Al “Venerdì di Repubblica” attraverso la penna di Simonetta Fiori
Saviano racconta la sua gioventù ma omette il suo rapporto con il PMLI e “Il Bolscevico”
Quando scrisse: “Odio i riformisti e i revisionisti, lotto per la rivoluzione proletaria, simpatizzo per il PMLI”
Il "Venerdì di Repubblica" del 20 settembre scorso ha pubblicato una lunga intervista della giornalista Simonetta Fiori a Roberto Saviano in occasione del suo 40° compleanno, nella quale lo scrittore di "Gomorra" racconta della sua infanzia, della sua famiglia, della sua formazione, prima a Caserta e poi a Napoli, e della sua difficile vita sotto scorta, per le minacce di morte ricevute dalla camorra, che conduce fin dalla pubblicazione di quel suo primo romanzo del 2006.
In questa intervista, però, egli non fa cenno del non breve e pur intenso rapporto, durato oltre un anno, che intrattenne con il PMLI e "Il Bolscevico" nel suo periodo giovanile, nel passaggio tra l'adolescenza e la maturità, quando si definiva, come nella sua prima lettera spedita al PMLI il 3 maggio 1996, con la richiesta di inviargli testi e altro materiale informativo sul Partito, "un ragazzo da sempre impegnato nella lotta di classe e militante della sinistra rivoluzionaria extraparlamentare", di tendenza "guevarista/trotzkista". E come quando, già compiuti i 17 anni, in una seconda lettera inviata a "Il Bolscevico" il 14 dicembre 1996, rivolgendosi ai "cari compagni del Bolscevico", si definiva anzi "un marxista-leninista di Caserta", precisando di comprare saltuariamente il nostro giornale e di essere "ideologicamente su alcuni punti in contrasto" con il Partito, e di lottare "con tutte le mie forze per la rivoluzione proletaria e per una scuola libera e gratuita".
In quella lettera, piena di calore ed entusiasmo giovanili, Saviano chiedeva "materiale informativo sul bolscevismo e sulle iniziative del PMLI" e "il Libretto Rosso di Mao Zedong e Stato e Rivoluzione di Lenin", dicendosi disposto anche a saltare qualche cena per pagarli in contrassegno. Il Partito gli rispondeva calorosamente, con una lettera del 20 dicembre, assicurandogli che gli sarebbe stato spedito gratuitamente tutto il materiale e le pubblicazioni richieste, e anche gli opuscoli 1 e 6 di Scuderi, un volantino sulla scuola e la spilla del PMLI, invitandolo anche a collaborare con "Il Bolscevico" e ad abbonarsi ad esso. Cosa che egli fece, usufruendo di un pagamento rateizzato in qualità di studente con pochi mezzi.
"Il vostro partito è entrato trionfante nelle mie simpatie"
Da allora Saviano intrattenne con il Partito un nutrito scambio epistolare come simpatizzante ("Sempre vostro simpatizzante", si firmava fieramente in una lettera del 26/2/97, in cui riferiva di aver propagandato la posizione del Partito sulla scuola nel suo liceo, il Diaz di Caserta, che aveva suscitato l'entusiasmo dei suoi compagni), e anche se manteneva riserve su Stalin e non chiariva le sue posizioni sul suo passato trotzkista, purtuttavia diceva di studiare assiduamente i documenti e i testi marxisti-leninisti che gli inviavamo, propagandava le nostre posizioni tra gli studenti, affiggeva i manifesti del Partito e inviava anche corrispondenze per "Il Bolscevico", tra cui una sua poesia sugli operai caduti sul lavoro.
Le sue lettere si concludevano sempre con calorose esclamazioni militanti, come "saluti a pugno chiuso", "gloria eterna al presidente Mao", "un rosso e caldo abbraccio", "coi Maestri vinceremo", e così via. Più volte aveva anzi promesso di venirci a trovare a Firenze, anche se poi non l'ha mai fatto.
Alla proposta di entrare nel PMLI, visto che da tempo si professava marxista-leninista e simpatizzante attivo del Partito, rispondeva in una lettera dell'11 marzo 1997: "Il vostro partito è entrato trionfante nelle mie simpatie... ma non mi ritengo ancora pronto ad essere un militante del PMLI". "Quando ti sentirai pronto sarà per noi una gioia accoglierti", gli si rispondeva, incitandolo intanto a studiare di più e propagandare la linea del Partito e invitandolo al ricevimento per il 20° anniversario della sua fondazione, offrendogli anche di pagargli le spese di viaggio e di soggiorno, ma poi non venne e mandò solo un messaggio di auguri.
Verso la metà del 1997, in coincidenza con gli esami di maturità, i suoi contatti si fecero più saltuari, ma ancora ad ottobre di quell'anno ci scriveva per informarci che gli erano arrivati i manifesti che si impegnava ad affiggere "alla prima notte propizia" e che aveva deciso di iscriversi alla facoltà di filosofia per approfondire "i padri del socialismo", e che forse entro l'anno sarebbe riuscito finalmente a venirci a trovare. Finché, gravato evidentemente dal suo inguaribile individualismo piccolo-borghese e incapace di chiarirsi le idee e fare il salto di qualità politico a cui il Partito lo sollecita amichevolmente ma fermamente da tempo, Saviano interruppe definitivamente i rapporti, non facendosi più vivo dopo la sua ultima lettera del 25 febbraio 1998, in cui ci salutava ancora con un "rosso e caldo abbraccio" chiedendoci di inviargli dei numeri arretrati de "Il Bolscevico". Ciononostante si rifarà ancora vivo dopo alcuni anni, presentandosi come "Roberto Saviano di 22 anni studente laureando in filosofia", con una e-mail del 6 settembre 2001, cinque anni prima di diventare famoso in tutto il mondo con "Gomorra", per chiederci di inviargli i ritratti di Marx, Engels e Lenin.
Dal marxismo-leninismo al riformismo turatiano
Si trattò dunque di un rapporto col Partito e con "Il Bolscevico" tutt'altro che sporadico e superficiale, bensì di un periodo significativo della sua formazione politica e culturale giovanile, negli anni cruciali tra la maturità e il primo anno di università, per cui è incomprensibile che lo abbia espunto dalla sua biografia come se non fosse mai esistito o non avesse avuto la minima importanza. Vero è che il Roberto Saviano di oggi è tutt'altra persona da quel giovane che a 17 anni ci scriveva "ho studiato le tesi di Mao e Lenin che hanno rafforzato la mia ideologia marxista-leninista", e Marx, Engels, Lenin e Mao sono "grandi statisti che con il loro pensiero e la loro azione hanno cambiato e cambieranno il modo di pensare e di agire" (lettera del 9/1/97).
Oggi Saviano è un riformista borghese di idee liberali e anticomuniste dichiarate, che ammette un'equivoca fascinazione per scrittori di culto della destra fascista, come Ernst Jünger, Ezra Pound, Louis-Ferdinand Céline, Carl Schmitt e Julius Evola, autori che afferma di leggere spesso e anzi di essersi "formato" su di essi. Che elogia Israele come esempio di "libertà e civiltà" e definisce "democrazia sotto assedio", posizioni che furono duramente criticate anche dal giornalista, poi ucciso barbaramente a Gaza, Vittorio Arrigoni. Che difende la legalità borghese e la non violenza gandhiana contro ogni manifestazione di "estremismo" di sinistra e violenza rivoluzionaria.
Un sostenitore convinto della democrazia borghese e del sistema capitalista in nome dl riformismo liberale, perché, come ha scritto nel marzo 2012 su "Repubblica" in una recensione ad un libro apologetico sul socialista riformista Filippo Turati, che con il suo opportunismo e la sua pavidità spianò la via del potere a Mussolini: "l'odio per i riformisti è il pilastro della pedagogia dell'intolleranza", che appartiene ancora "ai sopravvissuti di un estremismo massimalista che sostiene di avere la verità unica tra le mani"; mentre "i riformisti al contrario sono realisti e tolleranti... non credono nella società perfetta, ma in una società migliore che innalzi progressivamente il livello culturale dei lavoratori e migliori le loro condizioni di vita anche attraverso la partecipazione attiva alla gestione della cosa pubblica". Che abisso con il Saviano che in una lettera spedita il 6 febbraio 1997 ai "compagni del Bolscevico", nel mandare il suo "più fervido grazie per la disponibilità che mi regalate", scrive fieramente: "Odio i riformisti come odio Rifondazione quale organo parlamentarista e quindi componente dello Stato liberale"! Mentre in una lettera del 14 dicembre 1996 dichiarava: “Lotto con tutte le mie forze per la rivoluzione proletaria”.
Chi guida la penna di Saviano
E quale distanza siderale tra il Saviano di oggi e quello di allora, che nell'inviarci un articolo sulla ripresa delle lotte internazionali, anche armate, dopo la caduta del muro di Berlino, scriveva: "I giornali e l'opinione pubblica italiana ignorano o deplorano le azioni rivoluzionarie dei guerriglieri e degli operai comunisti! Forse il trasformismo della borghesia italiana ha offuscato le menti dei giornalisti e dei cittadini. Eppure se i loro occhi non fossero resi miopi dai mass-media monopolizzati dalle multinazionali, capirebbero i motivi delle rivolte e della violenza proletaria". O che ci inviava una corrispondenza, apparsa su “Il Bolscevico” n. 6 del 13 febbraio 1997 dal titolo: “Il proletariato deve far maturare la lotta di classe contro il capitalismo”.
Il Saviano di oggi invece deplora e condanna pubblicamente l'uso della violenza rivoluzionaria, come fa nel dicembre 2010, attaccando su "La Repubblica" la battaglia storica degli studenti che in Piazza del Popolo rispondono alla violenza della polizia che difende il parlamento assediato dal movimento, in cui si sta votando la fiducia al governo Berlusconi che ha tagliato miliardi di finanziamenti all'università e alla scuola con la controriforma Gelmini: "Chi ha lanciato un sasso alla manifestazione di Roma lo ha lanciato contro i movimenti di donne e uomini che erano in piazza, chi ha assaltato un bancomat lo ha fatto contro coloro che stavano manifestando per dimostrare che vogliono un nuovo paese, una nuova classe politica, nuove idee... tutto questo non appartiene a chi sta cercando in ogni modo di mostrare un’altra Italia", scriveva infatti il secondo Saviano, imitando la miope e reazionaria presa di posizione di Pasolini contro il movimento del '68. Cosa che fa a pugni, tra l'altro, con l'aver firmato, insieme ad altri intellettuali della "sinistra" borghese, l'appello in difesa del terrorista sedicente "comunista" Cesare Battisti quando era ancora latitante.
Certo il Partito aveva ben individuato allora il suo ostinato opportunismo piccolo-borghese, cercando ripetutamente di educarlo e di aiutarlo a superarlo, come quando per esempio lo metteva in guardia dalla "forte dose di spontaneismo, individualismo, avventurismo e finanche di trotzkismo" che emergeva "sia dalla [sua] lettera che dalla corrispondenza" (risposta del PMLI a Saviano del 21/5/97). Concludendo con queste (alla luce dei fatti, profetiche) parole: "Caro compagno Roberto, abbiamo visto che sai tenere bene la penna in mano. Ma se vuoi veramente che essa colpisca al cuore il regime neofascista occorre che tu ti impadronisca a fondo del marxismo-leninismo-pensiero di Mao e della linea del PMLI. Hai il dovere di creare una situazione in cui sia il proletariato rivoluzionario e non la borghesia con le sue varianti a guidare la tua penna".
Battaglie meritorie ma all'interno del sistema capitalista
Purtroppo oggi è la borghesia e non il proletariato a guidare la penna di Saviano, anche se non intendiamo certo togliergli quella parte di meriti indiscussi che si è guadagnato nella sua incessante lotta contro la camorra e tutte le mafie, in difesa dei migranti e dei rom contro il razzismo, la xenofobia e il fascismo, e in particolare contro l'aspirante duce d'Italia Matteo Salvini, che gli voleva togliere la scorta per offrirlo indifeso ai colpi della mafia e lo ha anche querelato per averlo definito "il ministro della mala vita". Come anche per tutte le altre battaglie fatte nel passato contro il berlusconismo, contro la legge bavaglio sulle intercettazioni, contro mafia capitale, contro l'attacco alla libertà di stampa del ducetto Di Maio e i suoi "taxi del mare", contro il demagogo De Magistris e il corrotto De Luca, contro il decreto fascista e razzista Minniti e tante altre battaglie che con la sua penna ha fatto e continua a fare, e che del resto "Il Bolscevico" ha sempre e puntualmente riportato e difeso. Ma il punto è che non le combatte da marxista-leninista, e nemmeno da rivoluzionario antirevisionista e antiriformista, quale almeno fino al 1998-2001 si poteva forse ancora definire. Le combatte semmai da liberale riformista borghese, tutte all'interno del regime capitalista e neofascista, che considera "riformabile" ma anche inamovibile, avendo rinnegato l'ideale del socialismo.
Nella stessa lettera del 6/2/97 in cui esprimeva il suo odio verso riformisti e revisionisti, Saviano concludeva "sperando di essere sempre considerato un compagno combattente". Il Partito gli rispondeva richiamandolo all'umiltà: "Sarai 'sempre considerato un compagno combattente', nella misura in cui non verrai meno ai tuoi doveri marxisti-leninisti. Ciò vale per qualsiasi militante e simpatizzante del PMLI".
Nella sua intervista a Simonetta Fiori, a un certo punto lo scrittore di "Gomorra" afferma: "Giocarsi la vita non vale mai la pena, ma quando accade non bisogna mai rinnegare". Si riferiva naturalmente alla sua sfida alla camorra che gli è costata la vita sotto scorta, ma dovrebbe valere per tutto, anche per le idee politiche. E allora, quand'è che Saviano ha smesso di essere 'un compagno combattente', e perché? Perché non spiega come si è potuto creare questo oscuro cambiamento tra il Saviano rivoluzionario e antiriformista di ieri e quello riformista, liberale, pacifista e in certi momenti finanche anticomunista e reazionario di oggi? E in ogni caso, perché nascondere questo passato, a meno che non se ne vergogni di fronte alla classe dominante borghese, nazionale e internazionale, che lo ha accolto nei suoi "salotti" più prestigiosi?
2 ottobre 2019