Berlusconi indagato come mandante esterno delle stragi mafiose nel 1993 e 1994
Contestati al leader di FI 26 reati per sei episodi, tra cui la strage dei Georgofili a Firenze e l'attentato a Costanzo
Renzi, Salvini e Meloni lo difendono
Berlusconi e il suo sodale e cofondatore di Forza Italia, Marcello Dell'Utri (già condannato in via definitiva a 7 anni per mafia e a 12 anni nel processo di primo grado sulla trattativa Stato-mafia) sono indagati dalla procura di Firenze come mandanti esterni delle stragi mafiose che hanno insanguinato il Paese tra il 1993 e il 1994.
Il procuratore aggiunto Luca Turco e il procuratore Giuseppe Creazzo accusano il boss di FI di ben 23 reati per gli attentati dinamitardi compiuti a Firenze, Milano e Roma e quelli falliti contro il giornalista Maurizio Costanzo, l'ex boss pentito Totuccio Contorno e allo Stadio Olimpico il 23 gennaio 1994.
L’accusa è pluriaggravata dalla finalità di aiutare la mafia e di seminare il terrore in concorso con i capi di “Cosa nostra” già condannati, come Totò Riina (deceduto nel carcere di Parma il 17 novembre 2017) e Leoluca Bagarella.
La notizia, ignorata o liquidata in un trafiletto di poche righe da gran parte della stampa e dei media del regime neofascista, è stata rilanciata con grande risalto a partire dal 27 settembre da Il Fatto Quotidiano.
L'inchiesta, già chiusa in passato per ben due volte, è stata riaperta dalla procura di Firenze nell'ottobre 2017 sulla base delle intercettazioni audio-visive effettuate dalla procura di Palermo nel corso delle indagini sulla trattativa Stato-mafia.
Le trascrizioni, poi trasmesse per competenza a Firenze, riguardano il boss Giuseppe Graviano che pianificò tutte le stragi mafiose da via D’ Amelio (19 luglio 1992) allo stadio Olimpico di Roma (23 gennaio 1994).
Agli atti risulta che Graviano, il 10 aprile del 2016, durante l'ora d'aria, racconta delle stragi al suo compare di detenzione, Umberto Adinolfi, nel carcere di massima sicurezza di Ascoli. In particolare rivela che: “Berlusca mi ha chiesto questa cortesia. Per questo è stata l’urgenza... Lui voleva scendere (in politica ndr), però in quel periodo c’erano i vecchi (democristiani ndr) e lui mi ha detto: ‘Ci vorrebbe una bella cosa’... Nel ’93 ci sono state altre stragi, ma non era la mafia, loro dicono che era la mafia”.
Una conferma del racconto già fatto dell'ex fedelissimo e poi pentito Gaspare Spatuzza sul “colpetto”, ossia il “colpo di grazia” che Graviano gli commissionò ai primi del ’94 con la strage all’Olimpico per convincere definitivamente Berlusconi a entrare in politica. Anche se poi non ce ne fu bisogno perché il 26 gennaio Berlusconi annunciò la sua discesa in campo e all’indomani i fratelli Graviano furono arrestati a Milano e la strage, fallita al primo colpo, non fu più ritentata.
Ma quando Berlusconi andò al governo – lamenta ancora Graviano – non mantenne tutte le promesse: “Quando lui si è ritrovato un partito così nel ’94 si è ubriacato e ha detto: ‘Non posso dividere quello che ho con chi mi ha aiutato’. Pigliò le distanze e ha fatto il traditore... 25 anni mi sono seduto con te, giusto? Ti ho portato benessere, 24 anni fa mi è successa una disgrazia, mi arrestano, tu cominci a pugnalarmi, per che cosa? Per i soldi, perché tu ti rimangono i soldi. Dice: non lo faccio uscire più, perché sa che io non parlo... Alle buttane glieli dà i soldi ogni mese. Io ti ho aspettato fino adesso perché ho 54 anni, gli anni passano, io sto invecchiando e tu mi stai facendo morire in galera... Al signor crasto (cornuto, ndr) gli faccio fare la mala vecchiaia”.
Per questo motivo Graviano, rinchiuso dal gennaio 1994 all’isolamento, confessa ad Adinolfi che ormai considera Berlusconi un traditore e intende inviargli un messaggio, tramite un intermediario non identificato, fuori dal carcere per mettergli pressione.
Graviano fra l'altro ricorda al suo interlocutore di quando nel dicembre 2009 al processo Dell’Utri fu chiamato a confermare le accuse del pentito Francesco Di Carlo e di quanto Dell'Utri, presente in aula, davanti ai giornalisti di tutto il mondo, era turbato e molto preoccupato di finire subito in manette. Ma Graviano in quella occasione si avvalse della facoltà di non rispondere.
Tutto ciò e molto altro ancora è ora nero su bianco nel fascicolo numero 13.041 del 2017 della procura di Firenze. La Dia in questi due anni ha fatto molti accertamenti. A breve Turco e Creazzo dovranno presentare o un’ulteriore richiesta di proroga o una nuova richiesta di archiviazione come è già successo per altre due volte nel recente passato.
Solo che questa volta la valanga di accuse contro l' “Indagato Silvio Berlusconi” sono a dir poco inquietanti. Non ci sono di mezzo tangenti e ruberie, prostitute e mercimoni, corruzione di parlamentari e evasione fiscale; ma bombe, attentati, stragi e tanto sangue di persone innocenti su cui il neoduce ha costruito la sua fortuna politica ed economica; si è impossessato del potere e ha condizionato per un ventennio la vita economica e sociale dell'intero Paese.
L’elenco completo dei reati che ora gli vengono contestati è stato depositato al processo di secondo grado per la trattativa Stato- mafia da cui si evince che sono ben 26 i reati di cui deve rispondere e inerenti ad almeno sei attentati mafiosi.
Il primo riguarda l’attentato in via Fauro a Roma nella sera del 14 maggio 1993 quando una Fiat Uno riempita di tritolo, T4 e pentrite, salta in aria poco dopo il passaggio dell’auto che portava a casa Maurizio Costanzo e Maria De Filippi.
Poi c’è la strage di via dei Georgofili a Firenze nella notte tra il 27 e il 28 maggio 1993 quando il Fiat Fiorino imbottito di esplosivo fece crollare la Torre dei Pulci, alle spalle degli Uffizi, causando la morte dell'intera famiglia Nencioni, comprese le figlie Nadia di 9 anni e Caterina di 50 giorni, e lo studente Dario Capolicchio.
Appena due mesi dopo, il 27 luglio 1993, ci furono gli attentati simultanei a Roma ai danni delle basiliche di San Giorgio al Velabro e San Giovanni.
A Milano, quasi contemporaneamente, quella notte saltava in aria un’automobile imbottita di esplosivo davanti al Padiglione di Arte Contemporanea in via Palestro. Morivano quattro vigili del fuoco e un immigrato marocchino che si trovava lì per caso.
Dopo questa ultima strage, ci sono stati altri due attentati falliti, entrambi contestati ora anche a Berlusconi.
Il 23 gennaio 1994 un’autobomba imbottita di esplosivo doveva far saltare in aria, durante la partita Roma-Udinese, un centinaio di carabinieri che facevano il servizio d’ordine attorno allo stadio. Fortunatamente il telecomando non funzionò.
L’ultimo attentato è quello fallito contro lex boss Totuccio Contorno. Il collaboratore di giustizia fu individuato a Formello vicino a Roma nonostante fosse inserito nel programma di protezione. Il pentito catanese Francesco Squillace ha dichiarato recentemente al processo Trattativa Stato-mafia: “I Graviano dissero a mio padre che fu Dell’Utri, attraverso i servizi segreti deviati, a fargli sapere dove si trovava”.
Ma non basta. Perché tutto ciò è solo una parte dell'escalation criminale che ha portato la Cassazione a condannare Dell’Utri per mafia perché “dal 1974 al ’92” fu il “mediatore del patto tra Berlusconi e Cosa nostra”: il “patto di protezione” siglato 45 anni fa a Milano fra Berlusconi, Dell’Utri, i boss Bontate, Teresi, Di Carlo, Cinà e Mangano (che poco dopo si installò per due anni nella villa di Arcore).
E poi c'è la Corte d’assise di Palermo che nelle varie sentenze di condanna a carico di molti boss politici e mafiosi protagonisti della trattativa Stato-mafia, ha scritto che Berlusconi finanziò Cosa Nostra dal ’74 a fine ’94 (quand’era già premier e Cosa Nostra aveva già sterminato Falcone, Borsellino, le scorte e altri 10 innocenti a Firenze, Milano e Roma); e i boss, tramite Dell’Utri e Mangano, ricattarono il suo primo governo per ottenere leggi a favore dei mafiosi.
Accuse pesantissime e a dir poco inquietanti già denunciate pubblicamente durante l’audizione del Pm Nino Di Matteo, nella seduta del 13 settembre 2017, davanti alla Commissione parlamentare antimafia, all’epoca presieduta da Rosy Bindi, ma che la grande stampa di regime, a parte “Il Fatto”, cerca sistematicamente di insabbiare. Mentre gli accoliti del neoduce a cominciare dal boss di Italia Viva, Matteo Renzi, dall'aspirante duce d'Italia, Matteo Salvini e dalla fascista Giorgia Meloni, negano tale evidenza e attaccano violentemente i magistrati.
Appena si è diffusa la notizia, il primo a scendere in campo al fianco di Berlusconi è stato Renzi il quale ha commentato: “... Vedere che qualche magistrato della procura della mia città da anni indaghi sull’ipotesi che Berlusconi sia responsabile persino delle stragi mafiose o dell’attentato a Maurizio Costanzo mi lascia attonito... Berlusconi va criticato e contrastato sul piano della politica. Ma sostenere 25 anni dopo, senza uno straccio di prova, che egli sia il mandante dell’attentato mafioso contro Costanzo significa fare un pessimo servizio alla credibilità di tutte le Istituzioni”.
I destinatari dell'attacco, guarda caso, sono le stesse toghe fiorentine che hanno prima arrestato e poi condannato nei giorni scorsi i suoi genitori a 1 anno e nove mesi di carcere per false fatturazioni e che ora indagano anche sugli strani finanziatori della Leopolda a cominciare da Alberto Bianchi chiamato a rispondere di traffico di influenze illecite.
Luca Turco tra l'altro è anche l’aggiunto che ha seguito in prima persona l’inchiesta sul fratello del cognato di Renzi, Alessandro Conticini, per la distrazione dei fondi Unicef a favore di attività private. Indagini che ad un certo punto hanno coinvolto anche il cognato di Renzi, Andrea Conticini.
Mentre per Salvini è ora di dire: “Basta a giudici che usano risorse pubbliche per indagini senza logica. Siamo seri: indaghiamo su stupratori, ‘ndranghetisti e camorristi ” non sui rapporti tra la mafia e i nostri alleati si potrebbe aggiungere.
Giorgia Meloni invece rispolvera il grande classico dell' “Accanimento giudiziario”.
E pensare che nella suddetta audizione parlamentare di due anni fa Di Matteo, riassumendo gli iter processuali e le decine di condanne irrorate durante i processi inerenti le stragi di Capaci, Via D'Amelio, la trattativa Stato-Mafia e le bombe del '93-'94, aveva già dimostrato con sentenze, prove e testimonianze inconfutabili la simbiosi criminale fra Berlusconi, FI e Cosa nostra. Tant'è che “Berlusconi e Dell'Utri furono iscritti e poi prosciolti per due volte nel registro degli indagati della procura di Palermo per le stragi del 1993, e per due volte dalla procura di Caltanissetta per le stragi del 1993. In entrambi i casi l'accusa era proprio di concorso in strage.
Ora ci auguriamo che si confermi questa verità processuale, noi che abbiamo sempre sostenuto questa verità politica sin dal 1993 quando l'Ufficio politico del PMLI denunciava il 27 maggio: “Si tratta di stragi golpiste che hanno per obiettivo la realizzazione integrale del famigerato 'piano di rinascita democratica' di Gelli e della P2, cioè della vecchia e nuova destra fascista economica, finanziaria e statale che ha instaurato la seconda repubblica e ora preme per la legge elettorale maggioritaria e uninominale e per il presidenzialismo.
È impossibile perciò che i mandanti di queste efferate stragi non siano conosciuti dai supremi vertici dello Stato e del governo. Pertanto chiediamo le immediate dimissioni del governo Ciampi, tra l'altro responsabile diretto dell'“ordine pubblico” e dei servizi segreti, e lo scioglimento degli stessi servizi segreti coinvolti fino al collo nelle stragi”.
16 ottobre 2019