L'ex “maoista” Gentiloni commissario europeo all'Economia
Non è il solo “marxista-leninista” rinnegato premiato dalla classe dominante borghese: Tria, il ministro all'Economia del governo dei fascisti del XXI secolo, era “maoista”
Il 9 settembre Paolo Gentiloni, ex ministro degli Esteri nel governo Renzi e presidente del Consiglio dopo la sua caduta e fino all'avvento del governo Salvini-Di Maio, è stato nominato commissario europeo agli Affari economici. Prende il posto di prestigio che nella vecchia Commissione europea era occupato dal socialista francese Pierre Moscovici.
Con la sua nomina la neo presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, e i veri capi della UE imperialista, Angela Merkel e Emmanuel Macron, hanno voluto premiare il governo Conte-bis retto dalla nuova maggioranza M5S-PD-LEU, alla quale si è aggiunta successivamente Italia Viva di Renzi, che ha messo fuori dalla porta la Lega "sovranista" e antieuropea di Salvini. Quegli stessi due partiti, del resto, che avevano già concorso in maniera determinante ad eleggere la neo presidente democristiana tedesca isolando la Lega e gli altri paesi "sovranisti" del gruppo di Visegrad. E anche questo, oltre all'intervento di Mattarella che aveva auspicato per l'Italia "un ruolo di primo piano nella UE", ha senz'altro favorito la corsa del nuovo governo italiano ad un commissariato di peso. Corsa che pure aveva trovato forti resistenze da parte dei paesi più "rigoristi" del Nord dell'Europa, come Olanda e Finlandia, a cui si erano aggiunti l'Austria e il blocco di Visegrad.
Per questi governi, infatti, non era opportuno affidare gli Affari economici ad un paese come l'Italia, afflitto da un debito fuori controllo e in contenzioso da anni con la Commissione per allentare i vincoli di bilancio. Ma a questo proposito la von der Leyen li ha rassicurati prendendo le sue precauzioni, e cioè nominando il falco lettone Valdis Dombrovskis vicepresidente con delega ai servizi finanziari e all'euro, che essendo gerarchicamente superiore a Gentiloni avrà il compito di marcarlo stretto per assicurarsi che non ceda alla tentazione di allentare le regole strette del patto di stabilità nei confronti delle richieste del governo italiano. Non per nulla Dombrovskis, nella vecchia Commissione, era il "poliziotto cattivo" che in tandem col "poliziotto buono" Moscovici aveva messo due volte in riga il governo Lega-M5S con la minaccia della procedura d'infrazione, costringendolo a rinunciare alle sue pretese di allentamento dei vincoli di bilancio per poter fare manovre in deficit.
Gentiloni guardiano del "rispetto delle regole"
Il nuovo governo italiano, forte del ritrovato gradimento europeo, spera invece in un cambiamento delle regole economiche della UE in senso espansivo, contando anche sull'appoggio della Francia e sul fatto che anche la Germania potrebbe averne bisogno per superare l'attuale fase recessiva. Ed è in tal senso che Conte, in visita a Bruxelles, ha chiesto un'improbabile revisione del patto di stabilità durante il mandato della nuova Commissione, e intanto quantomeno lo scorporo da esso degli investimenti per lo sviluppo dell'economia verde. D'altra parte la nomina di due uomini di provata fedeltà europeista, come l'ex ministro degli Esteri ed ex premier Gentiloni, e il neo ministro del Tesoro, Gualtieri, super conosciuto e apprezzato da anni a Bruxelles, dovrebbe essere la garanzia che il nuovo governo italiano, al contrario del precedente, intende chiedere la "flessibilità" ma "rispettando le regole" attualmente ancora in vigore.
In ogni caso, anche se al nuovo governo venisse la tentazione di forzarle, ci ha pensato la neo presidente ad avvertirlo che anche se il vento politico nei suoi confronti è cambiato, non per questo esso si deve fare illusioni che sia cambiato più di tanto anche quello economico: "La flessibilità è chiara all'interno delle regole", ha detto la von der Leyen, aggiungendo che "Gentiloni conosce le sfide", così come il ministro Gualtieri "conosce molto bene gli accordi presi a livello delle istituzioni europee provenendo dal parlamento Ue, e perciò è al corrente delle aspettative verso l'Italia e credo che raggiungeremo questo equilibrio tra progresso e tali aspettative nel quadro concordato in Europa".
Del resto, nella lettera di incarico a commissario era stata molto chiara con Gentiloni, al quale aveva scritto: "Gli attuali livelli di debito (dell'Italia, ndr) sono una fonte di rischio. Dovrai guardare come affrontare i livelli di debito pubblico e privato. Dovrai assicurare l'applicazione del patto di stabilità, usando la piena flessibilità consentita dalle regole". La strada di Gentiloni nei confronti dell'Italia è perciò tracciata rigidamente dal patto di stabilità, che non può essere violato, salvo la "flessibilità" consentita a tutti i governi, che vale circa 10-12 miliardi al massimo. Ogni miliardo in più che serve alla manovra il governo cercherà di trovarlo spremendolo ai lavoratori e alle masse popolari, attraverso il solito armamentario: tagli alla spesa, aumenti fiscali e tariffari, privatizzazioni e svendita del patrimonio pubblico.
Un rinnegato opportunista avvezzo al trasformismo
Non abbiamo dubbi che Gentiloni saprà stare a questo gioco, anzi c'è il rischio che per fugare ogni sospetto di parzialità verso il suo Paese cerchi di dimostrarsi più rigido dello stesso Dombrovskis. Da lui c'è da aspettarsi questo ed altro, visto il suo curriculum da politicante borghese opportunista avvezzo al trasformismo e a seguire sempre la direzione del vento.
Di origini nobili e formazione cattolica, infatti, il conte Paolo Gentiloni Silveri ha cominciato il suo percorso politico da "maoista", quando frequentava il liceo romano Tasso, uno dei centri della Grande Rivolta del Sessantotto, fino a diventare all'università un dirigente del Movimento lavoratori per il socialismo (MLS, che si definiva "marxista-leninista") diretto da Mario Capanna, Salvatore Toscano e Luca Cafiero. Per poi, dopo essersi dedicato per qualche tempo al giornalismo, aver buttati definitivamente alle ortiche gli "ardori rivoluzionari" giovanili e aver militato nell'area radicale e ambientalista, diventare assessore al Giubileo nella giunta di Rutelli e fondare insieme a lui il partito cattolico-liberale centrista della Margherita, diventandone un dirigente di spicco.
Un altro consistente salto politico lo fa diventando ministro delle Telecomunicazioni nel secondo governo Prodi, dove si distingue per non fare assolutamente nulla contro il monopolio Mediaset e il conflitto di interessi di Berlusconi; finché, dopo l'adesione al PD, finisce alla corte di Renzi di cui diventa uno dei consiglieri più fidati, tanto che quando quest'ultimo va al governo lo vuole come ministro degli Esteri. Così come lo vuole presidente del Consiglio del nuovo governo che gli succede dopo la sconfitta al referendum del dicembre 2016, nella convinzione che continuerà a servirlo e a governare in sua vece.
Ma l'ambizioso Gentiloni è troppo abituato a cavalcare l'onda per adattarsi a fare il burattino di un ex vincente, e comincia a smarcarsi da lui e investire nel suo futuro politico da realizzare non appena se ne presenterà l'occasione. Intanto, dopo la fine del suo governo, accetta la carica di presidente del PD di Zingaretti, in attesa che maturino le condizioni per un salto ulteriore. Già come ministro degli Esteri, e poi come premier, aveva curato assiduamente molte relazioni politiche a livello internazionale, e in particolare a Bruxelles, coltivando la sua immagine di politicante di lungo corso di provata fedeltà atlantica ed europea. E l'occasione di metterle a frutto gli si è presentata con la crisi d'agosto e la formazione del Conte-bis. E pensare che si era detto contrario all'accordo col M5S e favorevole alle elezioni, contando di essere il candidato premier del PD, ma da quel trasformista e opportunista che è ha fatto prestissimo ad adattarsi alla nuova situazione e ad accettare di essere il candidato della nuova maggioranza per la carica di commissario europeo spettante all'Italia.
D'altronde egli non è il solo "marxista-leninista" rinnegato premiato dalla classe dominante borghese. Anche Giovanni Tria, il ministro dell'Economia del governo dei fascisti del XXI secolo, era "maoista". Figlio di un dirigente di Confindustria, quando frequentava il prestigioso liceo romano Virgilio, molto prima di diventare un economista liberale molto apprezzato dai craxiani e da Forza Italia, militava tra i "maoisti" di Stella Rossa. Lui stesso, infatti, aveva confessato a "Il Fatto Quotidiano" del 30 aprile 2019: "Da giovane ero maoista, di estrema sinistra, poi di idee liberali". Negli anni '70, per due anni, ha lavorato per le traduzioni in italiano presso le Edizioni in lingue estere di Pechino.
27 novembre 2019