Un altro fallimento della via parlamentare al socialismo
Golpe fascista in Bolivia. Morales non combatte, si dimette e si rifugia in Messico
I golpisti perseguitano i seguaci dell'ex presidente definiti “orda delinquenziale”. Manifestazioni popolari contro il golpe
Usa e Russia si disputano l'egemonia sulla Bolivia
Il 10 novembre, dopo tre settimane di disordini scoppiati all'indomani delle elezioni del 20 ottobre, il presidente della Bolivia Evo Morales, in carica da quasi 14 anni, si è dimesso e ha lasciato in aereo La Paz per rinchiudersi nella sua roccaforte di Cochabamba, da cui è ripartito poco dopo per fuggire in aereo in Messico, che gli ha accordato asilo politico "per motivi umanitari". A "suggerire" le sue dimissioni e la sua conseguente fuga era stato il comandante generale delle forze armate, William Kaliman, per "consentire - gli aveva ingiunto - la pacificazione e il mantenimento della stabilità" del paese.
La situazione era precipitata quando ai disordini dell'opposizione, fomentati dal suo avversario candidato della destra, Carlos Mesa, e dal miliardario fascista capo dei comitati civici di Santa Cruz, Luis Fernando Camacho, detto anche "il Bolsonaro boliviano", si era aggiunto l'ammutinamento della polizia, prima a Cochabamba e poi anche nella capitale, e il rifiuto degli alti gradi dell'esercito di fronteggiare la rivolta. Alle elezioni del 20 ottobre Morales era risultato in vantaggio col 47% dei voti e aveva rivendicato la vittoria al primo turno. Ma l'opposizione golpista, accusandolo di brogli, accreditati anche dall'Organizzazione degli Stati americani (OAS), detta "il ministero delle colonie Usa" per la sua natura filoimperialista, aveva scatenato disordini in tutto il paese per invalidare il voto, con la complicità della polizia.
A guidare sul terreno l'ala dura filogolpista dei rivoltosi era lo stesso Camacho, un rappresentante della destra bianca razzista avversa alla popolazione indigena, un imprenditore già coinvolto nello scandalo dei Panama papers,
omofobo e misogino (non a caso si fa chiamare "macho Camacho"), che minaccia la secessione della regione di Santa Cruz e che brandisce la bibbia come Salvini il rosario, giurando di farla tornare nel palazzo di governo. Le sue squadracce dei comitati civici avevano messo a ferro e fuoco le città, dando la caccia ai seguaci di Morales, a membri del governo e del Mas (il Movimiento al socialismo, sostenitore di Morales), bastonandoli e incendiando le loro abitazioni, tra cui quella dello stesso Morales e della sorella a Cochabamba.
Anez si autoproclama presidente come Guaidò
Dopo la fuga di Morales, seguita dalle dimissioni a catena di ministri e funzionari governativi e dall'arresto delle autorità del Tribunale supremo elettorale, colpevoli di aver convalidato la sua vittoria, l'esponente della destra e vicepresidente del Senato, Jeanine Anez, avvocatessa con un passato di presentatrice della tv, si è autoproclamata presidente ad interim in attesa di convocare nuove elezioni a gennaio. Anche perché la legittima pretendente in ordine di successione a Morales (che comunque è ancora tecnicamente in carica fino al 22 gennaio), la presidente del Senato Adriana Salvatierra, era stata bloccata e malmenata dalla polizia al suo ingresso in aula.
Ciononostante la Anez, soprannominata la Guaidò boliviana, e che è entrata trionfalmente nel palazzo del governo con una bibbia in mano come chiedeva Camacho, ha nominato già alcuni ministri e cambiato alcuni comandanti di polizia ed esercito. Ha subito ricevuto il riconoscimento di Trump, Bolsonaro e Guaidò, oltre quello di altri governi di destra aderenti all'OAS con in testa la Colombia, e ha esortato l'autoproclamato presidente fantoccio di Caracas "a liberare il Venezuela", il quale le ha risposto che i boliviani "sono fonte d'ispirazione per i venezuelani". E per far capire subito che l'aria era cambiata a La Paz, ha espulso tutti i componenti dell'ambasciata del Venezuela e i 270 medici volontari cubani.
Trump ha twittato entusiasta che le dimissioni di Morales rappresentano "un momento importante per la democrazia, un esempio da seguire per Venezuela e Nicaragua". Hanno condannato invece duramente il golpe il Venezuela, il Messico e Cuba. Condanne sono state espresse anche dal presidente del Nicaragua, Ortega, dal governo dell'Uruguay e dal neoeletto presidente argentino Alberto Fernandez. Federica Mogherini, a nome della Ue, si è limitata ad invocare "moderazione", e preoccupazione è stata espressa dal segretario dell'Onu e dal papa.
Anche la Russia ha condannato il golpe, attribuendone l'"organizzazione evidente" agli Usa, ma lo ha fatto solo tramite il presidente della Duma. In realtà ha riconosciuto prontamente il nuovo presidente golpista, sia pure "fino alle prossime elezioni". Il fatto è che, essendo in piena competizione con gli imperialisti Usa per l'egemonia sulla Bolivia e lo sfruttamento delle sue ricchezze minerarie, più che per le sorti della "democrazia" la Russia imperialista è preoccupata per i suoi interessi economici in quel paese, dove il colosso Rosatom sta costruendo una centrale nucleare da 300 milioni di dollari nell'altopiano andino. E dove fanno gola a tutti - Usa, Russia, Cina e Ue - i suoi giacimenti di idrocarburi e di litio, minerale strategico per l'industria delle batterie, di cui la Bolivia detiene insieme a Cile e Argentina le più grosse riserve al mondo.
Operai, contadini e Aymara resistono al golpe
Intanto si va organizzando la resistenza nel paese al colpo di Stato fascista. Migliaia di contadini dell'Altipiano - tra cui i ponchos rojos, gruppi di combattenti indios di etnia Aymara - sono scesi in lotta al grido di "ahora sì, guerra civil". È scesa in lotta anche la Confederacion Sindacal Unica de Trabajadores Campesinos", che ha effettuato blocchi stradali in tutto il Paese: La Paz, Oruro, Potosí, Cochabamba e Santa Cruz sono state isolate da circa 47 punti di blocco. La "Coordinadora de las Seis Federaciones del Tropico de Cochabamba" che riunisce i cocaleros (coltivatori di coca), ha annunciato una mobilitazione nazionale che andrà avanti "finché Morales non tornerà ad occupare la presidenza della Bolivia". Dalla città di El Alto, roccaforte Aymara di Evo Morales, migliaia di persone sono scese in marcia verso La Paz per manifestare contro il golpe e l'autoproclamazione della Anez, ingaggiando duri scontri con la polizia e i militari. Lo stesso è avvenuto a Montero e Yapacani, nel dipartimento di Santa Cruz, dove i golpisti hanno sparato facendo diversi morti. Il conto dei morti dalle elezioni è già salito a 23, e centinaia sono i feriti e gli arrestati. La Commissione interamericana per i diritti umani (IACHR) ha condannato l'uso sproporzionato della forza da parte di polizia e militari a Cochabamba e nella vicina città di Sacaba, dove il 15 novembre si sono registrati gravi scontri con 9 morti tra i manifestanti.
Ma la Anez tira dritto e ha annunciato il pugno di ferro contro tutti gli oppositori del nuovo regime, esortando esercito e polizia a unirsi per fermare "le orde delinquenziali". "Contro gli atti vandalici che causano terrore tra la popolazione, si impiegherà la forza in maniera proporzionale", ha risposto prontamente il generale Kaliman. La Anez ha concesso anzi per decreto a polizia ed esercito anche l'immunità penale per le violenze commesse contro i lavoratori.
Il fallimento del riformista Evo Morales
Il timore è quindi che il golpe, mascherato per ora da "civile", si trasformi in golpe militare vero e proprio alla cilena, precipitando la Bolivia in un bagno di sangue con il massacro di migliaia di operai e contadini indigeni, coraggiosi ma praticamente disarmati. Tuttavia la responsabilità di quel che sta accadendo è anche di Evo Morales e della sua bramosia di farsi rieleggere presidente per la quarta volta, nonostante sia vietato dalla Costituzione e che avesse perso il referendum del 2016 per cambiarla appositamente, salvo poi piegare la Corte suprema a legalizzare lo stesso la sua candidatura.
Sotto la sua presidenza e il modello di "capitalismo andino", come lo aveva chiamato il suo vice e consigliere Alvaro Garcia Linera, approvato anche dal FMI, il paese era cresciuto economicamente e la povertà era parecchio diminuita. Gli indios, la parte poverissima della popolazione, avevano avuto più diritti e migliori condizioni di vita. Ma c'era anche chi gli rimproverava di aver svenduto le ricchezze minerarie del paese agli stranieri adottando un modello "estrattivista" senza regole e di aver distrutto interi territori vergini dell'Amazzonia per far posto alle monocolture intensive. La destra golpista, approfittando della sua ambizione di potere e accusandolo di brogli e di corruzione, è riuscita a manovrargli contro non solo la borghesia ricca ansiosa di rivincita, ma anche le classi medie, compresi elementi dissidenti del Mas, movimenti femministi, ecologisti, studenti, e persino strati di lavoratori, tanto che anche la Federacion Sindacal de Trabajadores Mineros e la Central Obrera Boliviana avevano sollecitato Morales alle dimissioni.
In ogni caso Morales ha ceduto ai golpisti senza combattere e senza chiamare gli operai e i contadini a difendere la legalità e le loro conquiste, anzi lasciandoli soli a combattere spontaneamente e a mani nude contro la polizia e l'esercito golpisti. In un drammatico discorso alla nazione, con accanto il suo vice Garcia Linera, ha ammesso solo la sua impotenza cercando di giustificare la sua resa e le dimissioni "affinché Mesa e Camacho non continuino a incendiare case e intimidire e minacciare le nostre famiglie". Ha detto di non avere intenzione di lasciare il paese e che la sua gestione è stata onesta: "Non devo scappare. Voglio che il popolo boliviano lo sappia, non ho rubato nulla a nessuno", ha aggiunto. Ma poi è proprio quello che ha fatto, scappare.
Appena arrivato in Messico, dopo un viaggio aereo che ha avuto momenti drammatici per il divieto del Perù di fargli fare rifornimento, Morales ha denunciato che "Il colpo di stato che provoca la morte dei miei fratelli boliviani è una cospirazione politica ed economica che viene dagli Stati Uniti", che mirano ad impossessarsi delle preziose riserve di litio. E ha aggiunto che "finché avrò vita continuerò a lottare". Ma poi ha offerto il ramoscello d'ulivo ai golpisti raccomandandosi "all'Onu, ai paesi d'Europa e a Papa Francesco di accompagnare il dialogo per pacificare la repubblica plurinazionale": ossia il dialogo con i golpisti.
L'unica via è quella della Rivoluzione d'Ottobre
In un articolo dal titolo "cinque lezioni dal colpo di Stato in Bolivia, l'organo del partito revisionista di Cuba, Granma
, le individua in particolare nell'impossibilità per l'imperialismo di accettare "un governo che non serve i suoi interessi", e nelle "forze di sicurezza" che sono istituzioni controllate, addestrate, armate ed educate politicamente dagli Stati Uniti. Siamo d'accordo, la prima lezione da trarre è che la classe dominante borghese non rinuncia mai ai suoi privilegi, ed è sempre pronta a fare un bagno di sangue scatenando l'esercito quando vede minacciato il suo potere. Lo dimostra l'esperienza storica, a partire dall'Indonesia, dove furono un milione i comunisti massacrati dai militari golpisti; per non parlare delle decine di migliaia di assassinati, torturati e fatti sparire nel Cile di Pinochet e nell'Argentina dei generali fascisti. Del resto anche in Europa il fascismo e il nazismo, le più sanguinarie dittature borghesi della storia, nacquero in reazione alla Rivoluzione d'Ottobre e all'instaurazione del socialismo in Urss.
Ma proprio per questo il Granma
non va fino in fondo al problema, perché ignora un'altra e altrettanto fondamentale lezione da trarre dalla Bolivia, che è quella del fallimento del cosiddetto "socialismo del XXI secolo", basato sull'illusione della via parlamentare al socialismo e sul riformismo: l'illusione cioè che il proletariato e le altre classi sfruttate e oppresse possano spodestare la classe dominante borghese e prendere il potere politico per via elettorale e pacifica, senza distruggere la macchina statale borghese e il capitalismo e instaurare il socialismo, ma illudendosi di convivere con il capitalismo e le sue istituzioni politiche, giuridiche e perfino militari, accontentandosi di qualche riforma e spartendo il potere con la stessa classe spodestata.
La dimostrazione è nel fatto che dopo ben 14 anni di governo e pur avendo ancora la maggioranza dei voti Morales non è stato minimamente in grado di far fronte all'assalto dell'oligarchia golpista, la quale ha potuto invece contare sui suoi legami mai recisi con le forze armate e la polizia. In tutti questi anni di governo Morales non ha mai cercato di prevenire i golpisti mettendo in guardia il popolo, addestrandolo e armandolo per essere pronto a sconfiggerli con l'insurrezione. Al contrario, mancando di una vera coscienza marxista-leninista e guidato solo da una visione trotzkista e opportunista, ha tradito le masse perseguendo un potere personale paternalistico e la conciliazione di classe con la borghesia oligarchica e filoimperialista. E continua a farlo pure adesso che è stato costretto all'esilio, come dimostrano nonostante tutto i contatti che sembrano in corso tra il Mas e il governo golpista con la mediazione della chiesa cattolica.
La lezione, allora, è che solo abbandonando le illusioni parlamentari e abbracciando fino in fondo la via tracciata dalla Rivoluzione d'Ottobre, e non quella falsa e fallimentare del "socialismo del XXI secolo", il proletariato e le classi sfruttate e oppresse della Bolivia e dell'America Latina potranno sconfiggere la borghesia e l'imperialismo e realizzare il socialismo.
20 novembre 2019