L'eccidio dei braccianti di Melissa
Volevano occupare le terre incolte del marchesato di Crotone
Il 28 e 29 ottobre, in occasione del 70° Anniversario dell’eccidio di Fragalà, il comune di Melissa (Kr) ha onorato con una “due giorni” di studio la memoria dei tre braccianti: Angelina Mauro (24 anni), Giovanni Zito (15 anni) e Francesco Nigro (29 anni) assassinati dalla polizia fascista di Alcide De Gasperi e Mario Scelba durante la lotta per l'occupazione delle terre nell'autunno del 1949.
Alla manifestazione in Piazza Del Comune sono intervenuti fra gli altri il riformista e anticomunista segretario generale della CGIL, Maurizio Landini, e il plurindagato governatore PD della Calabria, Mario Oliverio.
Nel suo discorso Landini si è guardato molto bene dal condannare il tradimento perpetrato dei revisionisti dell'allora PCI di Togliatti, dai riformisti e della stessa CGIL di Di Vittorio che di fatto abbandonarono al proprio destino la coraggiosa lotta dei braccianti calabresi condannandoli alla fame, alla miseria e all'emigrazione eterna.
Ieri come oggi anche Landini ha ribadito che la proprietà privata è sacra e inviolabile e il sistema di sfruttamento capitalista che ne deriva non va nemmeno messo in discussione: “Occorre mettere al centro il lavoro e le intelligenze delle persone che lavorano – ha detto Landini - Nel nostro paese non è vietata la proprietà privata, è ammessa ma c’è scritto nella Costituzione che essa deve avere una funzione sociale”.
Evidentemente Landini non sa nemmeno che quei braccianti chiedevano proprio migliori condizioni di vita e di lavoro, e l'emancipazione da un sistema di sfruttamento feudale.
Carico di opportunismo anche il discorso del plurinquisito Oliverio, già in campagna elettorale e in rotta di collisione col PD che non lo vuole ricandidare alla prossime regionali, secondo cui "Melissa rappresenta il simbolo della Calabria che vuole cambiare, della volontà di lotta e dell'antica aspirazione alla giustizia delle classi meno abbienti del Sud... Su queste terre, che avevano visto il dominio dei grandi proprietari terrieri quei braccianti non conquistarono la terra, ma difesero con orgoglio e con coraggio la loro dignità, la loro voglia di liberarsi definitivamente dalle vessazioni e dai soprusi. Quella gente era espressione di un popolo unito e compatto, una grande forza riformista, portatrice di un progetto di rinascita della Calabria". Sic!
Le celebrazioni sono proseguite presso il Museo del Vino dove è stato presentato il libro di Carlo Rizzo “Quel giorno a Melissa“: una ricostruzione romanzata della lotta dei braccianti contro il latifondo in Calabria “per avvicinare le nuove generazione ai fatti della provincia di Crotone legati al lavoro, attuali oggi come quel giorno di settant’anni fa – ha affermato l’autore del libro – perché il riscatto popolare delle classi sociali avvenne quel giorno, i giovani possono apprendere una pagina di storia che rischierebbe di essere dimenticata”.
Quella mattina del 29 ottobre di settant'anni fa tutta la popolazione di Melissa si mobilitò per dare inizio all'occupazione delle terre incolte nel fondo di Fragalà, di proprietà del barone Berlingeri.
Centinaia di donne, uomini, bambini, si divisero i compiti: alcuni portavano i barili dell’acqua, altri le ceste di viveri e gli uomini gli attrezzi da lavoro. A piedi o in groppa alle cavalcature raggiunsero il latifondo e tra lo sventolio di alcune bandiere rosse diedero inizio alla semina.
Nel giro di poche ore giunse sul posto anche lo squadrone di un centinaio di poliziotti inviati da Bari dal ministro degli Interni Mario Scelba su richiesta del barone Luigi Berlingieri.
La polizia avanzò con i fucili spianati e senza preavviso aprì il fuoco contro i contadini già in fuga.
Francesco Nigro cadde per primo, poi toccò Giovanni Zito e infine Angelina Mauro: ferita gravemente, e lasciata morire all’ospedale di Crotone senza cure dopo due giorni di atroci sofferenze.
Dodici furono i feriti, tutti colpiti alle spalle a conferma che si trattò di un eccidio tanto efferato quanto premeditato contro persone inermi che doveva servire da monito a tutto il movimento contadino in lotta.
Pochi giorni prima dell’eccidio di Fragalà infatti, una mobilitazione di quindicimila contadini delle province di Cosenza e Catanzaro aveva invaso in corteo i campi abbandonati del latifondo e dato inizio alla lotta per l'occupazione delle terre. Interi paesi del Crotonese e della Sila, a piedi e a dorso delle cavalcature, con mogli e figli al seguito marciavano compatti da Strongoli, Cutro, Isola di Capo Rizzuto, Petilia, Caccuri, San Mauro verso il latifondo incolto in pianura.
I grandi proprietari terrieri calabresi, tra cui diversi parlamentari democristiani, reagirono invocando il pugno di ferro del ministro della polizia Scelba, il quale inviò immediatamente la famigerata celere che nel giro di pochi giorni soffocò nel sangue le lotte per la terra in tutto l’agro crotonese contro il predominio dei Morelli, dei Ruffo, dei Morano, dei Campitelli, dei Pignatelli e dei Berlingieri.
L'eccidio di Melissa suscitò grande indignazione e scosse l’opinione pubblica nazionale e internazionale.
Ernesto Treccani lo rievocò più volte nelle sue opere, il teatro militante ne celebrò i caduti in “Tutti a Fragalà”, il Congresso mondiale della Pace che si svolse a Roma a poche ore dai fatti diede all'eccidio una risonanza internazionale.
Ma i contadini di Melissa non ebbero mai giustizia. Nel 1953 la Corte d’Assise di Catanzaro assolse tutti, e i mandanti e gli esecutori materiali dell'eccidio la fecero franca grazie anche al progressivo tradimento del PCI revisionista. I fuorilegge non furono individuati fra i poliziotti che spararono contro le masse in lotta ma i braccianti “colpevoli” di aver osato occupare le terre per chiedere “giustizia, pace, pane e lavoro”. Si arrivò al punto che, nel tentativo di cancellare questa gloriosa pagina di storia del movimento contadino calabrese, furono fabbricate a tavolino prove false e non fu celebrato neppure il processo di secondo grado.
6 novembre 2019