Netanyahu incriminato per corruzione, frode e abuso d'ufficio
Non aveva ancora finito di esultare per il fallimento del suo avversario Benny Gantz nel tentativo di formare il nuovo governo a Tel Aviv che su Benjamin Netanyahu, leader del Likud nonché premier uscente, pioveva il 22 novembre l’annuncio dell’incriminazione da parte del procuratore generale Avichai Mandelblit per corruzione, frode e abuso d'ufficio. Denunciare il complotto e rilanciare in vista delle probabili nuove elezioni anticipate nel marzo del prossimo anno con al centro il progetto di realizzare “opportunità storiche come l’annessione della Valle del Giordano”, era la risposta a caldo del leader nazisionista che anzitutto puntava a rimanere incollato sulla poltrona governativa, nell'esecutivo che resterebbe comunque provvisoriamente in carica, dalla quale difendersi con maggiore efficacia.
L'accusa di corruzione del procuratore generale si riferisce all'elargizione per anni di oltre 250 milioni di dollari transitati dal ministero delle Telecomunicazioni all'azienda telefonica Bezeq, proprietaria di un sito web di news, in cambio di trasmissione di notizie a lui favorevoli. Una operazione sporca che secondo il procuratore Netanyahu avrebbe tentato anche con un boss dell'informazione, Aron Mozes, con la promessa di modifiche legislative favorevoli che hanno portato all'accusa di abuso d’ufficio. Il terzo capo di imputazione, la frode, è simile allo scandalo che ha già portato nel giugno scorso alla condanna della moglie Sara per aver usato circa 45 mila euro di denaro pubblico per spese personali, compreso il pagamento di lavoratori della residenza del primo ministro assunti in maniera illegale; la procura accusa il premier in carica dal 2009 di aver ricevuto regalie per quasi 200 mila dollari tra sigari, gioielli e champagne in cambio di visti d’ingresso e altri favori.
Nello scorso aprile il leader sionista, questo “campione” della democrazia, aveva tentato di far passare in parlamento una nuova legge sull’immunità che gli poteva tornare utile per uscire anzitempo dall'inchiesta. Era una proposta troppo scandalosa persino per il suo partito e Netanyahu fu costretto a accantonarla.
Secondo la legge sionista un premier sotto accusa deve dimettersi solo alla condanna definitiva in terzo grado, che arriverà se arriverà fra qualche anno. Intanto Netanyahu può continuare a guidare la politica nazisionista antipalestinese del regime di Tel Aviv, con la copertura degli amici imperialisti da Trump agli europei; in fondo l'attacco dei rivali parlamentari verteva solo sulle questioni delle indagini che lo hanno intressato e non certo sui massacri a Gaza e Cisgiordania, sullo sviluppo delle colonie, sulla negazione dei sacrosanti diritti dei palestinesi.
4 dicembre 2019