Manifestazione nazionale a Roma
20 mila in corteo per cancellare le Leggi Sicurezza Salvini
“Le leggi a nome Salvini vanno abolite in toto... Non sono decreti sicurezza, ma leggi razziali”
Il PMLI diffonde il volantino contro il governo trasformista liberale Conte
Il 9 novembre oltre 20 mila manifestanti provenienti da ogni parte d’Italia a bordo di decine di pullman hanno dato vita a Roma a una grande e combattiva manifestazione nazionale per chiedere al governo governo trasformista liberale Conte e alla maggioranza M5S-PD l'immediata “abrogazione delle leggi sicurezza Minniti-Orlando-Salvini-Di Maio”.
Alla mobilitazione nazionale, inizialmente indetta dai movimenti per l'abitare e dai centri sociali di "Energie in movimento" e poi rilanciata il 6 ottobre scorso dall'Assemblea del Forum Indivisibili & Solidali, hanno aderito oltre 190 Associazioni, Organizzazioni, Movimenti, Ong, Partiti, Sindacati, Collettivi studenteschi, Comunità migranti e Centri Sociali di centinaia di città fra cui Bologna, Napoli, Reggio Emilia, Rimini, Caserta, Firenze, Catania, Varese, Venezia, Padova, Milano, Bergamo, Palermo, Genova, Treviso, Prato e Pisa.
Il PMLI ha aderito alla manifestazione e preso parte in piazza, portando la propria bandiera e la propria voce, diffondendo l’importante volantino firmato dall’UP contro il governo trasformista liberale Conte
Nonostante la pioggia battente, un lungo e combattivo corteo è partito da piazza del Colosseo e ha percorso Via Labicana, Via Emanuele Filiberto, Piazza Vittorio, Via Statuto, S. Maria Maggiore, Esquilino, Via Cavour, Piazza Dei Cinquecento, per concludersi in Piazza della Repubblica al grido: “Aboliamo le leggi sicurezza” contro la criminalizzazione dei migranti e delle lotte sociali e operaie; per la chiusura dei centri di permanenza e rimpatrio, l'apertura dei porti, lo stralcio dell’accordo Italia-Libia e la regolarizzazione generalizzata e permanente dei migranti senza permesso di soggiorno.
La protesta è rivolta soprattutto contro l'attuale governo con molti manifestanti che denunciano: “Non c’è stata nessuna discontinuità, lo abbiamo visto con il decreto di recente voluto da Di Maio che ha inserito la lista dei paesi sicuri. E in questi giorni, di nuovo, con il rinnovo degli accordi infami con la Libia e con la prosecuzione della linea già avviata dai precedenti governi di centro sinistra che hanno introdotto e poi inasprito la detenzione amministrativa per i migranti... Siamo in piazza oggi in una fase politica in cui la tanto auspicata discontinuità non si è data, anche sulla chiusura dei porti e sulla criminalizzazione della solidarietà... C’è invece bisogno di rilanciare, sia in mare così come in terra, il tema della libertà di movimento, c’è la necessità di sgretolare queste politiche”.
Per gli organizzatori della manifestazione esiste un filo nero che unisce la politica repressiva contro i migranti e il diritto di manifestare, inaugurata dai governi di centro “sinistra” con Minniti, aggravata dall'aspirante duce d'Italia Salvini e sostenuta da Conte e Di Maio, che punta soprattutto a soffocare la lotta di classe inasprendo le pene per i reati connessi alle manifestazioni di piazza, su tutti il blocco stradale, contro i lavoratori, disoccupati, studenti, precari e le masse popolari che osano ribellarsi e scendere in piazza per reclamare e difendere i propri diritti, da un lato e, dall'altro, cancella il diritto alla protezione internazionale dei migranti e punisce duramente i volontari che salvano i naufraghi.
Quelle sulla cosiddetta “sicurezza” ripetono i manifestanti: “sono leggi in primo luogo razziste, che criminalizzano la libertà di movimento di migliaia di migranti, di chi scappa dalla guerra... Ma sono anche leggi liberticide che limitano il diritto di manifestare per tutti, lavoratori e lavoratrici, per chi è impegnato nelle lotte sindacali... Non è possibile reprimere il dissenso sociale con misure restrittive che vanno a colpire determinati comportamenti solo perché condotti all’interno di una manifestazione”.
In particolare i manifestanti hanno stigmatizzato le dichiarazioni rilasciate nei giorni scorsi dalla nuova ministra dell’Interno, Luciana Lamorgese, la quale ha parlato di “superamento” e non di abrogazione dei decreti “incriminati” e si è detta disponibile ad accogliere soltanto le due “rilevanti criticità” espresse dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella al momento di controfirmare i provvedimenti. La prima riguarda le maximulte alle navi che compiono salvataggi in mare. La seconda l’eliminazione della circostanza di “particolare tenuità del fatto” per ipotesi di reato relative a resistenza, violenza e minaccia a pubblico ufficiale.
Troppo poco secondo i promotori della mobilitazione che giustamente rinfacciano al governo trasformista liberale Conte la vergognosa continuità con la politica repressiva e le leggi speciali imposte da Salvini. Lo ha detto chiaro e tondo la stessa ministra Lamorgese la quale, subito dopo il rinnovo del patto con la Libia sui flussi migratori, ha annunciato l'attivazione di 300 nuovi posti nei centri di detenzione amministrativa per migranti.
“Era stata annunciata una discontinuità e si era detto che per formare questo governo si sarebbero dovuti cancellare i provvedimenti bandiera dell’ex ministro Salvini – attaccano gli organizzatori della mobilitazione - Questa cosa non avviene. Le modifiche proposte dal presidente della Repubblica sono inconsistenti perché rimane in piedi l’impianto generale delle due leggi. È significativo che queste misure colpiscano sia i migranti, sia gli italiani che dimostrano solidarietà o lottano per difendere i propri diritti attraverso proteste e manifestazioni... Non si può pensare che diminuire le multe alle navi che salvano vite nel Mediterraneo sia una conquista, o che prevedere una gradazione nell’ammenda per resistenza e oltraggio a pubblico ufficiale sia il risultato cui auspicare... Le leggi a nome Salvini vanno abolite in toto... Non sono decreti sicurezza, ma leggi razziali. Vanno chiamate con il loro nome”. Soprattutto perché: “le cosiddette leggi sulla sicurezza non colpiscono mai la criminalità organizzata, ma sempre gli ultimi. Chi occupa una casa, chi vive alla giornata, chi lotta per difendere i propri diritti. Sicurezza dovrebbe significare garantire a tutti un reddito, un tetto sopra la testa, l'accesso al welfare e la possibilità di lavorare... Non si possono rischiare sei anni di carcere per fare un picchetto o un blocco stradale che serve a difendere i propri diritti o il posto di lavoro. Così come non si può rischiare di morire in mare per le sanzioni contro le navi che salvano esseri umani, o finire per strada a causa delle misure che limitano ai migranti l'accesso ai documenti e al sistema di accoglienza”.
Al corteo ha preso parte anche Nicoletta Dosio, la storica militante del movimento No Tav, che proprio nei giorni scorsi è stata condannata insieme ad altre 11 persone per interruzione di pubblico servizio, blocco stradale, e violenza privata dal tribunale di Torino per una manifestazione del 2012 in Val Susa.
“Se qualcuno mi verrà a prendere andrò in carcere” ha detto fra l'altro la Dosio accusando apertamente la macchina repressiva borghese che negli anni si è accanita in mille modi contro il movimento No Tav, nonostante figure importanti di questi apparati siano finiti o stiano finendo sotto inchiesta per legami con la 'ndrangheta calabrese la quale a sua volta risulta essere tra i maggiori “azionisti di riferimento” dei cantieri in Val di Susa.
"Essere contro i decreti sicurezza significa rifiutare una politica che il nostro territorio conosce da molti anni – ha aggiunto la Dosio - La logica che ispira quelle misure in realtà aumenta l'insicurezza dei giovani, dell'ambiente e di tutti coloro che alzano la testa. Il movimento No Tav è stato un laboratorio di queste politiche. Io andrò in carcere perché non ho intenzione di chiedere scusa per le nostre proteste. Quello che abbiamo fatto era giusto".
La settimana di mobilitazione era stata aperta da un sit-in di protesta svoltosi il 5 novembre davanti alla sede del PD in via Del Nazareno “per segnalare l’ipocrisia del PD e le sue posizioni contraddittorie sui diritti dei migranti”. Un gruppo di ragazze e ragazzi hanno esposto dei grandi cartelli con su scritto: “Leggi sicurezza = 4 anni di carcere se sei senza casa e occupi un immobile”; “Nell’ultimo anno 92 femminicidi e 5 persone trans uccise. Sicurezza per chi?”.
Il 7 novembre invece all’Università La Sapienza si era tenuta una partecipata “assemblea pubblica contro gli sgomberi e per la difesa degli spazi sociali e abitativi riappropriati; contro gli accordi internazionali di deportazione dei migranti e di esternalizzazione dei lager; contro i cpr, gli hotspot, il Daspo urbano ed ogni forma di detenzione amministrativa; per la regolarizzazione generalizzata e permanente dei migranti senza permesso di soggiorno e l'accoglienza per tutte/tutti; per il diritto generalizzato alla residenza anagrafica e il riconoscimento dei cambiamenti climatici prodotti dalle politiche di sfruttamento come causa di migrazione forzata; per l'immediata cessazione dei censimenti etnici, oggi praticata contro Rom, Sinti e Caminanti; contro la violenza nei confronti delle donne, l'omofobia e ogni tipo di discriminazione; contro le destre xenofobe e razziste che a livello internazionale attaccano le libertà di tutte/tutti; contro la criminalizzazione della solidarietà e delle ONG impegnate nei salvataggi, per l'immediato dissequestro delle navi umanitarie e l'apertura dei porti”.
13 novembre 2019