende (Varese) e Castelletto Ticino (Novara).
L’intero arsenale era in vendita al miglior offerente: per il razzo il prezzo richiesto era di circa mezzo milione di euro ed era già stato oggetto di interesse da parte di compratori ancora non identificati.
Nell’ambito dell’inchiesta, è indagato anche un uomo di Bologna con il quale, secondo la ricostruzione degli inquirenti, Del Bergiolo avrebbe avuto un incontro in una fiera internazionale a Norimberga per ottenere dei contatti tra i combattenti in Donbass.
L’operazione “Mantra” segue quella del nove luglio sempre a Torino e a Ivrea quando furono perquisite dieci case di militanti nazi-fascisti appartenenti a Legio subalpina, Forza Nuova e Rebel firm, a Ivrea, trovando materiale di stampo fascista e proiettili da guerra. In precedenza, il 20 giugno, fu denunciato il coordinatore piemontese di Forza Nuova Luigi Cortese per apologia di fascismo, mentre alcuni ultras riconducibili alla curva della Juventus e del Torino subirono delle perquisizioni.
Salvini, Savoini e i mercenari italiani
Di fronte a tutto ciò, l'aspirante duce d'Italia Matteo Salvini, già pesantemente implicato nel Russiagate di Savoini e compagnia nera filo Putin, ha subito messo le mani avanti sostenendo addirittura che l'inchiesta della Procura di Torino è stata aperta in seguito a una sua segnalazione.
"L'ho segnalata io – ha detto il boss fascioleghista del Viminale - Era una delle tante minacce di morte che mi arrivano ogni giorno. I servizi segreti parlavano di un gruppo ucraino che attentava alla mia vita. Sono contento sia servito a scoprire l'arsenale di qualche demente... Penso di non aver mai fatto niente di male agli ucraini - ha aggiunto Salvini - ma abbiamo inoltrato la segnalazione e non era un mitomane. Non conosco filonazisti. E sono contento quando beccano filonazisti, filocomunisti o filo chiunque”.
Nei mesi scorsi anche un ex agente del Kgb ha segnalato l'esistenza di un progetto di un attentato contro Salvini da parte di ultranazionalisti ucraini. A svolgere le indagini fu la Digos ma, sempre secondo quanto viene riferito dalla procura di Torino, non furono trovati riscontri.
Nazifascisti e “rossobruni”
In realtà pare che le indagini siano iniziate un anno fa grazie alle intercettazioni telefoniche e al monitoraggio di un gruppo di mercenari italiani, ex miliziani considerati vicini al Battaglione Azov nel Donbass, nel quale si sono arruolati a partire dal 2014 decine di foreign fighters italiani non solo di estrema destra ma anche diversi militanti della cosiddetta “sinistra radicale”, i cosiddetti “rossobruni”. Dalle carte d’indagine sono emersi contatti con Gianluca Savoini: protagonista del cosiddetto Russia gate, presidente dell'associazione Lombardia-Russia e stretto collaboratore di Matteo Salvini in qualità di suo agente di collegamento con la Russia e con il partito di Putin, Russia Unita. Col risultato che i neofascisti, sia pure di diversi raggruppamente, combattono sia in Donbass sia in Ucraina.
In una informativa del Ros consegnata al Pubblico ministero di Genova Federico Manotti per l'istruttoria del processo a carico dei tre mercenari al servizio di Mosca: il 35enne napoletano, Antonio Cataldo, il 39enne albanese Olsi Krutani, trapiantato da tempo a Milano, e un moldavo, Vladimir Verbitchii, 26 anni, di Parma; arrestati nell'agosto scorso e poche settimane fa condannati dal tribunale di Genova, emergono inquietanti frequentazioni fra Savoini e l'ideologo nazionalista, vicino a Putin, Alexander Dugin.
“Savoini organizzava tutto”
Per gli inquirenti "pare opportuno segnalare che al Forum Internazionale Conservatore Russo, tenutosi a San Pietroburgo nel mese di marzo 2015 ed organizzato dal partito Rodina con il patrocinio del Cremlino, avevano partecipato, oltre ai coindagati G.
O. M. e Pintaudi Luca, anche numerosi militanti neonazisti, antisemiti ed omofobi europei" e tra questi, citano ancora gli inquirenti, anche: "Fiore Roberto", "Bertoni Luca dell'Associazione Lombardia- Russia", e "Osipova Irina, dell'associazione italo russa Rim che sta collaborando al lancio di 'Sovranità', la forza politica di cui è promotrice CasaPound nell'ambito della sua alleanza con la Lega Nord" la quale ha confermato di essere stata contattata da Savoini e di essere entrata così nella cerchia salviniana dove Savoini è colui che "organizzava tutto" negli incontri di Salvini in Russia.
I reclutatori
L'estrazione politica dei due principali riferimenti (estrema destra ed estrema sinistra) dà l'esatta portata della trasversalità del soggetto reclutatore, ideologicamente disinteressato ad avere un marchio politico tradizionale ed invece orientato verso posizioni eurasiatiche, sulla scia delle teorie propugnate dal filosofo russo Alexander Dugin, a sua volta punto di riferimento anche per i miliziani filorussi nel Donbass".
L’ipotesi investigativa è che gli “impegni ufficiali” fra Savoini e Dugin fossero uno schermo attraverso il quale poi discutere di cose più riservate. Come appunto il reclutamento di combattenti da utilizzare nel Donbass con le milizie filo-russe.
Salvini non ne sapeva nulla?
Il questore di Torino, Giuseppe De Matteis, ha definito l'operazione “un sequestro con pochi precedenti per la qualità delle armi e il loro potenziale violento... Abbiamo qualche idea su come volesse essere utilizzato, ma per ora non c'è nessun riscontro. Molte domande non hanno ancora risposta".
Secondo gli investigatori: “Alcuni gruppi neofascisti e neonazisti dispongono di armi. Trafficano in questo settore e attirano militanti facendo leva anche sulla partecipazione attiva a conflitti all’estero”.
Possibile che al Viminale non ne sapessero nulla? Salvini così attento ai flussi migratori non si è mai accorto delle decine di foreign fighters italiani che in continuazione, dal 2014, in poi vanno e vengono dall'Ucraina?
Eppure non è certo un mistero che per le decine di foreign fighters italiani che vanno a combattere a fianco dei separatisti filorussi nella regione del Donbass che si è proclamata indipendente dall’Ucraina quel conflitto è diventato una sorta di palestra per i mercenari italiani. Come accadde in Libano, dove a cavallo tra anni ‘70 e ‘80 un nutrito gruppo di fascisti italiani, inquadrati nelle milizie falangiste filo-israeliane, combatterono contro i palestinesi e più recentemente nella ex Jugoslavia durante la guerra civile fra croati contro serbi e musulmani.
Ultrà, addetti alla sicurezza, ex pugili, picchiatori di professione fanno parte di un mini esercito di foreign fighters palestrati e trafficanti al soldo dei gruppi paramilitari legati al Cremlino e fanno la spola fra l'Italia e l'Ucrania.
Il tribunale di Genova ne ha appena condannati tre: sono le prime sentenze. Un 35enne napoletano, Antonio Cataldo, il 39enne albanese Olsi Krutani, trapiantato da tempo a Milano, e un moldavo, Vladimir Verbitchii, 26 anni, di Parma. Mercenari al servizio di Mosca. Dello stesso gruppo di militanza violenta anche all'interno delle tifoserie calcistiche fanno parte fra gli altri Gabriele Carugati, detto "Arcangelo", ex security manager di un centro commerciale lombardo e figlio di Silvana Marin, già dirigente della Lega a Cairate in provincia di Varese; e "Spartaco", alias Massimiliano Cavalleri, camerata di Brescia.
Un caso emblematico
Un caso emblematico è quello di Andrea Palmeri, di Lucca, capo ultrà, da 5 anni latitante a Luhansk, una delle due repubbliche autoproclamate del Donbass. Croci celtiche tatuate ovunque e mitragliatore in mano, sul suo profilo Facebook ha più volte scritto parole d'encomio a Matteo Salvini. Evita però di menzionare che la Corte d'appello di Firenze lo ha condannato in contumacia nel 2016 a due anni e otto mesi di carcere dopo aver usufruito in primo grado del rito abbreviato e quindi di uno sconto di un terzo della pena. Il “Generalissimo”, come viene chiamato dagli ultras della Lucchese, era già finito in cella in passato per aver aggredito militanti antifascisti e tifosi di altre squadre.
Dopo aver lasciato indisturbato la propria città, contravvenendo all’obbligo di firma, e aver raggiunto il Donbass, via Russia, per prendere le armi, Palmeri ha fondato tre anni fa una onlus che dichiara di avere la missione di raccogliere fondi a favore della popolazione impoverita dal conflitto.
Insieme a Palmeri c'è anche un geometra di Lecco, Vittorio Nicola Rangeloni che ha trovato lavoro a LNR Today (l’agenzia stampa della Repubblica Popolare di Luhansk). Lui e Palmeri nel giugno del 2017 si erano immortalati sorridenti sulla piazza Rossa di Mosca. Nel post che accompagna la foto pubblicata su Instagram i due scrivevano: “Oggi siamo andati a ritirare gli stipendi”. Palmeri è definito dai giornali locali un intermediario che sta cercando di aiutare le imprese italiane e quelle del Donbass a collaborare.
Per Chiara Gribaudo, vicepresidente deputati Pd: “Non è un buon periodo per il ministro dell'Interno, smentito sulla mancata conoscenza di Savoini, smentito dal premier Conte, oggi smentito anche dalla Digos. Nascondersi dietro le bugie non è mai una buona scelta, ma se a farlo è un ministro della Repubblica la cosa diventa gravissima. Salvini è un bugiardo conclamato?”.
“I fascisti stanno alzando il livello dello scontro”, dice Emanuele Fiano, già responsabile sicurezza Pd. C’è anche un tema di terreno fertile. Ragiona Alessandro Orsini, docente di sociologia del terrorismo alla Luiss di Roma: “Per i neofascisti l’Italia è un laboratorio. Il motivo è che, tra i grandi Paesi dell’Ue, siamo considerati il ventre molle. Un Paese dove l’estremismo nero è tollerato e dove c’è la possibilità che le leggi che lo contrastano – vedi la legge Mancino – vengano cancellate. Ci ha provato il ministro Lorenzo Fontana” e lo stesso Salvini nel 2017, l'aspirante nuovo duce d'Italia sempre pronto a garantire agibilità politica, protezione e impunità alle formazioni e ai gruppi nazifascisti che lo sostengono.
24 luglio 2019