Firmata la convenzione con Confindustria e Inps
Un ulteriore passo sulla “rappresentanza sindacale” per assicurare il monopolio sindacale a Cgil, Cisl, Uil
La misurazione della rappresentanza delle organizzazioni sindacali serve per estromettere dalla contrattazione sindacale i sindacati minori a sinistra delle tre confederazioni
Il 19 settembre a Roma è stata firmata la convenzione tra Inps, Ispettorato Nazionale del Lavoro (Inl), Confindustria e Cgil Cisl e Uil, sulla raccolta dati per definire la rappresentatività delle organizzazioni sindacali. E' un passo avanti verso l'attuazione concreta del patto stilato nel gennaio 2014, noto come Testo Unico sulla Rappresentanza (TUR) firmato dai sindacati confederali e dalle associazioni padronali che, tra le altre cose, prevede la quantificazione del “peso” delle varie organizzazioni e una lista di chi è abilitato a sedere ai tavoli della contrattazione nazionale.
La convenzione ha durata triennale e affida all'Inps il compito di rilevare i dati degli iscritti ai sindacati per fornire il “dato associativo” e i dati relativi alle rappresentanze in azienda (le RSU), il collaborazione con l'Inl , ovvero il “dato elettorale”. Entro il 15 marzo dell’anno successivo a quello della rilevazione, per ogni contratto nazionale sarà calcolata la media del dato associativo con quello elettorale. Nei tre mesi seguenti, con vari passaggi, saranno stabiliti il grado di rappresentanza di ciascun sindacato per ogni singolo contratto. I costi dell'operazione saranno sostenute da Confindustria e sindacati.
Qui dobbiamo subito segnalare una metodologia piuttosto dubbia perché il “dato associativo” è calcolato solo sulle iscrizioni che prevedono il prelievo della quota attraverso delega aziendale. Nel settore privato molte aziende ostacolano i sindacati non confederali e molti lavoratori, per evitare rappresaglie, preferiscono versare i contributi direttamente. Un altro nodo è quello delle categorie, chi stabilisce quali sono? Non è detto che debbano per forza essere quelle delineate da Cgil-Cisl-Uil, ogni sindacato ha i suoi parametri.
La firma di questo protocollo è stata presentata come una misura di contrasto ai contratti “pirata”, gli accordi firmati da sindacati non confederali che rappresentano i tue terzi dei quasi 900 totali che eserciterebbero “dumping contrattuale”, ovvero scavalcherebbero al ribasso gli abituali standard salariali e normativi creando lavoratori di serie B e concorrenza sleale con le altre aziende. E' stato dipinto anche come un accordo che estende i contratti firmati dalle organizzazioni più rappresentative a tutti i lavoratori, ovvero “erga omnes”.
Sicuramente esistono molti contratti firmati da sindacati di comodo, spesso sostenuti e guidati dai padroni, ma non è detto che se non è stato firmato da Cgil-Cisl-Uil sia per forza “pirata”. Esistono altrettanti accordi “legali” sottoscritti dai sindacati confederali che prevedono paghe da fame e condizioni di lavoro semi-schiavistiche, come il contratti Multiservizi e della Logistica.
L'obiettivi del TUR sono ben altri e sono essenzialmente due. Da un lato l'istituzionalizzazione dei sindacati confederali e la conseguente esclusione di quelli minori che si pongono alla loro sinistra. L'altro l'obiettivo è quello di prevenire e “raffreddare” il conflitto sociale nei posti di lavoro attraverso regole che impediscano ai sindacali più conflittuali e non allineati alla concertazione e ai lavoratori più combattivi di contestare gli accordi vigenti e perfino di organizzare manifestazioni di dissenso.
Non a caso i marxisti-leninisti e tutti quelli che si oppongono al TUR lo hanno definito un accordo neocorporativo. Perché la divisione preventiva e rigida delle categorie, la selezione di sindacali istituzionali (meglio se un Sindacato Unico) a cui è concesso trattare, non solo in base alla loro rappresentatività ma sopratutto alla loro affidabilità nei confronti dello Stato e del capitalismo, il bavaglio alle lotte dei lavoratori in nome di un inesistente interesse comune della nazione sono i tratti caratteristici del corporativismo di stampo fascista che ritroviamo anche nel TUR.
Al fine di raggiungere questo obiettivo, quell'accordo introduce una serie di regole che limitano le libertà sindacali e perfino il diritto di sciopero, tanto da sollevare i dubbi della Corte Costituzionale. Persino un sostenitore di questo patto neocorporativo, il giuslavorista e senatore del PD Pietro Ichino, riconosce che il TUR contrasta con una parte dell'articolo 39 della Costituzione “poiché il principio di libertà sindacale impone di ammettere che altri sindacati possano stipulare contratti diversi, riferiti a categorie contenute in perimetri diversi”.
E questo viene negato a partire dall'adesione al TUR praticamente obbligatoria, come a dire: ha diritto alla rappresentanza sindacale solo chi accetta determinate “regole del gioco”. Chi non le accetta non può usufruire di permessi sindacali, assemblee retribuite, e della stessa possibilità di pagare la quota sindacale attraverso la delega aziendale.
Ma anche dopo averle accettate saranno ammesse solo quelle organizzazioni che raggiungono almeno il 5% dei consensi. In ogni caso tutti i contratti collettivi e aziendali firmati dal 50%+1 dei sindacati ammessi alla trattativa sono “esigibili”, ovvero obbligatori e tutti lo devono accettare incondizionatamente. In pratica il modello Marchionne applicato a Pomigliano con il consenso solo di Fim e Uilm, e la Fiom espulsa dalla fabbrica.
Le stesse regole valgono nella contrattazione di terzo livello. Praticamente chi non ha sottoscritto il TUR e i precedenti contratti aziendali non può nemmeno partecipare alle elezioni delle RSU. Viene stabilito inoltre che gli accordi sottoscritti tra azienda e maggioranza delle RSU avranno efficacia nei confronti di tutti i lavoratori e che sono vincolanti anche per tutte le organizzazioni sindacali che, pur non avendo sottoscritto l’accordo aziendale, hanno aderito al testo Unico per poter partecipare alle elezioni.
Per fare rispettare questa imposizione vengono introdotte forti sanzioni pecuniarie e di sospensione dei diritti sindacali per chi non si adegua e ricorre a lotte e scioperi; sanzioni stabilite da un “collegio arbitrale paritetico” composto da un rappresentante per ogni sindacato firmatario e da altrettanti rappresentanti della Confindustria, più un consulente esterno con la funzione di presidente: vale a dire da parte di un comitato in cui i padroni e i sindacalisti collaborazionisti rappresentano la stragrande maggioranza.
Altro che lotta ai contratti pirata! Con il TUR si vuole mettere in pratica un modello di relazioni industriali di stampo mussoliniano, dalla chiara impronta corporativa che prevede il monopolio sindacale di Cgil-Cisl-Uil con l'esclusione o l'emarginazione delle altre organizzazioni e RSU non più espressione dei lavoratori ma controllate dai sindacati istituzionali.
Un tentativo dei sindacati confederali di recuperare la perduta autorevolezza e rappresentanza tra i lavoratori attraverso un patto con il Governo e gli industriali, magari definito per legge. Un atto autoritario che limita la democrazia nelle fabbriche e lo sviluppo del conflitto di classe. Non a caso il TUR è stato fortemente voluto e sponsorizzato dalla Confindustria e si sono spesi per realizzarlo gli esecutivi guidati da Berlusconi, Letta, Renzi, Gentiloni e ora Conte.
16 ottobre 2019