Napoli, oltre mille operai sul lastrico
Whirlpool non deve chiudere. Il governo deve impedirlo
Gli operai occupano l'autostrada, sciopero generale a Napoli. Mobilitazione delle lavoratrici e dei lavoratori di tutto il gruppo

I padroni della Whirlpool non vogliono sentire ragioni, il primo di novembre chiuderanno lo stabilimento di Napoli. E tuttavia si scontrano con la ferma e combattiva mobilitazione dei lavoratori partenopei, che non hanno alcuna intenzione di permettere alla multinazionale americana di lasciare la Campania con l'ennesima delocalizzazione dopo aver intascato decine di milioni di euro di finanziamenti pubblici.
Sta arrivando alla stretta finale una vicenda che è solo l'epilogo di una complessa e drammatica deindustrializzazione che ha azzerato quasi del tutto quel polo industriale, insediato tra Napoli e la provincia di Caserta, che produceva elettrodomestici e che nella sua massima espansione, gli anni '80 del secolo scorso, con l'indotto arrivava a occupare circa 8mila persone.
Whirlpool si era presentata come “salvatrice” in grado di assorbire i marchi storici italiani che, con la concorrenza di nuove nazioni emergenti, si trovavano in difficoltà. La società americana è entrata prepotentemente nel nostro Paese con i finanziamenti dell'Unione Europea e dei governi italiani insediandosi in numerosi stabilimenti, tra cui quelli della Campania che essendo collocati in Zona Economica speciale (ZES) concedono alle aziende condizioni particolarmente vantaggiose.
L'ultima ditta inglobata è stata la Indesit, acquisita a un prezzo irrisorio, con una mossa che l'allora presidente del Consiglio Matteo Renzi, grande sponsor dell'operazione, definì “un'operazione fantastica”. Da censurare anche l'atteggiamento di un altro boss politico, il pentastellato Luigi Di Maio che in veste di Ministro per lo Sviluppo Economico si vantava di aver fatto sottoscrivere a Whirlpool un accordo che doveva portare in Campania produzione e nuove occupazione per poi tacere, per motivi elettorali (incombevano le elezioni europee) quando i vertici di Whirlpool lo avevano informato di voler cedere il ramo d'azienda.
La Whirlpool ha quindi disatteso tutti gli impegni, cercando di disimpegnarsi tirando fuori una fantomatica “riconversione” dello stabilimento di Napoli attraverso la cessione a una ditta costruttrice di container refrigerati con sede in Svizzera. Una società sconosciuta, una start up con un bassissimo capitale sociale. Un'operazione che con ha convinto nessuno: né gli operai né i sindacati né le istituzioni governative e locali.
I lavoratori sono mobilitati da mesi per evitare lo smantellamento della Whirlpool e hanno manifestato sia a Napoli che a Roma. Dopo essere rientrati al lavoro (chi non è in cig) in segno di distensione, di fronte all'intransigenza padronale i lavoratori hanno alzato i toni dello scontro. Dopo dieci giorni di sciopero, all'ennesimo rifiuto della multinazionale americana, sono partiti dallo stabilimento di Via Argine, in circa 300, e si sono riversati per le strade della città dirigendosi verso l'autostrada al canto di “Bella ciao”. Vani i tentativi della polizia di sbarrare la strada con le camionette. Gli operai hanno bloccato la circolazione sulla Napoli-Salerno per un paio d’ore, dopodiché si sono riuniti in assemblea. Simbolicamente occupata anche la centralissima galleria Umberto dove i lavoratori hanno urlato slogan ed esposto le loro ragioni.
“Il nostro messaggio è chiaro - ha dichiarato Rosario Rappa, segretario generale Fiom Napoli - andremo avanti fino alla fine mettendo in campo tutte le iniziative possibili, che non si fermeranno soltanto a Napoli, per difendere lo stabilimento di via Argine. Stabilimento che è proprietà della Whirlpool ma che appartiene anche ai lavoratori e a chi lo ha finanziato, e dal quale non permetteremo che esca neanche uno spillo.”
La segretaria nazionale dei metalmeccanici Cgil, Francesca Re David, ha definito le scelte dell'azienda “arroganti e unilaterali”. Per la Fiom “la totale chiusura e l'indisponibilità di Whirlpool a cercare soluzioni coerenti con l'accordo mette di fatto a rischio la tenuta del piano industriale e il futuro di oltre 5.000 lavoratori in tutta Italia.” La Whirlpool oltre a Napoli, ha siti produttivi a Carinaro (CE), Fabriano (AN), Comunanza (AP), Siena, Biandronno (VA) e, a parte quest’ultimo, gli altri non lavorano a pieno regime (vi sono contratti di solidarietà).
Difatti la mobilitazione è alta in tutti gli stabilimenti del gruppo e vi sono già stati, e vi saranno ancora, scioperi e manifestazioni unitarie di tutti i lavoratori. Il rischio è che la multinazionale abbandoni del tutto l'Italia. Nel solo sito di Napoli, tra i 420 dipendenti diretti e quelli dell'indotto rischiano di ritrovarsi sul lastrico più di mille operai e le loro famiglie.
Uno sciopero generale dell'industria e del terziario, nell'area metropolitana di Napoli, è stato indetto per il 31 ottobre, nel giorno indicato da Whirlpool come termine ultimo prima della cessione degli impianti produttivi di Napoli. È stato deciso unitariamente, per 4 ore, da Cgil, Cisl e Uil “per dire no alla chiusura della Whirlpool di Napoli e sì ad un piano di sviluppo per Napoli e per il Mezzogiorno.
“Il futuro di Napoli non esiste senza industria”, avvertono i i sindacati: “La vicenda Whirlpool è emblematica di un processo di deindustrializzazione che va avanti da anni e che ha visto le istituzioni inerti o impotenti. Questo processo va fermato. Non esistono ragioni industriali per giustificare il disimpegno Whirlpool da Napoli. Ogni eventuale progetto deve vedere la Whirlpool coinvolta. Il Governo non può consentire che gli impegni assunti dalle multinazionali siano carta straccia”.
Anche Rocco Palombella, segretario generale della Uilm è stato molto duro con Whirlpool e il suo comportamento predatorio e invita il governo a “colpire Whirlpool se dismetterà Napoli” e prospetta soluzioni alternative. I giornali parlano di nazionalizzazione paventata da sindacati e governo, ma Patuanelli, ministro per lo Sviluppo economico pensa al workers buy out . Ovvero un rilevamento dell'attività da parte dei dipendenti che, seppur con un aiuto da parte di Invitalia (gli investimenti pubblici) devono mettere a rischio i loro soldi, TFR compreso, e ridare indietro i finanziamenti.
Una soluzione che rimanderebbe momentaneamente il rischio licenziamento aggiungendovi il rischio d'impresa in un mercato, quello degli elettrodomestici, difficile da presidiare con successo sia sul piano tecnologico che commerciale. La fabbrica deve essere presidiata e occupata affinché realmente non esca nemmeno un bullone e il governo deve confiscare i beni alla multinazionale USA senza alcun indennizzo.
Insomma la Whirlpool non può e non deve assolutamente chiudere. È finito il tempo delle chiacchiere e il governo deve finalmente intervenire e impedirlo. I mezzi e il potere li ha e i lavoratori non possono aspettare ancora.
 

23 ottobre 2019