Il discorso alla Conferenza dei settemila in data 20 gennaio 1962
Una lezione magistrale di Mao sul centralismo democratico e sul pericolo della restaurazione del capitalismo nei Paesi socialisti
Impariamo da Mao a essere dei marxisti-leninisti consapevoli e a legare il PMLI alle masse
Il 20 gennaio 1962 Mao ha tenuto un importantissimo discorso intitolato “Discorso alla Conferenza dei settemila”, ripubblicato sul “Quotidiano del popolo” del 1° luglio 1978, 57° Anniversario della fondazione del PCC, e inserito nell'Antologia delle opere di Mao Zedong, Casa editrice del popolo 1986.
Lo pubblichiamo qui di seguito perché secondo noi si tratta di una lezione magistrale di Mao sul centralismo democratico e sul pericolo della restaurazione del capitalismo nei Paesi socialisti. Allora Liu Shaoqui non si era smascherato come il Krusciov cinese.
Quantunque questo discorso sia rivolto ai dirigenti dell'epoca del PCC e si occupi, in sede di bilancio critico e autocritico degli ultimi 12 anni della costruzione del socialismo in Cina, di questioni presenti in quel momento nel Partito e nel Paese, ha molti tratti di valore universale.
In particolare parla anche a noi marxisti-leninisti italiani per quanto riguarda il centralismo democratico, la critica e il metodo della risoluzione delle contraddizioni in seno al Partito, la disciplina proletaria, lo stile di lavoro, la responsabilità inviduale e la direzione collettiva, l'unità del Partito, il ruolo del Partito, l'aiuto reciproco tra compagni, il rapporto con le masse, il fronte unito, le alleanze, la conoscenza della realtà.
Una miriade di insegnamenti che una volta acquisiti e applicati ci rendono molto più forti ideologicamente e politicamente, più consapevoli, più capaci di legare il Partito alle masse.
Come Mao non dobbiamo temere le critiche dall'interno e dall'esterno del Partito. Non sfugga questo suo passaggio:
“Che tutti facciano le loro critiche. Io di giorno non esco e di sera non vado a teatro: vi invito a venirmi a criticare sia di giorno che di sera. Questa volta mi siederò, rifletterò a mente fredda e non chiuderò occhio per due o tre notti. Quando avrò riflettuto a sufficienza e mi sarò riordinato le idee, presenterò una onesta autocritica”.
Parlando della costruzione del socialismo in Cina e del pericolo della restaurazione del capitalismo, Mao rilancia quanto aveva già detto nel discorso “Sulla giusta soluzione delle contraddizioni in seno al popolo” in data 27 febbraio 1957, che il PMLI considera una delle cinque opere fondamentali marxiste-leniniste per trasformare il mondo e se stessi. La frase chiave è la seguente:
“Che accadrà nel nostro Paese se non costruiremo l'economia socialista? Diventerà un paese revisionista, di fatto si trasformerà in uno Stato capitalista, la dittatura del proletariato diventerà dittatura della borghesia, cioè una dittatura reazionaria e fascista... Parliamo di resti delle classi reazionarie. Tuttavia, non possiamo assolutamente prendere questi resti alla leggera, anzi, dobbiamo continuare a lottare contro di loro. Le classi reazionarie rovesciate continueranno a tentare una restaurazione. Anche la società socialista potrà produrre nuovi elementi borghesi. Durante l'intera società socialista, esistono le classi e la lotta di classe”.
Che lungimiranza! Che analisi scientifica! Che lezione storica! Teniamola a mente quando in Italia instaureremo il socialismo. Questo obiettivo può sembrare un miraggio, stante l'attuale situazione politica, il livello di coscienza politica del proletariato e delle masse, lo stadio della lotta di classe e la forza del PMLI e del suo rapporto con le masse. Ma non lo è, prima o poi, anche se tra mille anni, sarà una realtà. Purché persevereremo sulla Lunga Marcia politica e organizzativa sulla via dell'Ottobre avendo fiducia nel marxismo-leninismo-pensiero di Mao, nel socialismo, nel PMLI, nelle masse e in noi stessi.
Mao, rivolgendosi ai settemila ha detto:
“All'inizio la verità non è nelle mani della maggioranza, bensì della minoranza. Marx ed Engels avevano la verità nelle loro mani, ma all'inizio erano in minoranza. Lenin, a sua volta, rimase a lungo in minoranza. Anche il nostro Partito ha esperienza di questo tipo: sotto Chen Duxiu e la linea deviazionista di 'sinistra', la verità non era nelle mani della maggioranza che stava negli organismi dirigenti, bensì nelle mani della minoranza. Nella storia, le dottrine di specialisti delle scienze naturali come Copernico, Galileo e Darwin non furono riconosciute per molto tempo dalla maggioranza, anzi, furono considerate errate. Erano allora in minoranza. Quando fu fondato, nel 1921, il nostro Partito contava appena poche decine di membri, che erano a loro volta in minoranza, ma queste decine di delegati rappresentavano la verità e il destino della Cina”.
Compagni,
esprimerò ora alcune opinioni. (Applausi entusiasti)
Affronterò in tutto sei punti, concentrandomi principalmente sulla questione del centralismo democratico, ma toccando contemporaneamente anche altre questioni.
I. Lo svolgimento della conferenza
Questa conferenza allargata del CC vede la partecipazione di oltre settemila persone. All’apertura della conferenza, il compagno Liu Shaoqi ed altri compagni hanno preparato una bozza di rapporto, che però non era stata ancora discussa dall’Ufficio politico del CC. Io gli ho proposto di non passare prima per una riunione dell’Ufficio politico del CC, ma di distribuire immediatamente la bozza ai compagni che stanno prendendo parte alla conferenza per sollecitare il vostro dibattito e le vostre opinioni.
Compagni, fra voi sono presenti individui da ogni campo e località, vi sono delegati da ogni comitato provinciale, distrettuale e di contea, delegati dei comitati del Partito nelle imprese e delegati di tutti i dipartimenti centrali. La maggioranza di voi è composta da chi proviene dai livelli relativamente inferiori. In teoria, voi dovreste conoscere la situazione e i problemi presenti ben meglio di noi compagni del Comitato permanente, dell’Ufficio politico e della Segreteria del CC. Inoltre, vi trovate in posizioni diverse gli uni dagli altri, quindi potete sollevare varie questioni da ogni angolatura. Per questo motivo, vogliamo chiedervi di esprimere le vostre opinioni. E infatti, dopo che la bozza del rapporto vi è stata distribuita, è nato un vivo dibattito. Oltre a dichiararvi a favore delle direttrici essenziali indicate dal Centro, avete anche formulato numerose proposte. In seconda battuta, sotto la direzione del compagno Liu Shaoqi, è stata formata una commissione di stesura composta da dodici persone, fra cui i compagni responsabili di tutti gli uffici centrali, che, dopo otto giorni di discussione, ha prodotto la seconda bozza del rapporto scritto. Va sottolineato che la seconda bozza è il frutto della sintesi del dibattito dei settemila da parte del Centro. Senza le vostre proposte, sarebbe stato impossibile arrivare a questa seconda bozza. In quest’ultima, infatti, la prima e la seconda parte sono state modificate in modo considerevole e ciò va attribuito a voi. Ho saputo che, in generale, avete dato una valutazione positiva della seconda bozza, che l’avete trovata piuttosto buona. Se non avessimo adottato questo metodo, cioè se ci fossimo limitati a convocare una riunione ordinaria, con un rapporto seguito da una discussione e poi da una votazione, non avremmo potuto realizzare tanto.
Questa è una questione che riguarda il metodo con cui svolgere le conferenze.
Prima di tutto, le bozze dei rapporti vanno distribuite per sollecitare le opinioni e gli emendamenti dei partecipanti, quindi i rapporti vanno riscritti di conseguenza. I rapporti non devono essere presentanti tramite una lettura parola per parola, ma bisogna avanzare alcune idee aggiuntive e illustrare i cambiamenti apportati. Così sarà possibile dare pieno slancio alla democrazia e centralizzare le conoscenze che arrivano dai vari campi: ciò permetterà di soppesare i diversi punti di vista e la conferenza acquisirà più vitalità.
La nostra conferenza ha lo scopo di fare il bilancio dell’esperienza acquisita nel lavoro degli scorsi dodici anni, in particolare quella degli ultimi quattro anni. Ci sono numerosi problemi e, quindi, anche numerose opinioni: è proprio il caso di ricorrere a questo metodo. Si può forse affermare che uno stile come questo sia adatto a qualsiasi riunione? No, non si può affermare questo. Per questo tipo di metodo, occorre avere molto tempo a disposizione. Talvolta, probabilmente, potrebbe essere applicabile nelle sessioni delle nostre assemblee popolari. Compagni dei comitati provinciali, distrettuali e di contea, anche voi, quando convocherete riunioni in futuro, potrete usare questo metodo, se ve ne saranno le condizioni. Naturalmente siete assorbiti dal lavoro e, di norma, non vi è possibile dedicare molto tempo alle riunioni. Tuttavia, quando vi sono le condizioni, varrebbe la pena di fare un tentativo.
Che tipo di metodo è questo? È il metodo del centralismo democratico, è il metodo della linea di massa. Prima democrazia e poi centralismo, dalle masse alle masse, integrazione fra dirigenti e masse.
Questo era il primo punto di cui volevo parlare.
II. La questione del centralismo democratico
Sembra che alcuni compagni non abbiano ancora le idee chiare su cosa sia il centralismo democratico promosso da Marx e Lenin. Alcuni compagni ormai sono rivoluzionari veterani, che seguono lo stile “tre-otto” o qualche altro stile, comunque sono comunisti già da decenni, eppure continuano a non capire la questione. Hanno paura delle masse, temono che le masse possano prendere la parola e criticarli. Quando mai si è visto un marxista-leninista che teme le ragioni delle masse? Quando sbagliano, fanno finta di niente e hanno paura che le masse li accusino. Più hanno paura, più è chiaro che c’è qualcosa di sinistro. Secondo me non c’è nessuna ragione di avere paura. Che c’è di temibile? La nostra posizione consiste in: perseverare nella verità, correggere gli errori quando si presentano. Le questioni del giusto e dello sbagliato, del corretto e dell’errore nel nostro lavoro, sono tutte contraddizioni in seno al popolo. Per risolverle, non si può ricorrere ad illazioni, alla forza o alle armi. È consentito solo usare il metodo del dibattito, dell’argomentazione delle proprie ragioni, della critica e dell’autocritica. In una parola, il metodo della democrazia, il metodo che consente alle masse di dire la loro.
Sia all’interno che all’esterno del Partito, deve esserci una vita pienamente democratica. In altre parole, tutti devono applicare coscienziosamente il centralismo democratico. I problemi devono essere scoperchiati per davvero e alle masse va consentito di parlare, anche se diffameranno chicchessia. Le loro diffamazioni, al limite, finiranno per destituirci, ci priveranno di ogni lavoro, ci degraderanno e ci manderanno a lavorare ad un’istanza inferiore, oppure ci trasferiranno da qualche altra parte. Ho forse detto qualcosa di impossibile? Perché mai ad un individuo dovrebbe essere soltanto promosso e mai retrocesso? Perché mai si dovrebbe sempre lavorare nello stesso posto e non essere trasferiti? Io credo che retrocessioni e trasferimenti, giusti o sbagliati che siano, sono comunque utili perché possono temprare lo spirito rivoluzionario e portarci a indagare e studiare molte nuove situazioni, dandoci nuove conoscenze utili. Io per primo ho vissuto un’esperienza di questo genere, traendone grande beneficio. Se non mi credete, perché non andate a provare voi stessi?
Sima Qian ha scritto: “La prigionia del re Wen elaborò il Libro dei mutamenti
. Le avversità della vita di Confucio redassero le Primavere e autunni
. L’esilio di Qu Yuan compose l’Elegia della separazione
. La perdita della vista di Zuo Qiuming generò i Discorsi sullo Stato
. La tortura alle ginocchia di Sun Bin scrisse l’Arte della guerra.
L’esilio di Lü Buwei nella terra di Shu portò gli Annali di messer Lü
al mondo intero. La prigionia di Han Fei presso lo stato di Qin tramandò le Difficoltà della persuasione
e l’Indignazione solitaria
ai posteri. Le trecento poesie per gran parte esprimono la rabbia e il dolore dei venerabili saggi”.
I contemporanei non sono sicuri che, in realtà, il re Wen e Confucio effettivamente scrissero il Libro dei mutamenti
e le Primavere e autunni.
Noi possiamo non occuparcene: lasciamo la questione agli esperti! Sima Qian, tuttavia, era convinto che fosse vero. La prigionia del re Wen e le avversità di Confucio sono, effettivamente, acclarate. Quelli citati da Sima Qian, tranne Zuo Qiuming, sono tutti personaggi che subirono un torto da parte dei dirigenti di allora. In passato anche noi abbiamo fatto dei torti ad alcuni quadri. Questi casi, sia che si tratti di casi completamente errati o anche soltanto parzialmente errati, devono essere riesaminati e riabilitati, secondo le situazioni concrete. Tuttavia, generalmente parlando, questi errori, cioè averli retrocessi o trasferiti, sono stati un’occasione per temprare il loro spirito rivoluzionario e gli hanno dato modo di assorbire molte nuove conoscenze dalle masse popolari. Ora, non sto sostenendo che i quadri, i compagni o chiunque altro vadano trattati indiscriminatamente, nel modo sbagliato, come fecero gli antichi imprigionando il re Wen, bandendo Confucio e strappando le rotule a Sun Bin. Non sostengo che si debba fare così, anzi, sono contrario. Sto semplicemente affermando che queste decisioni sbagliate sono state prese in ogni momento storico della società umana. Nella società divisa in classi, questi avvenimenti sono aumentati a dismisura. Nella società socialista, sono altrettanto inevitabili, sia nei periodi in cui prevale la linea giusta, sia nei periodi in cui prevale la linea sbagliata. C’è però una differenza: se prevale la linea giusta, ogni volta che un caso viene gestito scorrettamente, è possibile riesaminarlo, riabilitarlo, offrire le proprie scuse a chi vi era implicato, alzare il suo morale e rimetterlo in piedi. Se prevale la linea sbagliata, invece, ciò è impossibile e non si può fare altro che attendere che chi rappresenta la linea giusta, al momento opportuno, nel rispetto del centralismo democratico, cominci a correggere gli errori. Per quanto riguarda infine chi ha effettivamente sbagliato e, dopo che è stato emesso un giudizio corretto grazie alle critiche dei compagni ed alle valutazioni dell’istanza superiore, viene retrocesso o trasferito, va da sé che quest’occasione è preziosa per correggere gli errori commessi ed acquisire nuove conoscenze.
Attualmente alcuni compagni hanno molta paura che le masse intavolino discussioni ed esprimano opinioni discordanti rispetto a quelle dell’apparato dirigente e dei dirigenti. Essi, non appena nasce un dibattito, soffocano l’entusiasmo delle masse e non consentono di parlare liberamente. Ciò è estremamente nefasto. Lo statuto del nostro Partito e la nostra Costituzione seguono il centralismo democratico, ma loro non lo applicano. Compagni, noi siamo rivoluzionari: se commettiamo effettivamente degli errori, questi errori non sono vantaggiosi per la causa del Partito e del popolo, quindi dobbiamo sollecitare le osservazioni delle masse popolari e dei compagni e fare autocritica. Talvolta, potrebbe essere necessario presentare più volte questa autocritica. Se la prima volta va male e chi ci ascolta non è soddisfatto, va fatta una seconda volta; se è ancora insoddisfacente, va fatta una terza volta; solo quando nessuno non avrà più nulla da dire, si potrà smettere di fare autocritica. Alcuni Comitati provinciali fanno così. Alcune province hanno più iniziativa di altre e permettono a tutti di parlare. Chi ha cominciato a fare autocritica per primo, l’ha fatta già nel 1959. I ritardatari hanno cominciato nel 1961. Alcune province, invece, sono state costrette a fare autocritica, come lo Henan, il Gansu e il Qinghai. Secondo qualcuno, altre province ancora hanno cominciato solo adesso a fare autocritica. Che si faccia l’autocritica di propria iniziativa o su sollecitazione, che sia presto o tardi, finché si riconoscono e si ammettono gli errori, ci si impegna a correggerli e si permette alle masse di criticare, chi agirà così sarà comunque il benvenuto.
La critica e l’autocritica sono un metodo per risolvere le contraddizioni in seno al popolo. Non solo, sono l’unico metodo per farlo. Non ve ne sono altri oltre ad esse. Se però manca una vita pienamente democratica e il centralismo democratico non viene applicato coscienziosamente, allora non è possibile nemmeno praticare la critica e l’autocritica.
Non è forse vero che al momento abbiamo molte difficoltà? Se non ci affidiamo alle masse, se non mobilitiamo l’entusiasmo delle masse e dei quadri, queste difficoltà saranno per noi insuperabili. Se però non spieghiamo alle masse e ai quadri come stanno le cose, se non siamo sinceri con loro, se non gli permettiamo di esprimere le loro opinioni, se cioè essi avranno paura di noi e non oseranno aprire bocca, allora non sarà nemmeno possibile mobilitare il loro entusiasmo. Nel 1957 parlai in questi termini: “un’atmosfera in cui si abbia sia centralismo che democrazia, sia disciplina che libertà, sia unità di volontà che soddisfacimento personale, iniziativa e vivacità”. Questa dovrebbe essere l’atmosfera politica tanto dentro quanto fuori il Partito. Senza questa atmosfera politica, non è possibile dare pieno sfogo all’entusiasmo delle masse. Senza democrazia non è possibile sormontare le difficoltà. Naturalmente è ancora peggio non avere il centralismo, tuttavia senza democrazia non vi può essere centralismo. Senza democrazia, non vi può essere un autentico centralismo, perché se tutti hanno idee discordanti e se manca una visione comune, il centralismo è irrealizzabile. Cos’è il centralismo? Innanzitutto è la centralizzazione delle idee giuste, sulla cui base è possibile unificare le coscienze, le politiche, i programmi, le direttive e le azioni. Questa si chiama unificazione centralizzata. Se i problemi non vengono compresi, se si hanno delle opinioni ma non le si esprime, se si è arrabbiati ma lo si nasconde, come sarebbe possibile realizzare questa unificazione centralizzata? Senza democrazia, fare correttamente il bilancio delle esperienze è impossibile. Senza democrazia, le idee non vengono dalle masse e quindi è impossibile elaborare una linea, delle misure, delle politiche e dei metodi corretti. Il nostro apparato dirigente, quando formula la linea, delle misure, delle politiche o dei metodi, non è altro che un’officina di lavorazione. Tutti sanno che, senza materie prime, non ci può essere nemmeno lavorazione. Senza materie prime quantitativamente abbondanti e qualitativamente appropriate, è impossibile lavorare buoni prodotti. Se manca la democrazia, non è possibile avere le idee chiare su ciò che avviene in basso, avere un quadro chiaro della situazione, raccogliere pienamente le opinioni da tutte le parti, creare una comunicazione fra l’alto e il basso. Gli organismi dirigenti prenderebbero le loro decisioni sulla base di materiali unilaterali o non veritieri, e allora sarebbe ben difficile evitare il soggettivismo, per non parlare poi dell’unificazione delle coscienze e delle azioni. Un autentico centralismo sarebbe irrealizzabile. Il tema principale di questa conferenza non è forse la lotta al dispersionismo e il rafforzamento dell’unificazione centralizzata? Se non pratichiamo pienamente la democrazia, questo centralismo e questa unificazione saranno veri o falsi? Saranno ricchi di sostanza o gusci vuoti? Saranno giusti o sbagliati? Naturalmente, non potranno che essere falsi, vuoti, sbagliati.
Il nostro centralismo si fonda sulla democrazia. Il centralismo proletario è un centralismo che sta sulla base della più vasta democrazia. I comitati del Partito a tutti i livelli sono organismi dirigenti che praticano il centralismo; tuttavia, i dirigenti dei comitati del Partito sono dirigenti centralizzati, non esiste l’arbitrarietà individuale dei primi segretari. Nei comitati del Partito non si può che praticare il centralismo democratico. Il rapporto del primo segretario con gli altri segretari ed i membri del comitato segue la regola della minoranza subordinata alla maggioranza. Prendiamo ora il caso del Comitato permanente o dell’Ufficio politico: spesso avviene che io dica qualcosa, giusta o sbagliata che sia, ma se gli altri non sono a favore, io devo attenermi alle loro idee, perché sono la maggioranza. So che, attualmente, in certi comitati provinciali, distrettuali e di contea avviene che, per qualsiasi cosa, la parola del primo segretario detti legge. Ciò è estremamente scorretto. Quando mai la parola di un individuo può essere considerata legge? Mi sto riferendo alle grandi questioni, non al lavoro quotidiano successivo all’approvazione delle decisioni. Se si tratta di grandi questioni, bisogna discuterne tutti insieme, prendere in seria considerazione le proposte discordanti e analizzare attentamente le situazioni complesse e le opinioni discordanti. Bisogna pensare alle varie possibilità aperte da un determinato fatto, riflettere sui diversi aspetti di una situazione, positivi e negativi, favorevoli e difficoltosi, realizzabili e non realizzabili. Bisogna essere il più possibile prudenti e dedicare un po’ più tempo alla riflessione. Se non si procede in questo modo, si ha il despotismo dell’individuo. I primi segretari che si comportano così dovrebbero proprio essere chiamati despoti, perché non sono affatto i “capisquadra” previsti dal centralismo democratico.
In passato vi era un tale di nome Xiang Yu, noto come despota del Chu orientale, il quale non amava molto ascoltare le idee diverse dalle sue. Un certo Fang Zeng, alla sua corte, gli offrì molti suggerimenti, ma Xiang Yu non lo ascoltò nemmeno. Un altro tale si chiamava Liu Bang, cioè il primo imperatore Han, il quale era maggiormente capace di ricevere ogni sorta di opinione discordante. Un giorno, un intellettuale di nome Li Siqi fece visita a Liu Bang e si presentò come uno studioso della scuola di Confucio. Liu Bang gli rispose: “Questa è l’epoca dei guerrieri, non mi interessano gli studiosi”. Li Siqi andò su tutte le furie e sbottò, rivolto al guardiano della porta: “Va’ dentro e digli che io non sono altro che uno stramaledetto beone di Guoyang, non uno studioso”. Il guardiano entrò e riportò quanto gli era stato detto. “Bene, può entrare.” Quando Li Siqi entrò, Liu Bang si stava lavando i piedi, ma balzò in piedi per accoglierlo. Li Siqi però era ancora arrabbiato perché Liu Bang si era rifiutato di ricevere uno studioso, quindi li criticò: “Ma allora volete o non volete conquistare il mondo intero? Perché allora disprezzate gli anziani?”. Li Siqi aveva già passato i sessant’anni e Liu Bang era più giovane di lui, ecco perché Li Siqi si definì “anziano”. Ascoltate le sue parole, Liu Bang si scusò e accettò immediatamente la proposta di Li Siqi di prendere la contea di Chenliu. Questo fatto è contenuto nelle biografie del maestro Li e Lu Jia, nelle Memorie di uno storico
.
In epoca feudale, Liu Bang era descritto dagli storici come un personaggio eroico “magnanimo e generoso, che segue gli ammonimenti come l’acqua segue la corrente”. Liu Bang guerreggiò per molti anni contro Xiang Yu. Se fu Liu Bang a vincere, e non Xiang Yu, non è certo accidentale. Certi nostri primi segretari oggi non sono comparabili nemmeno a Liu Bang, dell’epoca feudale; anzi, somigliano un po’ a Xiang Yu. Se questi compagni non cambieranno, alla fine saranno buttati giù. Una certa opera teatrale si chiama: Il despota dà l’addio alla concubina
. Se questi compagni persistono a non cambiare, come potranno non trovarsi essi stessi, un giorno, a dover dire “addio alla concubina”? (Risa)
Perché parlo in termini tanto duri? È che voglio essere un po’ più tagliente del solito, pungere un po’ alcuni compagni, portarli a rifletterci con grande attenzione. Meglio ancora se non riusciranno a prendere sonno per un paio di giorni. Se riusciranno a dormire, non sarò contento, perché vorrà dire che non si sentono addolorati.
Alcuni nostri compagni non riescono proprio a prestare orecchio alle opinioni diverse dalle loro, per non parlare delle critiche. Tutto questo è estremamente sbagliato. Durante questa nostra conferenza, una provincia ha tenuto una riunione inizialmente molto attiva e vivace, ma non appena sono arrivati i segretari del Comitato provinciale, non si è più sentito volare una mosca: nessuno ha aperto più bocca. Compagni segretari del Comitato provinciale, perché siete andati alla riunione? Perché non siete stati nelle vostre stanze a riflettere sui problemi e non avete permesso a tutti di condurre le loro discussioni? Di norma, quando si viene a creare un’atmosfera di questo tipo e nessuno osa parlare davanti a voi, sarebbe il caso che faceste un passo indietro. Se avete sbagliato, dovete assolutamente autocriticarvi, permettere a tutti di dire la propria e di criticarvi. Il 12 giugno dell’anno scorso, durante l’ultima giornata della conferenza di lavoro di Pechino del CC, ho parlato dei miei difetti ed errori e ho invitato i compagni a riferire quanto detto a tutte le province e le località. In un secondo momento, sono venuto a sapere che in numerosi luoghi ciò non era stato fatto, come se i miei errori potessero, anzi, dovessero essere nascosti. Compagni, non si tratta di cose che si possono nascondere. Ogni volta che il CC commette un errore, direttamente la responsabilità va ricondotta a me, ma anche indirettamente mi va riconosciuta una parte, perché sono il presidente del CC. Non voglio che altri si divincolino dalle loro responsabilità: anche altri compagni devono essere ritenuti responsabili, ma la responsabilità principale va ricondotta a me. I segretari dei comitati provinciali, distrettuali e di contea, ma persino i segretari dei comitati di zona, d’impresa e di comune, essendo divenuti primi segretari, devono a loro volta accettare la responsabilità dei difetti e degli errori del loro lavoro. Chi non si addossa le responsabilità e le teme, non permette agli altri di aprire bocca, si crede una tigre ed è convinto che nessuno oserà toccarle il sedere, questo genere di persone finiranno per cadere, dieci su dieci. Ci sarà sempre chi vorrà parlare. Credete davvero di essere tigri e che nessuno oserà toccarvi il sedere? Ve lo toccheranno eccome!
Nel nostro Paese, senza esercitare una piena democrazia popolare e una piena democrazia interna al Partito e senza praticare un pieno sistema democratico proletario, è impossibile avere un autentico centralismo proletario. Senza un alto livello di democrazia, non vi può essere un alto livello di centralismo, e senza un alto livello di centralismo, non è possibile costruire l’economia socialista. Che accadrà al nostro Paese se non costruiremo l’economia socialista? Diventerà un Paese revisionista, di fatto si trasformerà in uno Stato capitalista, la dittatura del proletariato diventerà dittatura della borghesia, cioè una dittatura reazionaria e fascista. Questo è un problema che merita la massima vigilanza e spero pertanto che i compagni vi rifletteranno a dovere.
Senza il centralismo democratico, è impossibile consolidare la dittatura del proletariato. Praticare la democrazia nelle contraddizioni in seno al popolo e praticare la dittatura contro i nemici del popolo: questi due aspetti sono inseparabili e la loro integrazione è la dittatura del proletariato, o dittatura democratica popolare. La nostra parola d’ordine è: dittatura democratica popolare sotto la direzione del proletariato e sulla base dell’alleanza operai-contadini. Come può il proletariato esercitare la sua direzione? Attraverso il Partito comunista. Il Partito comunista è l’avanguardia del proletariato. Il proletariato, unito con tutte le altre classi e gli altri strati che approvano, sostengono e partecipano alla rivoluzione socialista e alla costruzione del socialismo, esercita la dittatura contro le classi reazionarie, o, per meglio dire, contro i resti delle classi reazionarie. Il sistema fondato sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, nel nostro Paese, è stato distrutto, così come la base economica della classe dei proprietari terrieri e della borghesia. Le classi reazionarie oggi non sono più temibili come in passato: non sono più temibili come, per esempio, all’epoca della fondazione della Repubblica popolare, nel 1949, o come all’epoca del furioso attacco della destra borghese nel 1957. Ecco perché parliamo di resti delle classi reazionarie. Tuttavia, non possiamo assolutamente prendere questi resti alla leggera, anzi, dobbiamo continuare a lottare contro di loro. Le classi reazionarie rovesciate continueranno a tentare una restaurazione. Anche la società socialista potrà produrre nuovi elementi borghesi. Durante l’intera società socialista, esistono le classi e la lotta di classe. Questa lotta di classe sarà prolungata, complessa e, a tratti, anche molto acuta.
Gli strumenti della nostra dittatura non possono essere indeboliti, vanno invece rafforzati. Il nostro apparato di pubblica sicurezza è attualmente nelle mani dei giusti compagni. Potrebbe però accadere che, in alcune singole località, gli uffici di pubblica sicurezza siano nelle mani di cattivi elementi. Non solo: alcuni compagni che lavorano nella pubblica sicurezza non si affidano alle masse né al Partito e, nel lavoro di epurazione, non applicano la linea secondo cui tale lavoro va condotto sotto la direzione dei comitati del Partito e passando per le masse. Al contrario, si limitano al lavoro segreto ed alle cosiddette “attività professionali”. Le attività professionali sono necessarie, com’è del tutto necessario indagare e interrogare i controrivoluzionari, ma l’aspetto più importante è la linea di fare affidamento sulle masse sotto la direzione dei comitati del Partito. Bisogna affidarsi alle masse e al Partito soprattutto quando si tratta di esercitare la dittatura contro le classi reazionarie in quanto tali. Quando parliamo di esercitare la dittatura sulle classi reazionarie, non intendiamo assolutamente dire che tutti gli elementi reazionari debbano essere eliminati dal primo all’ultimo, bensì che è necessario trasformarli, usando i metodi appropriati, e renderli uomini nuovi. Senza una vasta democrazia popolare, sarà impossibile consolidare la dittatura del proletariato e il nostro potere resterà instabile. Senza la democrazia, senza la mobilitazione delle masse, senza la supervisione da parte delle masse, è impossibile esercitare un’efficiente dittatura sui reazionari e sugli elementi negativi, così come è impossibile trasformarli efficacemente. Essi continueranno le loro attività di disturbo e permarrà il pericolo della restaurazione. Questo problema richiede la nostra vigilanza e spero che i compagni rifletteranno a dovere anche su questo.
III. Con quali classi dobbiamo unirci e quali reprimere?
Questa è una questione di campo fondamentale.
La classe operaia deve unirsi alla classe dei contadini, alla piccola borghesia urbana e alla borghesia nazionale patriottica, ma principalmente ai contadini. Gli intellettuali, come gli scienziati, gli ingegneri, i professori, gli insegnanti, gli scrittori, gli artisti, gli attori, i medici e i giornalisti non costituiscono una classe. O appartengono al proletariato, o appartengono alla borghesia. Per quanto riguarda gli intellettuali, non dovremmo forse unirci solamente a quelli rivoluzionari? No, non è così. Dobbiamo unirci con loro se sono patrioti e permettergli di svolgere un buon lavoro. Gli operai, i contadini, i piccolo-borghesi urbani, gli intellettuali patriottici, i borghesi patriottici e le altre personalità democratiche patriottiche, tutti costoro, insieme, costituiscono più del 95% dell’intera popolazione. Tutti loro, sotto la nostra dittatura democratica popolare, fanno parte del campo del popolo. In seno al popolo, bisogna praticare la democrazia.
I bersagli della repressione della dittatura democratica popolare sono i proprietari terrieri, i contadini ricchi, i controrivoluzionari, gli elementi negativi e i destri anticomunisti. La classe rappresentata dai controrivoluzionari, dagli elementi negativi e dai destri anticomunisti è quella dei proprietari terrieri e della borghesia reazionaria. Queste classi e questi elementi negativi saranno appena il 4-5% della popolazione. Noi dobbiamo costringerli a trasformarsi. Nell’ambito della dittatura democratica popolare, loro costituiscono i bersagli della dittatura. Da che parte stiamo, noi? Dalla parte delle masse popolari, che costituiscono oltre il 95% della popolazione, o dalla parte dei proprietari terrieri, dei contadini ricchi, dei controrivoluzionari, degli elementi negativi e dei destri, che costituiscono il 4-5%? Noi dobbiamo assolutamente stare dalla parte delle masse popolari, non possiamo assolutamente stare dalla parte dei nemici del popolo. Questa è la questione di campo fondamentale di un marxista-leninista.
Le cose stanno così non soltanto nel nostro Paese, ma anche in campo internazionale. Le larghe masse del popolo, che costituiscono oltre il 90% della popolazione di ciascun Paese, vorranno sempre fare la rivoluzione e sosterranno sempre il marxismo-leninismo. Non appoggeranno il revisionismo; alcuni potranno farlo momentaneamente, ma alla fine lo abbandoneranno. In ogni caso si risveglieranno gradualmente e saranno sempre contro l’imperialismo e i reazionari di ogni Paese e contro il revisionismo. Un autentico marxista-leninista deve stare saldamente dalla parte delle larghe masse del popolo, che costituiscono oltre il 90% della popolazione mondiale.
IV. Sulla questione della conoscenza del mondo oggettivo
La conoscenza del mondo oggettivo da parte delle persone, il balzo dal regno della necessità al regno della libertà, richiedono un processo. Prendiamo come esempio la questione di come condurre la rivoluzione democratica in Cina. Dalla fondazione del Partito nel 1921 al suo VII Congresso nel 1945 passarono ventiquattro anni, ma fu solo allora che la coscienza dell’intero nostro Partito poté essere unificata compiutamente. Nel frattempo vi fu un movimento di rettifica che interessò l’intero Partito e che durò tre anni e mezzo, dalla primavera del 1942 all’estate del 1945. Fu un movimento di rettifica meticoloso e il metodo adottato fu quello della democrazia. In parole povere, sarebbe stato sufficiente che chiunque aveva sbagliato, a prescindere da chi fosse, avesse preso coscienza dei suoi errori e li avesse corretti; gli altri, dal canto loro, lo avrebbero aiutato a prenderne coscienza e a correggerli. Questo metodo si chiama “imparare dagli errori passati per evitare quelli futuri, curare la malattia per salvare il paziente”, “partire dal desiderio di unità e, attraverso la critica o la lotta, discernere il giusto dallo sbagliato ed arrivare ad una nuova unità su nuove basi”. La formula “unità-critica-unità” fu creata in quel periodo. Quel movimento di rettifica aiutò i compagni dell’intero Partito ad unificare la loro comprensione del mondo. Questioni come quelle relative al modo in cui andava condotta la rivoluzione democratica di allora e quali dovessero essere la linea generale e le politiche concrete del Partito, furono tutte sbrogliate completamente solo allora, soprattutto dopo il movimento di rettifica.
Fra la fondazione del Partito alla Resistenza antigiapponese, vi furono la Spedizione al Nord e i dieci anni di guerra rivoluzionaria nelle campagne, quando registrammo due vittorie e due sconfitte. La Spedizione al Nord fu una vittoria, ma nel 1927 la rivoluzione subì una sconfitta. La guerra rivoluzionaria nelle campagne fu una vittoria e l’Esercito rosso arrivò a comprendere trecentomila persone, ma poi incontrammo degli ostacoli e, dopo la Lunga Marcia, di queste trecentomila persone ne rimasero poco più di ventimila. Dopo il nostro arrivo nello Shaanxi rimpinguammo le forze, ma senza arrivare a trecentomila. Eravamo cioè meno di un decimo di quei trecentomila. Alla fine, però, fu più forte l’esercito di trecentomila persone, o l’esercito che non arrivò a trecentomila persone? Aver subito una sconfitta così grande e aver dovuto masticare bocconi tanto amari ci temprò, ci fornì un’esperienza, ci consentì di correggere la linea sbagliata e di restaurare la linea giusta. Fu così che l’esercito che non arrivò a trecentomila persone ottenne più e fu più forte dell’esercito di trecentomila persone. Nel suo rapporto, il compagno Liu Shaoqi ha detto che la nostra linea negli ultimi quattro anni è stata corretta e che i successi sono il fattore principale; nel lavoro concreto abbiamo commesso qualche errore e abbiamo attraversato delle avversità, ma è stata un’esperienza, grazie alla quale ora siamo più forti, non più deboli. Le cose stanno proprio così. All’epoca della rivoluzione democratica fu solo dopo una vittoria, una sconfitta, un’altra vittoria e un’altra sconfitta, e una comparazione di vittoria e sconfitta, che arrivammo a comprendere il mondo oggettivo della Cina. Alla vigilia e durante la Guerra di Resistenza antigiapponese, io scrissi alcuni saggi, come Problemi strategici della guerra rivoluzionaria in Cina, Sulla guerra di lunga durata, Sulla nuova democrazia
e Prefazione a “Il Comunista”
e redassi alcuni documenti strategici e tattici per conto del CC. Si trattava, in tutti questi casi, di bilanci dell’esperienza rivoluzionaria. Non sarebbe stato possibile produrre questi saggi e documenti all’infuori di quel contesto. Non sarebbero stati possibili prima, perché non avevamo avuto esperienza delle tempeste e delle ondate, non potevamo mettere due vittorie e due sconfitte a confronto, inoltre non avevamo un’esperienza soddisfacente e non avevamo capito completamente le leggi della rivoluzione cinese.
Il mondo oggettivo della Cina, in generale, è stato compreso dai cinesi, non dai compagni dell’Internazionale comunista che si occupavano delle questioni cinesi. Questi compagni dell’Internazionale comunista non capivano a sufficienza o non capivano affatto la società cinese, la nazione cinese e la rivoluzione cinese. Noi stessi, per molto tempo, non abbiamo avuto ben chiaro il mondo oggettivo della Cina; come avrebbero potuto capirlo i compagni stranieri?
Solo durante la Resistenza antigiapponese noi riuscimmo finalmente ad elaborare una linea generale e un insieme di politiche concrete del Partito che fossero attinenti alla realtà. Fu allora che il regno della necessità della rivoluzione cinese ci fu finalmente svelato e fu solo allora che noi stessi divenimmo liberi. Allora facevamo la rivoluzione già da una ventina d’anni, eppure per così tanti anni il nostro lavoro internazionale era stato svolto in larga parte alla cieca. Se qualcuno dovesse affermare che c’era un compagno, magari un tale compagno del CC, o magari io stesso, che fin dall’inizio aveva completamente capito le leggi della rivoluzione cinese, questi non sarebbero che chiacchiericci ai quali voi non dovreste credere minimamente. Non vi fu nulla di tutto questo. In passato, soprattutto all’inizio, tutte le nostre energie erano rivolte alla rivoluzione, ma per un certo periodo di tempo abbastanza lungo, non avevamo chiaro o, per meglio dire, non avevamo del tutto chiaro come fare la rivoluzione, cosa volevamo rivoluzionare, cosa dovessimo rivoluzionarie prima e cosa dopo, quale fase dovesse venire prima e quale dopo. Quando spiego la storia di come noi comunisti cinesi, nel corso della rivoluzione democratica, siamo giunti a fatica ma con successo a comprendere le leggi della rivoluzione cinese, lo faccio per indurre i compagni a capire un punto: capire le leggi della costruzione del socialismo richiede un certo processo. È necessario partire dalla pratica, passare dall’assenza di esperienza all’esperienza, da una quantità relativamente bassa di esperienza ad una quantità relativamente elevata, passare dalla costruzione del socialismo in quanto regno della necessità, non ancora compreso, alla capacità di sconfiggere gradualmente l’oscurità, conoscere le leggi oggettive e infine conquistare la libertà, effettuare un balzo di coscienza e raggiungere il regno della libertà.
Ci manca esperienza per quanto riguarda la costruzione del socialismo. Ne ho parlato con molte delegazioni di partiti fratelli esteri. Gli dico sempre che non abbiamo esperienza per quanto riguarda la costruzione dell’economia socialista. Ho citato lo stesso problema anche ad alcuni giornalisti provenienti da Paesi capitalisti, fra i quali un americano di nome Edgar Snow. Quest’ultimo vuole sempre venire in Cina e nel 1960 gli abbiamo accordato il permesso. Ho avuto un colloquio con lui, durante il quale gli ho detto: “Devi sapere che noi abbiamo una buona esperienza e un intero gruppo di misure, politiche e metodi per la politica, gli affari militari e la lotta di classe. Però non abbiamo mai costruito il socialismo prima, quindi non abbiamo esperienza. Obietterai: ‘Non sono già undici anni che lo costruite?’. Sì, sono undici anni, ma ci mancavano le conoscenze, ci mancava l’esperienza. Si potrebbe dire che abbiamo cominciato ad accumularne un po’, ma non molte”. Snow ha voluto che gli parlassi del programma a lungo termine per la costruzione della Cina. “Non lo so”, gli ho risposto, e lui ha detto: “Parli con troppa prudenza”. “Qui”, ho replicato, “non si tratta di prudenza, è che non lo so! Non abbiamo esperienza, ecco quanto”. Compagni, è vero che non lo so, è vero che manchiamo di esperienza, è vero che non abbiamo un programma a lungo termine. Nel 1960 ne stavamo prendendo di tutti i colori. Nel 1961, parlando con Montgomery, ho ribadito gli stessi concetti. Lui ha risposto: “Fate passare altri cinquant’anni. Sarete terribili”. Intendeva dire che, fra cinquant’anni, saremmo divenuti forti e avremmo “invaso” altri. Ma non avverrà certo fra cinquant’anni. Montgomery mi aveva già esternato questa idea quando era venuto in Cina nel 1960. Allora, avevo ribattuto: “Noi siamo marxisti-leninisti e il nostro è uno Stato socialista, non capitalista, quindi non invaderemo nessuno, né fra cent’anni, né fra diecimila anni. Per quanto riguarda invece la costruzione di una potente economia socialista in Cina, cinquant’anni non saranno sufficienti. Ci vorranno cent’anni, se non di più. Lo sviluppo del capitalismo nel vostro Paese ha richiesto diversi secoli. Il XVI secolo non conta, era ancora Medioevo, ma fra il XVII secolo ad oggi, sono passati più di trecentosessant’anni. Io stimo che, per costruire una potente economia socialista in Cina, serviranno almeno cent’anni e più”. Che epoca era il XVII secolo? In Cina, erano gli ultimi anni della dinastia Ming e gli albori della dinastia Qing. Un secolo dopo, cioè la prima metà del Settecento, era l’età di Qianlong e quindi di Cao Xueqin, l’autore del Sogno della camera rossa
, cioè l’epoca che produsse personaggi letterari come Jia Baoyu, insoddisfatti del sistema feudale. Durante l’èra di Qianlong apparvero i primi semi di rapporti capitalistici in Cina, ma si trattava ancora di una società feudale. Fu questo il contesto sociale in cui apparvero personaggi letterari come quelli del Giardino della grande vista. Prima, cioè nel XVI secolo, in alcune nazioni europee si stava già sviluppando il capitalismo; in oltre trecento anni, le forze produttive capitalistiche hanno assunto l’aspetto di oggi. Il socialismo è superiore al capitalismo sotto molti aspetti e perciò lo sviluppo del nostro Paese sarà molto più rapido di quello dei Paesi capitalisti. Tuttavia, la Cina ha una popolazione molto numerosa, una base assai debole e un’economia arretrata. Sviluppare le forze produttive su vasta scala e raggiungere o superare i Paesi capitalisti più all’avanguardia del mondo in meno di un centinaio d’anni, per me, è impossibile. Forse basterà qualche decennio, magari quei cinquant’anni immaginati da qualcuno. Se le cose andranno veramente così, ci sarà da ringraziare il cielo e la terra, perché sarebbe davvero sbalorditivo. Io però consiglio ai compagni di prevedere un po’ più di difficoltà e, quindi, a fare previsioni temporali un po’ più dilungate. Ci sono voluti trecento anni e qualche decennio per costruire economie capitaliste potenti, quindi che male ci sarebbe se la Cina avesse bisogno dai cinquanta ai cent’anni per costruire un’economia socialista potente? I prossimi cinquanta o cent’anni, a partire da oggi, saranno la grande epoca della trasformazione totale del sistema sociale del mondo intero, la grande epoca in cui verranno rovesciati cielo e terra, incomparabile rispetto a tutte le altre epoche storiche precedenti. Trovandoci in questa epoca, noi dobbiamo essere pronti a condurre grandi lotte con molte caratteristiche diverse rispetto alle forme di lotta delle epoche precedenti. Per adempiere a questa causa, noi dobbiamo cercare di migliorare la nostra capacità di integrare la verità universale del marxismo-leninismo con la pratica concreta della costruzione del socialismo in Cina e con la pratica concreta della rivoluzione mondiale da oggi in poi, e, a partire dalla pratica, comprendere passo dopo passo le leggi oggettive della lotta. Dobbiamo prepararci a subire numerose sconfitte e arretramenti a causa della nostra cecità, a trarne le dovute esperienze e, da lì, conquistare la vittoria finale. Partire da questi presupporti e fare previsioni temporali un poco più lunghe ha molti aspetti positivi. Al contrario, pensare in tempi più stretti è pericoloso.
Nella costruzione del socialismo, la nostra cecità è pesante. L’economia socialista, per noi, ha ancora molti regni della necessità lontani dalla nostra comprensione. Prendete me: ci sono ancora numerosi problemi del lavoro di costruzione dell’economia che non comprendo. Non mi intendo molto di industria e commercio. So qualcosa in più sull’agricoltura. È però una conoscenza relativa, non è ancora una conoscenza approfondita. Per poter affermare di avere una conoscenza relativamente approfondita dell’agricoltura, è necessario capire anche la pedologia, la botanica, la coltivazione delle sementi, la chimica agricola, l’industria meccanica agricola e così via; bisogna capire inoltre i diversi settori dell’agricoltura, come i cereali, il cotone, l’olio, la canapa, la seta, il tè, lo zucchero, le verdure, il tabacco, la frutta, le erbe medicinali e tutto il resto; poi ci sono la pastorizia e la selvicoltura. Io sono d’accordo con il pedologo sovietico D. G. Vilenski, il quale nei suoi scritti sostiene l’unità di agricoltura, selvicoltura e pastorizia. Io credo che questa unità sia necessaria, altrimenti l’agricoltura non ne trarrebbe vantaggio. Su tutti questi problemi, che riguardano la produzione agricola, io invito i compagni, prima di mettersi al lavoro, a fare qualche attenta ricerca. È quello che mi propongo di fare anche io, ma fino ad oggi, la mia conoscenza su questi punti è stata infima. Quelli su cui mi sono concentrato maggiormente sono stati i problemi relativi al sistema, ai rapporti di produzione; sulle forze produttive, invece, so molto poco. La costruzione del socialismo è ancora largamente sconosciuta al nostro Partito nella sua interezza. A partire da oggi, per un certo periodo, dobbiamo fare incetta di esperienze, studiare con diligenza, approfondire gradualmente le nostre conoscenze sulla pratica nel corso della pratica stessa e chiarirci le idee circa le sue leggi. Dobbiamo senza dubbio scendere nelle campagne a fare del duro lavoro, andare a fare inchieste e ricerche molto approfondite. Dobbiamo andare a lavorare per un certo periodo di tempo nelle brigate di produzione, nelle squadre di produzione, nelle fabbriche e nei negozi. In passato eravamo piuttosto bravi a farlo, ma, dopo essere entrati nelle città, non l’abbiamo più fatto con serietà. Nel 1961 abbiamo ripreso a sostenere questa pratica e ora la situazione vede qualche cambiamento, ma non è ancora diventata comune fra i quadri dirigenti, soprattutto fra i quadri dirigenti di alto livello, in alcune località, dipartimenti e imprese. Certi segretari provinciali non sono mai andati a lavorare alla base in vita loro. Se i segretari provinciali non danno l’esempio, come si può sperare che i segretari distrettuali e di contea andranno a lavorare alla base? Questo fenomeno è nocivo e deve assolutamente cambiare.
Sono passati dodici anni dalla fondazione della Repubblica popolare cinese. Questi dodici anni si dividono fra i primi otto anni e i successivi quattro anni. I primi otto anni vanno dal 1950 alla fine del 1957. I quatto anni successivi vanno dal 1958 ad oggi. Questa conferenza ha cominciato a fare il bilancio dell’esperienza acquisita nel lavoro di questi anni, soprattutto dell’esperienza dei quattro anni successivi. Questo bilancio è contenuto nel rapporto del compagno Liu Shaoqi. Noi abbiamo formulato, o stiamo formulando, o formuleremo presto politiche concrete per ogni campo. Quelle già formulate, come i sedici punti sulle comuni agricole, i settanta punti sull’industria, i sessanta punti sull’istruzione superiore e i quattordici punti sulla ricerca scientifica, sono bozze che vengono attualmente praticate o sperimentate. In futuro andranno corrette, forse anche in larga parte. Fra i documenti che stanno venendo formulati ora, c’è quello sul commercio. Fra quelli che saranno formulati, c’è quello sull’istruzione media e inferiore. Bisognerebbe produrre un documento anche sul lavoro del nostro apparato di Partito e di governo e sul lavoro delle organizzazioni di massa. L’Esercito ha già il suo documento. In breve, sull’industria, sull’agricoltura, sul commercio, sull’istruzione, sull’Esercito, su governo e sul Partito, su tutti e sette questi campi, noi dobbiamo fare un buon bilancio delle esperienze e formulare un intero insieme di misure, politiche e metodi per portarli sui giusti binari.
La linea generale non è sufficiente: solo avendo anche un insieme di misure, politiche e metodi attinenti alla situazione, sotto la direzione della linea generale, specifici per l’industria, l’agricoltura, il commercio, l’istruzione, l’Esercito, il governo e il Partito, è possibile convincere le masse e i quadri. È inoltre possibile usare queste misure, politiche e metodi per istruirli, altrimenti ciò non sarebbe possibile. Su questo, noi abbiamo acquisito una profonda conoscenza durante la Resistenza antigiapponese. Allora, facendo così, elaborando cioè una serie di misure, politiche e metodi concreti per i quadri e le masse durante il periodo della rivoluzione democratica, riuscimmo a raggiungere una coscienza unificata, dalla quale nacque un’azione unificata, che portò la causa della rivoluzione democratica alla vittoria, come tutti sanno. Nei primi otto anni della rivoluzione socialista e della costruzione del socialismo, i nostri compiti rivoluzionari consistevano, nelle campagne, nel portare a compimento la riforma del sistema agricolo feudale e, a ruota, nella cooperazione agricola; nelle città, invece, consistevano nel condurre la trasformazione socialista dell’industria e del commercio capitalistici. Circa la costruzione dell’economia, il compito di allora era ripristinare l’economia e realizzare il I Piano quinquennale. Sia che si tratti della rivoluzione o della costruzione, ciascun periodo ha sempre una linea generale conforme alla situazione oggettiva e dotata di una forte capacità di persuasione, e un insieme di misure, politiche e metodi sotto la direzione di questa linea generale, per educare i quadri e le masse, unificare le loro coscienze e svolgere meglio ogni attività. Anche questo fatto è noto a tutti. Ciononostante, allora si verificò una situazione di questo genere: siccome non avevamo esperienza, sul fronte della costruzione economica non potevamo che copiare l’Unione Sovietica. Soprattutto per quanto riguardava l’industria pesante, copiammo l’Unione Sovietica quasi alla lettera e la nostra creatività fu ridotta al minimo. Ciò era assolutamente necessario allora, ma fu al contempo un punto debole, poiché ci mancarono la creatività e la capacità di contare sulle nostre forze. Questo, naturalmente, non sarebbe dovuto essere un programma a lungo termine. A partire dal 1958 abbiamo cominciato ad adottare misure che considerassero le nostre stesse forze come il fattore principale e l’aiuto esterno come fattore ausiliare. Alla II Sessione dell’VIII Congresso del Partito, nel 1958, adottammo la linea generale di “mettercela tutta con entusiasmo, mirare alto e conseguire risultati maggiori, più rapidi, migliori e più economici nella costruzione del socialismo”. In quello stesso anno, cominciammo a creare le comuni popolari e lanciammo la parola d’ordine del Grande Balzo in avanti. Per un periodo di tempo relativamente esteso della formulazione della linea generale per la costruzione del socialismo, noi non siamo stati capaci di arrivare in tempo, né avevamo la possibilità di formulare una serie di misure, politiche e metodi conformi alla situazione concreta, perché la nostra esperienza non era sufficiente. In queste condizioni, i quadri e le masse non hanno ricevuto alcun materiale didattico completo, non hanno ricevuto un’educazione politica sistematica e non hanno potuto nemmeno raggiungere autenticamente una coscienza ed un’azione unificate. Dovevamo far passare un certo periodo e sbattere qualche testa prima di poter raggiungere un’esperienza complessiva sia di successi che di errori. Adesso la situazione è migliorata, abbiamo tutte queste cose, o le stiamo creando. In questo modo, noi possiamo condurre la rivoluzione socialista e la costruzione del socialismo in modo molto migliore.
Se, sotto la guida della linea generale e delle misure, politiche e metodi concreti che abbiamo elaborato, adottando le metodologie che arrivano dalle masse, conducendo inchieste e ricerche meticolose e sistematiche e sottoponendo a un esame storico l’esperienza dei successi e delle sconfitte nel corso del nostro lavoro, solo se procederemo in questo modo, noi potremo identificare quelle leggi che regolano veramente le cose oggettive e che non sono elucubrazioni soggettive delle persone e potremo dunque formulare ogni genere di decisioni conformi alla realtà. Ciò è molto importante e invito ai compagni di prestarvi attenzione.
Di tutti questi aspetti – l’industria, l’agricoltura, il commercio, l’istruzione, l’Esercito, il governo e il Partito –, il Partito è quello che guida tutti gli altri. Il Partito dirige l’industria, l’agricoltura, il commercio, la cultura e l’istruzione, l’Esercito e il governo. Il nostro Partito, in generale, è ottimo. È composto principalmente da operai e contadini poveri e medio-bassi. La stragrande maggioranza dei nostri quadri sono buoni e lavorano molto duramente. Tuttavia, va anche riconosciuto che, all’interno del Partito, esistono alcuni problemi; non dobbiamo credere che nel nostro Partito tutto vada splendidamente. Oggi il Partito ha diciassette milioni di membri; fra loro, circa l’80% è stato ammesso dopo la fondazione della Repubblica popolare, negli anni Cinquanta. Gli iscritti prima della fondazione della Repubblica popolare costituiscono il 20%. All’interno di questo 20%, coloro che si sono iscritti prima del 1930, cioè negli anni Venti, secondo i calcoli di qualche anno fa, sono poco più di ottocento. Negli ultimi due anni ne è morto qualcuno, quindi temo che non si vada molto oltre i settecento. Sia fra i membri veterani che fra i nuovi, ma soprattutto fra i nuovi, vi sono alcuni individui con un carattere e uno stile di lavoro impuri. Sono individualisti, burocratici e soggettivisti, alcuni sono addirittura degenerati. Altri ancora calzano l’appellativo di comunista, ma non rappresentano affatto la classe operaia, bensì la borghesia. Il Partito non è per niente puro, al suo interno. Ciò richiede assolutamente la nostra attenzione, altrimenti ne passeremo di cotte e di crude.
Questo era il quarto punto di cui volevo parlarvi. In altre parole, per conoscere il mondo oggettivo, serve un processo. All’inizio non lo conosciamo o non lo conosciamo completamente; attraverso più e più pratiche e dopo aver ottenuto dei successi attraverso la pratica, conseguiamo la vittoria; poi, con rovesci e arretramenti, otteniamo il raffronto fra successo e sconfitta. Solo allora la nostra ignoranza può svilupparsi gradualmente in conoscenza completa o relativamente completa. A quel punto, abbiamo maggiore iniziativa, abbiamo più libertà e diveniamo persone un po’ più intelligenti. Libertà significa conoscenza della necessità e trasformazione del mondo oggettivo. È solo sulla base della conoscenza della necessità che raggiungiamo la libertà d’azione: è la legge dialettica della libertà e della necessità. Quella che definiamo necessità è una legge oggettivamente esistente. Prima di arrivare a conoscerla, le nostre azioni non potranno mai essere consce e porteranno sempre tracce di cecità. In questo momento, noi siamo stupidi. Non abbiamo forse fatto un sacco di stupidate negli ultimi anni?
V. Sul movimento comunista internazionale
Su questa questione, dirò semplicemente qualche parola.
Sia in Cina che in ogni altro Paese del mondo o, per farla breve, oltre il 90% della popolazione, alla fine, sosterrà il marxismo-leninismo. Nel mondo, oggi, sono ancora tantissime le persone che, ingannate dai partiti socialdemocratici, dal revisionismo, dall’imperialismo e dai reazionari di tutti i Paesi, non si sono risvegliate. Tuttavia, alla fine comunque si risveglieranno gradualmente e sosterranno il marxismo-leninismo. La verità del marxismo-leninismo è irresistibile. Le masse popolari vorranno sempre fare la rivoluzione. La rivoluzione mondiale finirà comunque per trionfare. Tutto ciò che si oppone alla rivoluzione è destinato alla sconfitta, proprio come, nel racconto di Lu Xun, il signor Zhao, il signor Qian e il falso diavolo straniero che non volevano permettere ad Ah Q di fare la rivoluzione.
L’Unione Sovietica è stata il primo Paese socialista e il Partito comunista sovietico è il partito che fu fondato da Lenin. Nonostante ciò, la direzione del partito e dello Stato sovietici è stata usurpata dai revisionisti. Io però raccomando ai compagni di non perdere la fiducia che le larghe masse del popolo sovietico e le larghe schiere dei membri e dei quadri del partito sovietico siano buone e che vogliano la rivoluzione, e che quindi il dominio dei revisionisti non durerà a lungo. In qualsiasi momento, oggi, in futuro, nel corso della nostra vita, quando vivranno i nostri nipoti, sarà necessario imparare dall’Unione Sovietica e studiarne l’esperienza. Senza imparare dall’Unione Sovietica, si sbaglierà. Qualcuno potrebbe chiedere: “Ma se l’Unione Sovietica è caduta sotto il controllo dei revisionisti, dobbiamo comunque imparare da essa?”. Noi dobbiamo imparare dai personaggi e dai fatti positivi dell’Unione Sovietica, dall’esperienza positiva del partito sovietico, dall’esperienza positiva degli operai, dei contadini, del popolo lavoratore e degli intellettuali del popolo sovietici. I personaggi e i fatti negativi dell’Unione Sovietica e i revisionisti sovietici vanno invece considerati materiale didattico negativo, dal quale imparare delle lezioni.
Noi dovremo sempre perseverare sui principi dell’unità internazionalista proletaria. Noi sosterremo sempre la salda unità dei Paesi socialisti e del movimento comunista internazionale, rigorosamente sulla base del marxismo-leninismo. I revisionisti internazionali ci diffamano di continuo, ma noi diciamo: che ci diffamino pure. Daremo la risposta opportuna quando diventerà necessario. Il nostro Partito è abituato alle ingiurie. A parte chi ci infamava in passato, oggi ci attaccano, dall’estero, gli imperialisti, i nazionalisti reazionari, i reazionari dei vari Paesi e i revisionisti; e, dall’interno, Chiang Kai-shek, i proprietari terrieri, i contadini ricchi, i controrivoluzionari, gli elementi negativi e i destri. Avendo subito così tante ingiurie, ormai le nostre orecchie sono esperte. Siamo forse isolati? A me non sembra proprio. Qui ci sono più di settemila persone; settemila persone sarebbero isolate? (Risa)
Il nostro Paese ha un popolo di seicento milioni e oltre di persone e il nostro popolo è unito; forse seicento milioni di persone sono isolate? Le masse dei popoli di tutti i Paesi del mondo sono dalla nostra parte o lo saranno in futuro: siamo forse isolati?
VI. L’intero Partito e tutto il popolo devono unirsi
Dobbiamo realizzare l’unità degli elementi d’avanguardia e degli attivisti dentro e fuori il Partito e l’unità degli elementi di centro, per smuovere gli elementi rimasti indietro. Così sarà possibile realizzare l’unità dell’intero Partito e di tutto il popolo. Solo sulla base di queste unità possiamo svolgere un buon lavoro, sormontare le difficoltà e portare a compimento l’edificazione della Cina. Unire l’intero Partito e tutto il popolo non significa affatto che siano scomparse tutte le diverse tendenze. C’è chi afferma che il Partito comunista sarebbe il “partito di tutto il popolo”; noi la pensiamo diversamente. Il nostro è il partito del proletariato, l’avanguardia del proletariato, una forza da combattimento armata del marxismo-leninismo. Noi siamo dalla parte delle larghe masse popolari, che costituiscono oltre il 95% della popolazione; mai saremo dalla parte dei proprietari terrieri, dei contadini ricchi, dei controrivoluzionari, degli elementi negativi e dei destri, i quali sono appena il 4-5% della popolazione. Quella di cui parliamo è l’unità con tutti i marxisti-leninisti, con tutti i popoli rivoluzionari, con il popolo intero, non l’unità con gli imperialisti e i reazionari dei vari Paesi, anticomunisti e nemici del popolo. Qualora se ne presentasse la possibilità, saremmo però disposti a stabilire relazioni diplomatiche con loro, allo scopo di realizzare la coesistenza pacifica sulla base dei cinque princìpi, ma si tratterebbe di un fatto categoricamente diverso rispetto alla nostra unità con i popoli di tutti i Paesi.
Per unire l’intero Partito e tutto il popolo, dobbiamo sbrigliare la democrazia e consentire a tutti di dire la propria. Ciò vale tanto all’interno quanto all’esterno del Partito. Compagni dei comitati provinciali, distrettuali e di contea! Al vostro ritorno, dovrete assolutamente permettere a tutti di esprimersi. Dovranno farlo sia i compagni qui presenti, sia quelli assenti: tutti i dirigenti del Partito dovranno sviluppare la democrazia interna al Partito e permettere a tutti di esprimersi. Quali limiti andranno posti? Innanzitutto, è necessario rispettare la disciplina di Partito: la minoranza segue la maggioranza, tutto il Partito segue il Comitato centrale. Un altro limite è che non è consentito organizzare società segrete. Noi non abbiamo paura degli oppositori aperti, ma temiamo gli oppositori in segreto, poiché costoro non parlano con onestà davanti a noi, anzi, davanti a noi non fanno che dire falsità e operare raggiri, senza rivelare il proprio vero scopo. A chiunque va permesso di dire la propria, purché non violi la disciplina di Partito e non organizzi società segrete; inoltre, se dice cose sbagliate, non va punito. Se dice cose sbagliate, si può criticare, ma bisogna argomentare per convincere gli altri. E se non c’è modo di convincerli? Che mantengano le proprie opinioni. Fintanto che seguono le decisioni prese e che si conformano a ciò che viene stabilito dalla maggioranza, chi è in minoranza può conservare le sue opinioni discordanti. È un vantaggio consentire alla minoranza di conservare le proprie opinioni, dentro come fuori il Partito. Se qualcuno ha un’opinione sbagliata, gli deve essere consentito di tenerla, per il momento: in futuro, la cambierà. Molte volte, l’opinione della minoranza è invece quella giusta. Nella storia abbondano i fatti di questo tipo. All’inizio, la verità non è nelle mani della maggioranza, bensì della minoranza. Marx ed Engels avevano la verità nelle loro mani, ma all’inizio erano in minoranza. Lenin, a sua volta, rimase a lungo in minoranza. Anche il nostro Partito ha esperienza di questo tipo: sotto Chen Duxiu e sotto la linea deviazionista di “sinistra”, la verità non era nelle mani della maggioranza che stava negli organismi dirigenti, bensì nelle mani della minoranza. Nella storia, le dottrine di specialisti delle scienze naturali come Copernico, Galileo e Darwin non furono riconosciute per molto tempo della maggioranza, anzi, furono considerate errate. Erano allora in minoranza. Quando fu fondato, nel 1921, il nostro Partito contava appena poche decine di membri, che erano a loro volta in minoranza, ma queste decine di delegati rappresentavano la verità e il destino della Cina.
Desidero infine dire qualche parola sul problema degli arresti e delle esecuzioni. Oggi, dopo poco più di dieci anni dalla vittoria della rivoluzione, dal momento che alcuni elementi delle classi reazionarie rovesciate non sono ancora stati trasformati e che complottano nel tentativo di mettere a punto una restaurazione, si rende necessario arrestarne e giustiziarne alcuni, altrimenti non sarà possibile sfogare la rabbia del popolo, né consolidare la dittatura popolare. Tuttavia, non bisogna arrestare alla leggera, tantomeno giustiziare alla leggera. Alcuni cattivi personaggi, elementi negativi infiltratisi nelle nostre fila ed elementi degenerati fanno i loro escrementi sulle teste del popolo, si comportano in modo malvagio e nocivo e infrangono gravemente la legge e la disciplina. Sono piccoli Chiang Kai-shek. Noi dobbiamo trovare il modo di punirli e arrestare o, in certi casi, giustiziare chi commette gli atti peggiori. Qualora non ne arrestassimo né giustiziassimo nessuno, l’indignazione del popolo resterebbe insoddisfatta. Ciò è quello che definiamo con la formula: “non si può non arrestare, non si può non giustiziare”. Tuttavia non bisogna assolutamente esagerare negli arresti e nelle esecuzioni. Ogni qualvolta che si presenti un’alternativa, noi dobbiamo decisamente scegliere di non arrestare o giustiziare. Un tale Pan Hannian, ex vicesindaco di Shanghai, si era segretamente arresto al Kuomintang ed era diventato un uomo della cricca del CC. Oggi è al fresco, ma non l’abbiamo giustiziato. Se giustiziassimo qualcuno come Pan Hannian e slegassimo il ricorso alle esecuzioni, allora dovremmo eliminare tutti quelli come lui. C’è anche un altro tale di nome Wang Shiwei, un agente segreto del Kuomintang, il quale a Yan’an aveva scritto un articolo dal titolo: Gigli selvatici
per attaccare la rivoluzione e lanciare illazioni sul Partito comunista. Fu poi arrestato e ucciso. Furono gli organismi di sicurezza a giustiziarlo nel corso delle nostre marce, non fu una decisione del CC. Noi abbiamo sempre criticato questo evento, convinti che non si sarebbe dovuto giustiziare. Era una spia, aveva scritto un articolo per diffamarci e si è rifiutato di trasformarsi fino alla morte, ma si sarebbe potuto benissimo collocare da qualche parte a lavorare. Giustiziarlo non è stata la scelta giusta. Bisogna ridurre gli arresti e le esecuzioni. Se arrestiamo e giustiziamo per inezie, la gente avrà paura e non oserà parlare. Se tirerà un’aria di questo tipo, non potremo avere molta democrazia.
Non bisogna nemmeno appiccicare appellativi a casaccio. Alcuni compagni sono abituati a usare gli appellativi per opprimere gli altri: appena aprono bocca è un diluvio di appellativi, che spaventano i destinatari al punto da tappargli la bocca. Naturalmente gli appellativi sono inevitabili; non ce ne sono forse molti, nel rapporto del compagno Liu Shaoqi? “Dispersionismo” cos’è, se non un appellativo? Tuttavia non bisogna affibbiarli indiscriminatamente, così che ogni Tizio, ogni Canio e chiunque si trasformi in un dispersionista. Sarebbe meglio se fossero gli altri a darsi degli appellativi essi stessi, e comunque andrebbero dati quelli consoni. Sarebbe l’ideale se non fossero affibbiati da terzi. Se qualcuno esibisce a lungo un appellativo, quest’ultimo verrà eliminato quando tutti gli altri decideranno che dovrà smettere di portarlo. Così facendo, si verrà a creare un clima democratico migliore. Noi sosteniamo che non bisogna aggrapparsi ai difetti degli altri, non bisogna accollare appellativi e non bisogna brandire i bastoni proprio perché vogliamo che la gente non abbia paura e osi esprimere la propria opinione.
Chi ha sbagliato e chi ha impedito ad altri di parlare va aiutato con sincerità. Non dobbiamo creare un clima per cui è pressoché vietato commettere errori e chi sbaglia è marchiato e non può redimersi. Se qualcuno sbaglia, noi dobbiamo accoglierlo, purché si dimostri sinceramente disposto a correggere l’errore e faccia veramente autocritica. Non dobbiamo essere troppo esigenti verso la prima e la seconda autocritica: non c’è problema se non vanno troppo a fondo. Lasciamoli riflettere, aiutiamoli con sincerità. Tutti abbiamo bisogno di aiuto. Dobbiamo aiutare quei compagni che sbagliano a prendere coscienza dei propri errori. Se fanno un’autocritica onesta e se si dimostrano disposti a correggere i propri errori, noi dobbiamo perdonarli e adottare politiche indulgenti nei loro confronti. Se i successi continuano ad essere predominanti nel loro lavoro e se sono ancora dotati di capacità, è possibile permettergli di continuare a lavorare al proprio posto.
Nel mio discorso ho criticato alcuni fenomeni e alcuni compagni, ma non ho fatto nomi e cognomi, non ho detto che Tizio ha fatto questo e Caio ha fatto quest’altro. Farete due più due voi stessi. (Risa)
I difetti e gli errori del nostro lavoro negli ultimi anni vanno attribuiti, in primo luogo, al CC – e, quindi, principalmente a me –; in secondo luogo, ai comitati provinciali, municipali e delle regioni autonome; in terzo luogo, ai comitati distrettuali; in quarto luogo, ai comitati di contea; in quinto luogo, ai comitati del Partito delle imprese e delle comuni. In poche parole, a ciascuno il suo.
Compagni, al vostro ritorno, dovrete irrobustire il centralismo democratico. Compagni dei comitati di contea, dovrete spingere i comitati del Partito delle comuni a irrobustire il centralismo democratico. Prima di tutto si tratta di instaurare e rafforzare la direzione centralizzata. Non dobbiamo continuare ad implementare il metodo della direzione “divisa per gruppi responsabili del loro settore”. Secondo questo metodo, i segretari e i membri dei comitati del Partito fanno tutto per conto proprio e quindi non si può avere una vera discussione centralizzata e una vera direzione centralizzata. Bisogna sprigionare la democrazia, spingere la gente a criticare e ascoltarne le critiche, ma per farlo, dobbiamo essere in grado di sostenere le critiche e quindi adottare un atteggiamento attivo ed essere i primi a fare l’autocritica. Se c’è qualcosa che non va, dobbiamo fare autocritica un’ora, o al massimo due ore: per scoperchiare tutti i problemi, non si può sperare di impiegare meno tempo. Se qualcuno sostiene che non abbiamo fatto abbastanza, invitiamolo a spiegarsi. Se ciò che dice è vero, dobbiamo accettare la sua critica. Nel permettere a tutti di dire la propria, è meglio, da parte nostra, essere attivi o passivi? Naturalmente è meglio essere attivi. Che fare se ci costringono sulla difensiva? Se in passato non siamo stati democratici e ora affondiamo nella passività, non c’è niente di terrificante. Che tutti facciano le loro critiche. Io di giorno non esco e di sera non vado a teatro: vi invito a venirmi a criticare sia di giorno che di sera! (Risa)
Questa volta mi siederò, rifletterò a mente fredda e non chiuderò occhio per due o tre notti. Quando avrò riflettuto a sufficienza e mi sarò riordinato le idee, presenterò un’onesta autocritica. Ciò non sarebbe forse eccellente? In poche parole, diamo a tutti la possibilità di parlare: il cielo non crollerà e nessuno verrà rovesciato. Ma che succederà se non diamo a tutti questa possibilità? In questo caso, verrà inevitabilmente il giorno in cui saremo rovesciati.
Questo è quanto volevo dire oggi. Il nocciolo del discorso riguardava l’applicazione del centralismo democratico e lo sviluppo della democrazia all’interno e all’esterno del Partito. Propongo ai compagni di riflettere con estrema attenzione su queste questioni. Alcuni compagni non hanno ancora una mentalità da centralismo democratico. È questo il momento di cominciare a costruirsi questa mentalità e a prendere coscienza della questione. Se promuoveremo al massimo la democrazia potremo smuovere le energie delle vaste masse all’interno e all’esterno del Partito e potremo realizzare l’unità delle larghe masse popolari, oltre il 95% della popolazione. Se realizzeremo questi obiettivi, la nostra opera sarà sempre migliore, le difficoltà che incontriamo diventeranno superabili più rapidamente e la nostra causa si svilupperà in modo assai più favorevole. (Applausi entusiastici)
Pubblicato sul “Quotidiano del popolo” del 1° luglio 1978 e inserito nell’Antologia delle opere di Mao Zedong
, Casa editrice del popolo, 1986.
9 ottobre 2019