Sentenza della Corte costituzionale
“L'aiuto al suicidio non è reato”
Adesso occorre una legge per il diritto al suicidio assistito e all'eutanasia
Lo scorso 25 settembre l'ufficio stampa della Corte costituzionale - anticipando il dispositivo della sentenza di quest'ultima, relativa alla vicenda del suicidio assistito di Fabiano Antoniani, che fu accompagnato in Svizzera per morire dall'esponente radicale Marco Cappato - ha scritto che “la Corte ha ritenuto non punibile ai sensi dell’articolo 580 del codice penale, a determinate condizioni, chi agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di un paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche che egli reputa intollerabili ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli”
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“In attesa di un indispensabile intervento del legislatore
– continua il comunicato dell'ufficio stampa della Consulta - la Corte ha subordinato la non punibilità al rispetto delle modalità previste dalla normativa sul consenso informato, sulle cure palliative e sulla sedazione profonda continua (articoli 1 e 2 della legge 219/2017) e alla verifica sia delle condizioni richieste che delle modalità di esecuzione da parte di una struttura pubblica del SSN, sentito il parere del comitato etico territorialmente competente. La Corte sottolinea che l’individuazione di queste specifiche condizioni e modalità procedimentali, desunte da norme già presenti nell’ordinamento, si è resa necessaria per evitare rischi di abuso nei confronti di persone specialmente vulnerabili”
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In altre parole, la Corte costituzionale ha già ritenuto - e si è in attesa di leggere le motivazioni che emergeranno dalla lettura della sentenza, che sarà pubblicata entro breve - che chi aiuta a porre termine alla propria vita un soggetto che - pienamente capace di intendere e volere, affetto da patologie gravissime e irreversibili che siano fonte di sofferenze da lui ritenute insopportabili - non commette il reato previsto dall'articolo 580 del codice penale, ossia istigazione o aiuto al suicidio, per cui è prevista una pena fino a 12 anni di reclusione per cui agevola il suicidio di una persona maggiore di 14 anni e non inferma di mente.
Si tratta certamente di una decisione storica, che va soprattutto a evidenziare, più che a colmare, un gravissimo vuoto giuridico dell'ordinamento italiano, e non a caso la Corte costituzionale ha espressamente invitato il legislatore a emanare le dovute norme in tema di suicidio assistito e di eutanasia che la stessa ritiene ormai non più procrastinabili, in quanto, ovviamente, non può che essere il Parlamento a emanare una legge che faccia chiarezza sul punto e garantisca la libertà di scelta per coloro che si trovino in condizioni fisiche tali da ritenere ormai la vita un peso insopportabile.
Anche all'interno del mondo cattolico, i cui vertici sono da sempre contrari a qualsiasi provvedimento di legge che autorizzi suicidio assistito ed eutanasia, ci sono voci che si levano a favore di una legge in tal senso: nelle stesse ore in cui la Consulta pubblicava la sua nota sul giornale La Nuova Venezia veniva pubblicata una lettera aperta di Gianfranco Bastianello - cattolico praticante, 63 anni, da 10 anni tetraplegico a causa della sla - a papa Francesco: “Il diritto di vita o di morte lo ha solo Dio? Ma Dio
- afferma Bastianello rivolgendosi direttamente a Francesco - oltre il sopportabile non lo può permettere. La vita è sacra? Ma che sacralità c'è in questa sofferenza sempre non voluta e cercata? Nulla di sbrigativo e di comodo, ma solo il momento di scegliere, l'unica scelta”
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La vicenda che ha portato alla recente decisione della Corte costituzionale era iniziata a febbraio del 2017, quando Marco Cappato, attivista radicale e tesoriere dell'Associazione Luca Coscioni, accompagnò in una clinica svizzera il quarantenne Fabiano Antoniani (ex disc jockey conosciuto con il nome d'arte di Dj Fabo) in quanto quest'ultimo - da anni in condizioni fisiche gravissime in seguito a un'incidente stradale - aveva inequivocabilmente espresso, in piena lucidità mentale, il desiderio di morire, e fu lui stesso, mordendo un pulsante che gli iniettò nell'organismo un farmaco letale, che provocò volontariamente la propria morte.
Della dolorosa vicenda di Antoniani, e di tutte le problematiche giuridiche connesse, si era immediatamente occupato il nostro giornale con un ampio articolo (si veda Il Bolscevico n. 10/2017), e in seguito, al suo rientro in Italia, Cappato si era autodenunciato presso la Procura della Repubblica di Milano accusandosi di aver commesso il reato di istigazione e aiuto al suicidio.
La Procura di Milano, inizialmente, aveva chiesto l'archiviazione dell'attivista radicale, ma il Giudice per le indagini preliminari non accoglieva tale richiesta e ordinava alla stessa Procura di formulare l'imputazione coatta nei confronti di Cappato contestandogli, appunto il reato in questione.
Iniziato il processo a carico dell'attivista dinanzi alla Corte d'Assise di Milano, il Pubblico Ministero chiedeva quindi di sollevare la questione di legittimità costituzionale dell'art. 580 c.p. nella parte in cui ancora prevede la punibilità di coloro che agevolano l'eutanasia di un soggetto, malato terminale, che ha compiuto consapevolmente la scelta di procedere all'eutanasia ma non è materialmente in grado di compierla da solo, come era accaduto all'Antoniani.
La Corte d'Assise, con ordinanza del 14 febbraio 2018, sollevava pertanto la questione di legittimità costituzionale dell'art. 580 c.p. dinanzi alla Corte costituzionale, con censure che riguardavano sia l'ambito di applicazione della norma censurata (la quale incrimina anche le condotte di aiuto al suicidio che non abbiano contribuito a determinare o a rafforzare il proposito della vittima) sia il trattamento sanzionatorio riservato a tali condotte (in quanto punite, anche se non vi è stata determinazione o rafforzamento del proposito suicidiario) con la medesima, severa pena prevista per le più gravi condotte di istigazione.
Bisogna ricordare, infatti, che Fabiano Antoniani, per quanto ormai tetraplegico e cieco, era comunque totalmente lucido di mente e la decisione di voler morire fu presa autonomamente da lui stesso senza interferenze esterne.
Nella sua articolata ricostruzione del quadro normativo nell'ambito dell'ordinanza di rimessione del procedimento alla Corte costituzionale, la Corte d'Assise di Milano prendeva peraltro in esame le novità introdotte dalla legge 22 dicembre 2017, n. 219, sul tema del biotestamento, una normativa frutto di compromesso politico tra laici e cattolici, tutt'altro che chiara e univoca, sulla quale il nostro giornale aveva preso una netta posizione di critica (si veda Il Bolscevico n. 4/2018): secondo i giudici milanesi i principi costituzionali che hanno ispirato la formulazione e l'approvazione della legge n. 219/2017 dovrebbero orientare anche l'interpretazione dell'art. 580 c.p. nell'individuazione del bene giuridico tutelato e delle condotte idonee a lederlo, per cui il riconoscimento del diritto di ciascuno di decidere di porre fine alla propria esistenza induce a ritenere punibili ai sensi dell'articolo 580 del codice penale solo le condotte che “in qualsiasi modo“ abbiano alterato la volontà del soggetto che va incontro al suicidio, impedendogli così di pervenire in modo consapevole e ponderato a tale scelta. Per cui, secondo la ricostruzione della Corte d'Assise di Milano, le condotte di agevolazione dell'esecuzione del suicidio, che non incidano sul percorso deliberativo dell'aspirante suicida, non sarebbero punibili.
La Corte costituzionale, prima di emanare la sentenza anticipata dalla nota dell'ufficio stampa del 25 settembre, aveva emesso l'ordinanza n. 207 il 18 novembre 2018, nella quale sottolineava che l’incriminazione dell’aiuto al suicidio non potesse essere necessariamente ritenuta incompatibile con la Costituzione, e che situazioni come quella di Dj Fabo erano ovviamente - secondo le testuali parole usate nell'ordinanza - “inimmaginabili all’epoca in cui la norma incriminatrice fu introdotta, ma portate sotto la sua sfera applicativa dagli sviluppi della scienza medica e della tecnologia, spesso capaci di strappare alla morte pazienti in condizioni estremamente compromesse, ma non di restituire loro una sufficienza di funzioni vitali”
: in altre parole la Corte costituzionale sostiene che nel 1930, quando fu emanato il codice penale vigente (il quale contiene il reato previsto dall'articolo 580 di cui si discute), la scienza medica non poteva neppure immaginare la possibilità di poter tenere in vita per anni e decenni persone reduci da gravi incidenti come quello occorso a Fabiano Antoniani, il quale realmente se avesse avuto un infortunio nel 1930 sarebbe vissuto per poche ore o al massimo per pochi giorni prima di morire inesorabilmente a causa dei postumi dell'incidente, senza che nulla al mondo potesse aiutarlo.
Ma già dagli ultimi decenni del XX secolo e a maggior ragione oggi i progressi della scienza medica sono stati tali da garantire la sopravvivenza fisica di persone vittime anche da gravissimi infortuni, ma non di garantire loro l'uso, anche parziale, degli arti, della vista, dell'udito, della parola e di altre fondamentali funzioni, senza le quali la persona, pur restando lucida mentalmente, resta totalmente inferma e totalmente dipendente da altri per poter sopravvivere.
La Corte costituzionale infatti, in quella ordinanza interlocutoria aveva già individuato la particolarità della situazione in cui, secondo quanto essa stessa scriveva, l'individuo accompagnato nella sua scelta di suicidio sia “persona (a) affetta da una patologia irreversibile e (b) fonte di sofferenze fisiche o psicologiche, che trova assolutamente intollerabili, la quale sia (c) tenuta in vita a mezzo di trattamenti di sostegno vitale, ma resti (d) capace di prendere decisioni libere e consapevoli”
, ed è proprio in situazioni come queste che, così ragionava la Consulta, l’assistenza di terzi nel porre fine alla sua vita può presentarsi al malato come “l’unica via d’uscita“ per sottrarsi, nel rispetto del proprio concetto di dignità della persona, a un mantenimento artificiale in vita non più voluto e che egli ha il diritto di rifiutare in base al secondo comma dell'articolo 32 della Costituzione.
Per cui, così argomentava la Corte costituzionale, se chi è mantenuto in vita da un trattamento di sostegno artificiale è considerato dall’ordinamento in grado, a certe condizioni, di prendere la decisione di porre termine alla propria vita tramite l’interruzione di tale trattamento, non si comprende perché il medesimo soggetto debba essere ritenuto viceversa bisognoso di una ferrea e indiscriminata protezione contro la propria espressa e inequivoca volontà quando si discuta della decisione di concludere la propria esistenza con l’aiuto di altre persone.
La Corte costituzionale, pertanto, aveva da quasi un anno sollevato la grave questione del suicidio assistito e dell'eutanasia, ma il Parlamento non ha fatto nulla nel frattempo, e ora, con la decisione annunciata il 25 settembre, la questione è diventata indifferibile, per cui serve una legge che disciplini tali dolorose ipotesi, e al più presto.
27 novembre 2019