Lo denuncia il Documento del Comitato scientifico dell'Onu sul rapporto tra clima e uso del suolo
Il cambiamento climatico aumenterà povertà e migrazioni
Lo scorso agosto l’IPCC, l’Intergovernmental Panel on Climate Change, comitato scientifico dell’ONU, ha diffuso a Ginevra un rapporto dal titolo "Cambiamento climatico e territorio", che di fatto aggiorna lo stesso documento redatto un anno fa, concentrandosi in particolare sulle conseguenze che il riscaldamento globale avrà su agricoltura e foreste, stilando previsioni dettagliate territorio per territorio di tutto il globo.
Il grido di allarme della comunità scientifica per l’ennesima volta arriva forte e chiaro, ma sempre inascoltato anche se le proiezioni sono tragiche; all’Africa, all’Asia ed in generale alle zone tropicali e subtropicali quali aree geografiche più a rischio, si aggiunge anche il bacino mediterraneo, seppur già catalogato come “hot spot climatico”, ovvero come luogo particolarmente sensibile ai cambiamenti.
La terra verso la catastrofe ambientale e umana
L’IPCC, con i suoi 107 autori di 52 Paesi diversi, lancia dunque l’ennesimo appello ai governi ed alla comunità internazionale per agire in fretta ed in maniera decisa tagliando le emissioni di gas serra per non peggiorare ulteriormente la situazione, ed invitando ad adattare le pratiche economiche e sociali a quella parte di stravolgimenti già accaduti o che non sono ormai più evitabili.
Il rapporto parla di “difficoltà di assicurare cibo e benessere” in particolare dove questo diritto che dovrebbe essere universale è già un privilegio; una situazione gravissima che porrà le condizioni per l’avvio di grandi migrazioni forzate ed alti rischi di conflitti dovuti alle conseguenze prodotte sull'agricoltura e sulla qualità della vita dalla desertificazione delle terre fertili e da sempre più ricorrenti fasi di siccità associate a fenomeni meteorologici estremi, quali le ondate di calore che si intensificheranno al pari di grandi alluvioni ed inondazioni.
In particolare in Nord America, Sud America, Mediterraneo, Africa meridionale e Asia centrale si vedranno aumentare numericamente e per estensione anche gli incendi.
Il rapporto smaschera ancora una volta le proiezioni dell’accordo di Parigi del 2015, celebrato in pompa magna dai potenti del globo che continuano a considerarlo “l’anno zero della lotta contro il riscaldamento globale”, sostenendo che anche con un aumento pari a 1,5 gradi rispetto ai livelli pre-industriali, rimarranno “alti” i rischi da scarsità d'acqua, incendi, degrado del permafrost e instabilità nella fornitura di cibo, ma se il cambiamento climatico raggiungerà o supererà i 2 gradi (l'obiettivo minimo fissato dall'Accordo di Parigi), i rischi saranno addirittura "molto alti".
In sostanza anche se quell’accordo fosse applicato e realizzato – e adesso siamo lontani anni luce da questo obiettivo – non sarebbe sufficiente. Come spiegare allora che quando il testo fu diffuso fra l’entusiasmo generale, solo “Il Bolscevico” ne denunciò l’inconsistenza e tutti i limiti che lo avrebbero fatto accartocciare su se stesso?
Inoltre il rapporto dell’IPCC denuncia come l’aumento dei livelli di CO2 in atmosfera abbasseranno le qualità nutritive dei raccolti; raccolti che nelle regioni più aride saranno destinati ad essere ridotti anche nella produttività, così come calerà quella dell’allevamento del bestiame.
L’Italia dovrebbe preoccuparsi sempre di più essendo al centro di quel Mediterraneo chiamato in causa in maniera evidente dal rapporto per la possibile desertificazione di terre ed anche per il probabile innalzamento dei mari. Eppure il “decreto ambiente” è considerato inadeguato e arretrato anche per il perseguimento degli obiettivi anch’essi insufficienti posti dalla stessa COP 21 di Parigi. Peraltro non si hanno più notizie del disegno di legge sul “Contenimento del consumo del suolo e riuso del suolo edificato”, che nella passata legislatura, dopo essere stato approvato nel 2016 dalla Camera, si è arenato al Senato, confermando che sia il PD sia i 5 Stelle hanno finito per abbandonare le loro storiche istanze sulla salvaguardia dell’ambiente.
Le proposte di azione dell’IPCC non toccano il sistema di sviluppo
Gli scienziati dell’ONU propongono anche le possibili soluzioni, alcune di impatto immediato mentre altre che richiederebbero decenni per ottenere risultati, a partire dalla produzione sostenibile di cibo, la gestione sostenibile delle foreste e del carbonio organico nel suolo, la conservazione degli ecosistemi, il ripristino del territorio, la riduzione della deforestazione e del degrado e la riduzione della perdita e dello spreco di cibo.
Dunque, in estrema sintesi, il rapporto conferma che saranno ancora una volta le popolazioni più povere ad essere colpite progressivamente dallo sviluppo ineguale e criminale del sistema imperialista, alle quali se ne aggiungeranno altre di altrettante aree geografiche.
Ed ecco qual è per noi la madre di tutte le questioni, la contraddizione principale che fa rimanere la lotta ai cambiamenti climatici pressoché inapplicata da governi che continuano a stilare nonostante queste catastrofiche previsioni, piani energetici insufficienti che tollerano dinamiche produttive ed estrattive incentrate sulle fonti fossili che vanno nella direzione opposta a quella che dovrebbe essere presa.
La questione principale e dirimente fra il dire e il fare, fra avere cura del pianeta e delle popolazioni che lo abitano e usare le sue risorse per ricercare il massimo profitto capitalistico, è puramente politica e solo in un secondo momento tecnica; l’imputato principale, causa di questa situazione è il modello di sviluppo capitalista al servizio di pochi ed è un inferno per il resto della popolazione, mentre la soluzione a questo sfacelo è fondamentalmente il sistema socialista che può davvero salvare la Terra da una catastrofe che pare ormai già segnata, la cui variabile rimane esclusivamente quella temporale.
È ovvio, per la sua natura tutta interna al sistema vigente, che l’IPCC non tocchi questo tasto, chiedendo semplicemente al capitalismo e all’imperialismo di essere “un po’ più buoni e lungimiranti”, suggerendo misure che vanno nella direzione opposta a quella che essi perseguono per natura, e cioè fare profitti immediati su tutto ciò che viene considerato “merce”, inclusa la natura e la salute pubblica.
L’utopia quindi non è il socialismo, che può essere realizzato come la storia dimostra, bensì pensare all’esistenza di un capitalismo “illuminato” che vada contro i suoi stessi interessi per il “bene comune”.
In ultima analisi, per salvare il Pianeta va abbattuto il capitalismo.
Per salvare il Pianeta occorre un mondo socialista.
23 ottobre 2019