Per tutelare la sicurezza del popolo italiano
L'Italia deve ritirarsi dall'Iraq e dalla guerra allo Stato islamico
I cinque militari italiani feriti nell'attentato sono la conseguenza dell'interventismo anticostituzionale del governo Conte. Il Consiglio supremo di Difesa riconferma la presenza militare dell'Italia nel mondo e nella coalizione anti IS. Conte e Di Maio calzano l'elmetto
Nella mattinata del 10 novembre, secondo quanto annunciava lo stringato comunicato stampa dello Stato Maggiore della Difesa, un ordigno esplosivo artigianale (IED) è detonato al passaggio di una squadriglia mista di Forze Speciali italiane in Iraq che “stava svolgendo attività di mentoring and training a beneficio delle Forze di Sicurezza irachene impegnate nella lotta al Daesh” e ha ferito cinque militari di cui tre in maniera grave. Da notizie rilanciate dalle agenzie risultava che l'attentato era avvenuto secondo alcune fonti nella zona tra le città di Erbil e Kirkuk durante l'attività di addestramento delle forze antiterrorismo irachene, o secondo altre, a est di Kirkuk, nel territorio della regione autonoma curda in Iraq durante l'addestramento delle Forze di sicurezza dei peshmerga dato che, come spiegavano fonti militari, in molti casi l’attività di consiglieri militari impone di affiancare le forze irachene o curde anche in combattimento con la possibilità di essere coinvolti in azioni a fuoco, quantunque i militari italiani non siano formalmente autorizzati a effettuare azioni di combattimento. In ogni caso i 5 militari italiani feriti non erano semplici “insegnanti”, appartengono alle Forze speciali, 3 incursori del GOI, Gruppo Operativo Incursori, della Marina e 2 incursori del 9° Reggimento Col Moschin dell’Esercito, che erano in attività in piena zona di guerra.
Questa ovvia notizia è quasi scomparsa nella valanga di notizie sull'attentato che ha naturalmente avuto una forte risonanza in Italia, con le più alte cariche istituzionali e politiche impegnate a far sapere di essere molto attente alla salute dei militari feriti ma senza nessun ripensamento sul mantenere il contingente militare impegnato nella guerra in Iraq, anzi a confermarlo. E in una zona dove negli ultimi mesi ci sono stati numerosi attacchi diretti contro le forze irachene, almeno 30 attorno a Kirkuk da parte di cellule dello Stato islamico (IS), o indiretti con gli IED piazzati lungo le strade.
Sarà proprio l'Is l'11 novembre a rivendicare l'attacco con un comunicato diffuso dall’agenzia Amaq e rilanciato dal sito statunitense Site: “Con l'aiuto di Dio, soldati del Califfato hanno colpito un veicolo 4X4 con a bordo esponenti della coalizione internazionale crociata ed esponenti dell'antiterrorismo peshmerga nella zona di Kifri, con un ordigno, causando la sua distruzione e ferendo quattro crociati e quattro apostati”. Seppur cancellato come entità territoriale dalle bombe imperialiste, lo Stato islamico continua a essere attivo nell'area tra l'Iraq e la Siria e ancora in grado di organizzare iniziative militari sotto la guida dell'appena nominato Abu Ibrahim al-Qurashi al posto del primo califfo dello Stato islamico, Abu Bakr al-Baghdadi ucciso in Siria da un commando Usa il 26 ottobre.
Una missione imperialista di occupazione dell'Iraq, iniziata nel 2003 nell’ambito dell’operazione “Antica Babilonia” che avrebbe dovuto, secondo la Risoluzione 1483 delle Nazioni Unite, promuovere la stabilità nel paese dopo l’aggressione a guida Usa e la fine del regime di Saddam Hussein. L'Italia schierava le sue truppe di occupazione per avere il proprio spazio e una fetta di torta nella spartizione delle risorse dell'Iraq, a partire dalla difesa gli interessi petroliferi dell'Eni e successivamente della manutenzione della diga di Mosul. Dal 14 ottobre 2014 la missione italiana prese il nome “Prima Parthica”, che significativamente era il nome di una legione dell'impero romano, di cui l'imperialismo italiano vorrebbe ricalcare le orme almeno in parte, creata nel 197 d.c. dall'Imperatore Settimio Severo per la guerra contro l'Impero dei Parti e impegnata nell'occupazione della regione dove una delle basi era nel campo di Singara (Sinjar, nell'odierno Iraq), in Mesopotamia. La missione decisa dal governo Renzi aveva lo scopo di partecipare con un ruolo importante alla coalizione internazionale contro l'IS guidata dagli Stati Uniti. Il contingente composto inizialmente da circa 1.400 unità sarebbe stato ridotto attualmente a neanche 900 effettivi, dei quali circa 650 in Iraq, con compiti di addestramento e supporto ai Peshmerga curdi e alle forze di sicurezza irachene, come quei reparti anti-sommossa che stanno reprimendo le proteste popolari. Un centinaio sono i militari dell'aeronautica del Task Group Griffon dotati di 4 elicotteri UH90 di base a Erbil; il resto opera nella base aerea di Alì al-Salem, in Kuwait, e dispone di aerei da rifornimento KC 767A, di caccia Eurofighter e dei droni Predator di supporto alle forze di occupazione imperialiste dell'Iraq.
I cinque militari italiani feriti nell'attentato sono quindi la conseguenza dell'interventismo anticostituzionale del governo Conte, che vede allineati su posizioni imperialiste sia il PD che il M5S impegnati a mantenere la “storica” politica interventista dell'Italia nella regione.
L'imperialismo italiano si trova in prima fila nella guerra allo Stato Islamico in Iraq, una guerra e un paese dai quali dovrebbe ritirarsi anzitutto per non causare ritorsioni, per tutelare la sicurezza del popolo italiano. Poco dopo l'attentato invece il ministro della Difesa Lorenzo Guerini assicurava anzitutto che la missione italiana continuerà. Mentre il ministro degli Esteri Luigi Di Maio aggiungeva che “la missione in Iraq è una missione di formazione ai militari iracheni che combattono contro l’Isis. È una missione che incarna tutti i valori del nostro apparato militare”, con uno di quei tanti vergognosi e repentini ribaltamenti di posizione del M5S. Quando si trovava all'opposizione del governo, nell’ottobre del 2015 il ministro attaccava l'allora governo Renzi dicendo “no a un intervento italiano in Iraq” e che “bombardare rischierebbe di causare solo ritorsioni terroriste”. Nella gara col collega Guerini a chi mostra il volto più feroce, Di Maio calzava l'elmetto e su Fb l'11 novembre scriveva che “l'Italia non indietreggia e mai indietreggerà di un centimetro di fronte alla minaccia terroristica”.
Financo il Sindacato dei militari con una nota esprimeva “vicinanza ai colleghi feriti e alle loro famiglie ma – denunciava - non possiamo tacere di fronte all'ipocrisia di chi rappresenta le istituzioni e continua a definire la guerra combattuta dai nostri soldati all'estero come 'missioni di pace'” e concludeva sostenendo che “è ora di ritirare tutti i contingenti militari italiani dalle missioni all'estero perché l'impegno delle forze armate, in questo modo, è chiaramente contrario all'articolo 11 della Costituzione”.
Da questo orecchio imperialista non ci sentiva neanche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella che coglieva l'occasione della prevista riunione del Consiglio supremo di Difesa dell'11 novembre per riconfermare la presenza militare dell'Italia nel mondo e nella coalizione anti IS. La riunione aveva al primo punto dell'ordine del giorno proprio quello “della situazione sulle principali aree di crisi, con particolare riguardo all’area del Mediterraneo e del Medioriente, sulla evoluzione delle forme di minaccia, con particolare riferimento al terrorismo transnazionale di matrice jihadista e sulla presenza delle Forze Armate nei diversi Teatri Operativi”. E il primo punto del comunicato finale evidenziava che “anche il recente attacco al nostro contingente in Iraq conferma che il terrorismo transnazionale resta la principale minaccia per l’Italia e per tutta la Comunità Internazionale”, come se i militari italiani fossero in Iraq assieme a quelli degli altri contingenti per piantare fiorellini e le forze disperse dello Stato islamico non avessero il diritto di rispondere agli occupanti con i mezzi che hanno a disposizione. Quel “terrorismo transnazionale” è generato dall'aggressione della coalizione militare imperialista, ne è una diretta conseguenza e il fatto di negarlo vuol dire scambiare le vittime coi carnefici, assolvere i paesi imperialisti dalle loro responsabilità e esporre il popolo italiano a quelle “ritorsioni” che anche Di Maio vedeva come un pericolo quattro anni fa.
Anche il presidente Mattarella tirava dritto e nel comunicato ribadiva che “è necessario continuare a garantire la nostra presenza nelle principali aree di instabilità e contribuire con decisione alle strategie tese a sviluppare un efficace sistema di contrasto comune al fenomeno”. Una presenza militare che l'Italia deve continuare a offrire per dare “un contributo determinante ed efficace alle operazioni e alle iniziative comuni”.
Nel coro imperialista mancava il presidente del Consiglio Giuseppe Conte che recuperava il 12 novembre, in occasione dell'anniversario della morte, 16 anni fa a Nassiriya, di militari del contingente italiano di occupazione: “questa triste ricorrenza – dichiarva Conte - cade a pochi giorni da un altro attacco che ha visto feriti cinque nostri militari impegnati nell'addestramento antiterrorismo delle forze irachene. Questa giornata ci spinge a rinnovare con determinazione il nostro impegno nella lotta al terrorismo e a lavorare per stabilizzare le aree di crisi. Un impegno senza colori né confini, che deve vedere tutte le Istituzioni unite a livello globale in questa battaglia comune”. Le istituzioni borghesi lo sono, non certo il popolo italiano. Una voce contraria è stata intanto quella del missionario e pacifista Alex Zanotelli che all'agenzia Adnkronos dichiarava che la presenza militare italiana in Iraq non deve più esserci, perché “non possiamo restare in un Paese che abbiamo contribuito a distruggere. Diverso è il discorso relativo alla presenza civile italiana, di assistenza alla popolazione” e in merito ai caduti di Nassiriya sosteneva che “non andrebbero definiti 'martiri', in quanto noi eravamo lì per difendere con le armi il nostro petrolio”.
13 novembre 2019