Più di 7.343 militari italiani impegnati nelle guerre imperialiste nel mondo
37 missioni in 22 Paesi. Massima presenza in Africa
Il grave ferimento di cinque militari delle Forze speciali italiane avvenuto il 10 novembre in un attacco rivendicato dall’ISIS nella zona di Kifri, a circa 120 chilometri da Kirkuk nel nord dell’Iraq, ha suscitato grande clamore nell'opinione pubblica e riportato al centro dell’attenzione mediatica le missioni imperialiste e la politica interventista del governo e dei militari italiani all’estero.
I media di regime hanno pubblicato valangate di notizie inerenti la ricostruzione dell'attentato ma si sono guardati bene dal denunciare pubblicamente lo scenario di guerra in cui si sviluppa l’intervento del contingente italiano in quell’area, dando così modo alle più alte cariche istituzionali e politiche di strumentalizzare questi avvenimenti per “giustificare” e mantenere il contingente militare impegnato nella guerra in Iraq e di continuare a nascondere all'opinione pubblica il fatto che i militari italiani sono parte integrante di una coalizione di aggressione imperialistica e che solo formalmente non sono autorizzati a effettuare azioni di combattimento. Presenza militare italiana riconfermata nel Consiglio supremo di Difesa presieduto da Sergio Mattarella. Mentre, come dimostra appunto il luogo dove è avvenuto l'attentato, operano in piena zona di guerra e per il ruolo che svolgono è molto facile che vengano coinvolti in combattimenti.
Non si tratta di missioni militari “di pace”, “umanitarie”, di “addestramento”!
Basti pensare che nella stessa zona negli ultimi mesi ci sono stati numerosi attacchi diretti contro le forze irachene, almeno 30 attorno a Kirkuk da parte di cellule dello Stato islamico (IS), o indiretti con gli IED piazzati lungo le strade.
I soldati feriti nell’esplosione in Iraq fanno parte della Task Force 44, gemella della Task Force 45 attiva in Afghanistan, unità speciali formate da incursori della Marina e dell’Esercito, e da alcuni reparti dei carabinieri.
La missione internazionale “Inherent Resolve” della coalizione imperialista anti-ISIS a guida USA che agisce sotto la maschera “umanitaria” e di “lotta al terrorismo” nel Nord dell’Iraq coinvolge circa 1.100 soldati italiani impegnati nell’operazione “Prima Parthica”.
Ufficialmente, come si legge dal sito del Ministero della Difesa, l’obiettivo di questa “Coalizione dei Volenterosi” a guida USA è quello di affiancare e supportare le truppe irachene contro l’ISIS, “rendere sicuri i confini, ristabilire la sovranità dello Stato, formare Forze Armate e di Polizia in grado di garantire la sicurezza della Nazione”. Inoltre, si precisa, che le forze militari italiane forniscono anche “assetti e capacità di Training ed Assisting rivolti alle Forze Armate e di polizia irachene, ed in particolare nella base di Erbil (a pochi km dal luogo dell’attacco) sono in corso cicli di training a favore dei Peshmerga (forze curde di Barzani) ed a Baghdad presso cui sono in corso attività di Advising per le unità delle Forze Speciali”.
Ma è chiaro che il contingente italiano opera in un difficile e complesso scenario di guerra a conferma che i 5 militari feriti nell'attentato non sono semplici “insegnanti”, ma appartengono alle Forze speciali della Marina e dell'Esercito: 3 del GOI, Gruppo Operativo Incursori, della Marina e 2 del 9° Reggimento Col Moschin dell’Esercito.
La guerra imperialista di occupazione dell'Iraq è iniziata nel 2003 nell’ambito dell’operazione “Antica Babilonia” e avrebbe dovuto, secondo la Risoluzione 1483 delle Nazioni Unite, promuovere la stabilità nel paese dopo l’aggressione a guida Usa e la fine del regime di Saddam Hussein.
L'Italia ha schierato le sue truppe di occupazione non per ragioni “umanitarie” ma per difendere i propri interessi imperialistici e ottenere una fetta di torta nella spartizione delle risorse dell'Iraq, a partire dalla difesa gli interessi petroliferi dell'Eni e successivamente della manutenzione della diga di Mosul.
Dal 14 ottobre 2014 la missione italiana ha preso il nome “Prima Parthica”, che eloquentemente riprende il nome della legione dell'impero romano, di cui l'imperialismo italiano vorrebbe ricalcare le orme almeno in parte, creata nel 197 d.c. dall'Imperatore Settimio Severo per la guerra contro l'Impero dei Parti e impegnata nell'occupazione della regione dove una delle basi era nel campo di Singara (Sinjar, nell'odierno Iraq), in Mesopotamia.
La missione decisa dal governo Renzi aveva lo scopo di partecipare con un ruolo importante alla coalizione internazionale contro l'IS guidata dagli Stati Uniti. Il contingente composto inizialmente da circa 1.400 unità è stato successivamente ridotto ca circa 900 effettivi, dei quali circa 650 in Iraq, con compiti di addestramento e supporto ai Peshmerga curdi e alle forze di sicurezza irachene, come quei reparti anti-sommossa che stanno reprimendo le proteste popolari. Un centinaio sono i militari dell'aeronautica del Task Group Griffon dotati di 4 elicotteri UH90 di base a Erbil; il resto opera nella base aerea di Alì al-Salem, in Kuwait, e dispone di aerei da rifornimento KC 767A, di caccia Eurofighter e dei droni Predator di supporto alle forze di occupazione imperialiste dell'Iraq.
L’Italia ha più di settemila soldati impiegati in aree di guerra: dalla Libia all’Iraq, passando per il corno d’Africa e il Sahel.
Si tratta nella gran parte di missioni di guerra mascherate e spacciate per attività di “addestramento”, “mentoring and training” o di “peacekeeping” come la missione Unifil in Libano, nata nel 1978 ma che dal 2006, al termine dell’ultima guerra fra Israele e il Libano, è stata rafforzata ed ha il compito di presidiare la blue line, la linea di confine fra i due Paesi.
Il loro impiego è secretato e non si sa esattamente quante forze speciali italiane operino nel mondo e soprattutto con quali regole di ingaggio. Hanno uno status diverso dai reparti normali, a dir poco ambiguo, dipendono direttamente da Palazzo Chigi, rispondono alla catena di comando nazionale, ma sono assegnati al comando della coalizione internazionale.
A luglio, il parlamento ha licenziato il decreto che autorizza il rinnovo di queste missioni fino alla fine del 2019.
Secondo le cifre fornite dal governo si tratta di 7.343 operativi schierati sui vari scacchieri di guerra nell'ambito di 37 missioni attive in 22 Paesi per un costo totale che supera 1 miliardo e 100 milioni di euro.
Il Medio Oriente e l’Asia sono le zone dove la presenza dei militari italiani è più radicata nel tempo. Ma dal punto di vista strategico è l’Africa la regione su cui l’Italia ha concentrato ormai da qualche tempo i suoi appetiti imperialistici.
Nel 2015, quando era ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni lo definì il Pivot to Mediterranean, la svolta Mediterranea tesa a ridurre gradualmente la presenza in Medio Oriente, in Iraq e Afghanistan, per concentrarsi sul Mediterraneo, soprattutto in Libia e nella regione del Sahel.
Nacque così la missione militare in Niger, per controllare il confine sud della Libia, che di fatto è partita all’inizio dello scorso anno e non è ancora pienamente operativa.
Anche la Libia è considerato un Paese “cruciale per la sicurezza e gli interessi nazionali”. Nel conflitto in atto l’Italia sostiene il governo di unità nazionale di al Serraj di Tripoli, che è appoggiato dalle Nazioni Unite, e foraggiato, economicamente e militarmente, da Turchia e Qatar.
Il contingente italiano è a Misurata, e dall’inizio della nuova guerra di Libia, il 4 aprile scorso, la città è stata più volte attaccata dall’aviazione del generale Haftar.
Fare luce sulle regole di ingaggio dei reparti speciali impegnati nelle missioni all'estero è praticamente impossibile. Di sicuro si sa che combattono, uccidono, catturano nemici, subiscono perdite; agiscono su mandato del parlamento e per ordine del governo e dei massimi vertici militari che non hanno mai reso nota la natura di queste missioni. E certo non è un caso che le indagini delle procure militari non hanno mai sanzionato il loro comportamento.
Un esempio su tutti è l'operazione Sarissa, il nome della lancia delle falangi macedoni, condotta alla fine del 2006 in Afghanistan dalla Task Force 45. Secondo alcune indiscrezioni de “L'Espresso” il reparto, composto da ufficiali e da incursori di Esercito, Marina e Carabinieri, ha agito direttamente sotto il comando Nato e senza il bisogno del permesso di Roma per andare all’assalto, dare la caccia ai capi talebani e qaedisti, scoprire e "neutralizzare" i laboratori dove si confezionano le micidiali bombe artigianali, eliminare e catturare i nemici.
Anche se nei rapporti ufficiali non c’è traccia di vittime né di prigionieri, che non si sa se vengano consegnati alle autorità di Kabul o a quelle Usa. I documenti statunitensi svelati da Wiki-Leaks, oltre a fornire dettagli sulle attività belliche top secret della Task Force 45, spiegano come davanti alle insistenze della Casa Bianca per un maggiore impegno in Afghanistan, il premier Prodi e il ministro degli Esteri D’Alema avrebbero promesso di mantenere immutato il numero dei militari, aumentando però la quota di combattenti attraverso l'impiego della Task Force 45: una "spedizioni di pace" che però fa la guerra al fianco e agli ordini degli americani.
La missione fu poi rilanciata in grande stile da Berlusconi con l'impiego di quasi 5000 uomini impegnati anche autonomamente in vere e proprie offensive.
Nel 2016 Renzi ha cambiato anche le regole d'ingaggio ponendo le forze speciali al diretto comando di Palazzo Chigi e protetti col segreto di Stato e con la totale immunità per le loro azioni.
La stessa copertura istituzionale usata in Libia contro l’Isis, ma che non riguarda la Task Force 44, per la quale Conte-Salvini e Di Maio si sono inventati il “mandato di mentoring”, ossia “consigliare le truppe locali e se necessario accompagnarle in battaglia” per “giustificare” la prosecuzione degli interventi in Iraq, Afghanistan e Somalia.
Tale massiccia partecipazione delle truppe italiane nelle guerre imperialiste nel mondo è una plateale e sfrontata violazione dell'art. 11 della Costituzione, di quella Costituzione borghese impunemente calpestata e ormai ridotta a un simulacro incapace di coprire i tanti crimini compiuti dall'Italia capitalista e imperialista in politica estera come in politica interna e istituzionale.
20 novembre 2019