Lo certifica il Rapporto Svimez
Il Mezzogiorno è in recessione, emigrate 2 milioni di persone, soprattutto giovani
Scuola e sanità a livelli vergognosi. Solo il 35,4% delle donne sono occupate.
Solo il socialismo può salvare il Mezzogiorno
Economia stagnante con lo spettro della recessione ormai dietro l'angolo; disoccupazione a livelli record che colpisce duro le donne e i giovani costretti sempre più ad emigrare al Centro Nord e all'estero; servizi sociali praticamente inesistenti con scuole e presidi sanitari a livelli di Terzo mondo; condizioni di vita a dir poco difficili e divario col resto del Paese in costante aumento: è il quadro drammatico che emerge dall'ultimo rapporto della Svimez sul Mezzogiorno italiano pubblicato a fine luglio.
"Nel progressivo rallentamento dell'economia italiana – si legge fra l'altro nel rapporto della Svimez - si è riaperta la frattura territoriale che arriverà a segnare un andamento opposto tra le aree, facendo ripiombare il Sud nella recessione da cui troppo lentamente era uscito".
Secondo la Svimez, nel 2019 "l'Italia farà registrare una sostanziale stagnazione economica, con incremento lievissimo del Pil del +0, 1%. Al Centro-Nord dovrebbe crescere poco, di appena lo +0, 3%. Nel Mezzogiorno, invece, l'andamento previsto è del -0, 3%".
A livello di investimenti, solo il settore delle costruzioni ha mostrato una tenuta nell'ultimo anno mentre si sono fermati, con un fortissimo rallentamento rispetto all'anno precedente, quelli delle imprese in macchinari e attrezzature (+0, 1%, contro il +4, 8% del Centro- Nord).
Difficoltà economiche e di sviluppo che, sottolinea ancora il Rapporto, determinano un progressivo e ulteriore peggioramento delle condizioni di vita, di lavoro e dei livelli occupazionali delle masse meridionali.
Dalla metà del 2018 la dinamica dell'occupazione nel Mezzogiorno, sottolinea ancora la Svimez, presenta una marcata inversione di tendenza con una divaricazione negli andamenti tra Sud e Centro-Nord: sulla base dei dati territoriali disponibili, gli occupati al Sud negli ultimi due trimestri del 2018 e nel primo del 2019 sono calati complessivamente di 107 mila unità (-1, 7%); nel Centro-Nord, invece, nello stesso periodo, sono cresciuti di 48 mila unità (+0, 3%).
Solo tra il 2015 e il 2017 nel Mezzogiorno sono da considerarsi mancanti almeno tre milioni di posti di lavoro per colmare la differenza occupazionale con il settentrione.
La Svimez ha stimato che il gap occupazionale del Sud rispetto al Centro-Nord (calcolato moltiplicando la differenza tra i tassi di occupazione specifici delle due ripartizioni per la popolazione meridionale) nel 2018 è stato pari a 2 milione 918 mila persone. I settori più colpiti sono i servizi (1 milione e 822 mila unità, -13, 5%), l'industria in senso stretto (1 milione e 209 mila lavoratori, -8, 9%) e sanità, servizi alle famiglie e altri servizi (che complessivamente presentano un gap di circa mezzo milione di unità).
Mentre resta ancora troppo basso il tasso di occupazione femminile che nel 2018 è di appena il 35, 4%, contro il 62, 7% del Centro-Nord, il 67, 4% dell'Europa a 28 e il 75, 8% della Germania.
Altro che “grande piano per il Sud che punti a creare posti di lavoro, crescita, infrastrutture e sviluppo” di cui per 18 mesi il ducetto Di Maio e i Cinquestelle con a capo il premier Conte si sono riempiti la bocca.
La verità è che, come sottolinea la Svimez: "L'indebolimento delle politiche pubbliche nel Sud incide significativamente sulla qualità dei servizi erogati ai cittadini. Il divario nei servizi è dovuto soprattutto ad una minore quantità e qualità delle infrastrutture sociali e riguarda diritti fondamentali di cittadinanza: in termini di sicurezza, di adeguati standard di istruzione, di idoneità di servizi sanitari e di cura".
Per non parlare della devastazione ambientale, lo schiavismo dei migranti specie nelle campagne, il dissesto idrogeologico, i trasporti carenti e costosi e lo strapotere delle mafie.
Se si guarda alla Sanità, ad esempio, ci sono 28,2 posti letto di degenza ordinaria ogni 10 mila abitanti al Sud, contro 33,7 al Centro-Nord. Tale divario diviene macroscopicamente più ampio nel settore socio-assistenziale, nel quale il ritardo delle regioni meridionali riguarda soprattutto i servizi per gli anziani. Infatti, per ogni 10mila utenti anziani con più di 65 anni, 88 usufruiscono di assistenza domiciliare integrata con servizi sanitari al Nord, 42 al Centro, appena 18 nel Mezzogiorno. Ancor più drammatici sono i dati che riguardano l'edilizia scolastica. A fronte di una media oscillante attorno al 50% dei plessi scolastici al Nord che hanno il certificato di agibilità o di abitabilità, al Sud sono appena il 28, 4%. Inoltre, mentre nelle scuole primaria del Centro-Nord il tempo pieno per gli alunni è una costante nel 48, 1% dei casi, al Sud si precipita al 15, 9%.
Tutto ciò costringe milioni di meridionali, in gran parte giovani e ragazze, a emigrare e cercare fortuna altrove. Tra il 2002 e il 2017 gli emigrati dal Sud sono stati oltre 2 milioni, di cui 132.187 nel solo 2017. Di questi ultimi, si legge ancora nel Rapporto Svimez, "66.557 sono giovani (50,4%, di cui il 33% laureati)". Il saldo migratorio interno, al netto dei rientri, "è negativo per 852 mila unità - prosegue Svimez - Nel 2017 sono andati via 132 mila meridionali, con un saldo negativo di circa 70 mila unità". La ripresa dei flussi migratori è "la vera emergenza meridionale, che negli ultimi anni si è via via allargata anche al resto del Paese".
Secondo i dati, sono più i meridionali che emigrano dal Sud per andare a lavorare o a studiare al Centro-Nord e all'estero che gli immigrati che scelgono di vivere nelle regioni meridionali. In base alle elaborazioni della Svimez, infatti, i cittadini stranieri iscritti all'anagrafe nel Mezzogiorno sono stati 64.952 nel 2015, 64.091 nel 2016 e 75.305 nel 2017. Invece i cittadini italiani cancellati dalle anagrafe del Sud e emigrati per il Centro-Nord e l'estero sono stati 124.254 nel 2015, 131.430 nel 2016, 132.187 nel 2017, con conseguente e progressivo spopolamento specie dei piccoli centri.
E la situazione potrebbe ulteriormente peggiorare con l'insediamento del nuovo governo trasformista liberale Conte incaricato da Mattarella di guidare una nuova maggioranza fra Pd e Cinquestelle ma sempre al servizio del regime capitalista e neofascista. Infatti sul Mezzogiorno pende anche la spada di Damocle del minacciato aumento dell'Iva da inserire nella prossima manovra finanziaria a causa della mancata sterilizzazione delle "clausole di salvaguardia". Tale aumento peserebbe per un -0, 33 sull'economia nazionale. Mentre a livello territoriale graverà per per -0, 30% al Centro-Nord e -0, 41% al Sud.
Dunque cambiano i governi e i partiti al potere, ma la musica è sempre la stessa finché questo marcio sistema capitalista, causa di tutti i mali che affliggono non solo il Meridione ma anche tutto il resto del Paese, non verrà spazzato via.
La secolare Questione Meridionale mostra di essere, come il PMLI sostiene da sempre, la vera questione nazionale, e potrà essere definitivamente risolta solo con la rivoluzione proletaria, la conquista del potere politico da parte del proletariato e l'instaurazione del socialismo.
4 settembre 2019