In visita a Hiroshima
Il papa: “Immorale l'arma atomica”
Lo scorso 24 novembre il viaggio diplomatico in Tailandia e Giappone di Papa Bergoglio ha fatto tappa nelle città giapponesi di Nagasaki e Hiroshima, le due città distrutte dalla bomba atomica dell'imperialismo americano rispettivamente il 9 e 6 agosto 1945. Due luoghi dai quali il Papa ha voluto rilanciare la sua condanna delle armi atomiche del 2017.
A Nagasaki sosteneva che “qui, in questa città non saranno mai abbastanza i tentativi di alzare la voce contro la corsa agli armamenti”, con un inaccettabile spreco di risorse, “nel mondo di oggi dove milioni di bambini e famiglie vivono in condizioni disumane, i soldi spesi e le fortune guadagnate per fabbricare, ammodernare, mantenere e vendere le armi, sempre più distruttive, sono un attentato continuo che grida al cielo”, una condanna che utilizza la fraseologia religiosa per definire il commercio delle armi un peccato grave, quelli che “gridano al cielo”.
A Hiroshima ribadiva che “l’uso dell’energia atomica per fini di guerra è, oggi più che mai, un crimine, non solo contro l’uomo e la sua dignità, ma contro ogni possibilità di futuro nella nostra casa comune. L’uso dell’energia atomica per fini di guerra è immorale. Ed è anche immorale il possesso delle armi atomiche”, con una condanna che unisce i maggior paesi imperialisti, costruttori di armi nucleari, come Stati Uniti, Russia, Francia, Cina, Gran Bretagna, Pakistan, India, Corea del Nord e i sionisti di Tel Aviv che fanno finta di non averle, e i paesi che le ospitano come Italia, Germania, Belgio, Olanda e Turchia. Tutti uniti nel far finta di non aver sentito nulla.
Eppure la condanna di papa Francesco era a tutto campo compresa la definizione che “la pace e la stabilità internazionale sono incompatibili con qualsiasi tentativo di costruire sulla paura della reciproca distruzione o su una minaccia di annientamento totale”, perché è evidente che non è possibile “proporre la pace se usiamo continuamente l’intimidazione bellica nucleare come ricorso legittimo per la risoluzione dei conflitti”.
Il 27 novembre all'udienza generale a Roma Papa Francesco ricordava che in Giappone aveva “ribadito la ferma condanna delle armi nucleari e dell’ipocrisia di parlare di pace costruendo e vendendo ordigni bellici”, confermando il ritorno del Vaticano a una politica di condanna della guerra, come quella espressa nel 1965 dal suo predecessore fatto “santo”, Paolo VI, quando gridò mai più guerre dal palco dell’Assemblea generale dell’Onu a New York che nel frattempo l'altro papa Wojtyla, Giovanni Paolo II, aveva cambiato a favore delle guerre umanitarie imperialiste. Il limite della denuncia di papa Francesco rimane quello di ridursi a una testimonianza seppur importante che non va oltre l'invito ai leader politici imperialisti a cambiare la rotta verso il riarmo in generale e quello nucleare in particolare, nel quale da Trump e Putin a Xi sono impegnati a tempo pieno.
18 dicembre 2019