Frana l'Italia: 20 ponti a rischio
I pm di Genova: “Grave degrado, Autostrade non ha il polso della sicurezza”
All'indomani del crollo del viadotto “Madonna del Monte” sulla A6 ed a quindici mesi da quello del ponte “Morandi” di Genova, la procura del capoluogo ligure ha presentato una inchiesta dalla quale emergono dati sconcertanti circa lo stato di salute dei viadotti della rete autostradale del nostro Paese. Una indagine sulla cui necessità si era parlato subito dopo il crollo del “Morandi” coi suoi 43 morti, purtroppo ormai a disastro avvenuto e quindi in colpevole ritardo per il gestore (Autostrade per l'Italia) che ha il compito di monitorare lo stato di salute delle infrastrutture che gestisce.
L'inchiesta della Procura
Stavolta la procura di Genova ha evidenziato lo stato di degrado di 20 viadotti, 18 dei quali sulle autostrade di Liguria e Piemonte ai quali si aggiungono il “Paolillo”, sulla Napoli-Canosa di Puglia ed il “Moro”, a Pescara, sulla Bologna- Taranto.
“Sono come un balcone con la parte sopra piastrellata e la soletta sottostante completamente sgretolata”, ha affermato il procuratore capo, Francesco Cozzi, evidenziando come ad esempio sia il “Pecetti” che il “Fado” in Liguria, nella trimestrale pubblicata da Aspi ad ottobre, non figurano neppure con un voto 50, di basso rischio, nonostante per i consulenti tecnici della Procura, sarebbero da classificare a 70, cioè di pericolo elevato.
L'affermazione del PM Walter Cotugno, titolare dell'inchiesta sui falsi report di Autostrade, è una sintesi che non lascia adito a dubbi: “Autostrade e Spea, delegata al monitoraggio, non hanno il controllo sulla sicurezza dei viadotti”. Insomma, una rete malata le cui reali condizioni erano state finora tenute nascoste con rapporti ammorbiditi e false dichiarazioni di ispezioni.
Una condizione ora certa, ma nota da mesi, a fronte della quale proprio la Commissione Toninelli, ex ministro pentastellato, aveva escluso la possibilità di revoca della concessione ad Autostrade per evitare l’apertura di contenziosi.
Alla luce di quanto emerge ufficialmente oggi, Conte è tornato sul tema, ma ancora nulla è certo, poiché tanto è il potere economico e politico del colosso Benetton, al quale nel 1999 il governo D'Alema a seguito dell'avvio delle privatizzazioni di una serie di asset dell'IRI – ex titolare statale della rete autostradale -, consegnò la gestione, la manutenzione, ma soprattutto la remunerazione delle tariffe ed il potere decisionale delle tariffe stesse, su di un piatto d'argento.
Quasi seimila fra ponti e viadotti a rischio
Precedentemente al crollo del ponte “Morandi”, l'Istituto di tecnologia delle Costruzioni del CNR in un suo rapporto, indicava una serie di viadotti con condizioni strutturali preoccupanti, incluso il “Morandi” stesso.
Dopo il crollo del “Morandi”, anche un dossier dell'Unione delle Province Italiane (UPI) aveva registrato la necessità di intervenire su ben 5.931 strutture delle quali duemila circa avrebbero avuto necessità di interventi urgenti; un quadro catastrofico, monito di conseguenze incalcolabili per la popolazione del nostro Paese.
Il rapporto dell'UPI traccia una linea comune su tutta la penisola, segnalando ad esempio 328 criticità in Piemonte, 334 in Lombardia, 171 in Campania, 174 in Calabria e 153 in Puglia, indicando poi ben 14mila opere da sottoporre in tempi brevi a indagini tecnico diagnostiche.
Dopo il disastro di Genova, anche le Regioni si sono messe in azione per esaminare ponti e viadotti, e ad esempio in Toscana sono stati individuati 164 strutture che, in base a criteri oggettivi come l’anno e il tipo di tecnologia di costruzione usata, le dimensioni, e l’usura a cui sono quotidianamente sottoposti, avrebbero necessità di approfondimenti.
In sostanza in Italia non c'è tratta, sia autostradale che statale o provinciale, che non sia soggetta a rischio.
Controlli zero, profitti massimi
In base all’articolo 14 del Codice della strada “la verifica strutturale delle opere in concessione è compito del concessionario”. Ecco la norma borghese, che evidenzia con chiarezza che questa legge, così come tutto l'impianto legato alle concessioni, serva più al profitto che alla sicurezza ed al servizio per la popolazione. Questa “anomalia” della logica e della buonafede, secondo la quale il controllore coincide con il controllato, non è un caso isolato, ma la troviamo in vigore in pressochè tutti i settori strategici, a partire ad esempio dalle Banche - centrali nel capitalismo - soggette a controlli di altre società di revisione da loro stesse pagate e solo di tanto in tanto da organismi terzi, seppur sempre interni al sistema bancario nazionale ed internazionale.
Insomma, la rete dei controlli sullo stato di salute di autostrade, ponti e viadotti italiani è per ammissione dei suoi stessi protagonisti un colabrodo che fa acqua da tutte le parti.
In teoria, anche lo Stato ha un ruolo di controllo, che però è esercitato da sempre con l'accortezza di non dar troppo fastidio ai gestori, se è vero che anche ANAS fino al 2013 e successivamente il Ministero dei Trasporti con la sua “Direzione per la vigilanza sulle concessioni” (DVC), ha dovuto fare i conti con personale scarso, rimborsi delle spese di viaggio che gli ispettori anticipano, in ritardo anche di 6 mesi.
Tutto ciò ha comportato una flessione delle ispezioni della DVC dalle 1.400 del 2011 alle 496 del 2014.
Anche la Ansfisa, la nuova cabina di regia per i controlli sulle autostrade lanciata da Toninelli, non esiste: non c'è uno statuto, né un regolamento, né una sede. Una vergogna.
In compenso, Atlantia (Gruppo Autostrade per l’Italia) chiude i bilanci da tempo con utili miliardari.
A fianco del malaffare c'è la manutenzione del territorio
Qualche giorno fa il Consiglio Nazionale del Geologi (CNG) ha stimato che “circa il 90% delle problematiche legate alle infrastrutture italiane sono determinate non da fattori strutturali, bensì da criticità idrogeologiche”.
In una intervista ad un quotidiano nazionale, il prof. Masciocco, fra le tante, ha rilasciato alcune dichiarazioni che fanno luce – o meglio ribadiscono con forza – sulle cause che in continuazioni generano le tante sciagure ambientali che si verificano nel nostro Paese, inclusi i problemi alla stabilità dei viadotti autostradali.
Su tutte, l'esperto le individua nell'edilizia incontrollata, abitazioni, capannoni o pilastri dei viadotti che siano, in aree a rischio idrogeologico, vicine ai corsi d'acqua o agli impluvi; “La responsabilità è dell’ingordigia dell’uomo che vuole costruire e speculare su terreni pericolosi” ha aggiunto. Noi diremmo che la responsabilità è dell'ingordigia dei capitalisti, anziché dell'uomo in generale, ma il senso è chiaro.
Secondo Masciocco, l'Italia non ha bisogno di grandi opere inutili, ma di leggi forti che impediscano di edificare in zone pericolose e, al pari, di tante piccole strutture per mantenere in ogni territorio l'acqua che arriva in eccesso durante le piogge, come piccole dighe in collina ed in montagna e casse di espansione in pianura.
Siamo d'accordo nel merito della questione; aggiungiamo però che affinché siano effettivamente investiti soldi pubblici in questa direzione, serve un sistema economico diverso, slegato e nemico degli interessi privati e della speculazione che oggi – a parte i buoni propositi regolarmente disdetti – regolano tutto il resto, ambiente ed infrastrutture comprese.
Serve dunque il socialismo poiché ormai anche una misura indispensabile come la ripubblicizzazione dei servizi di gestione e di manutenzione della rete autostradale, è resa impossibile dagli interessi del capitalismo stesso che influenzano e dirigono nella pratica il parlamento e tutti gli organi di uno Stato borghese complice.
24 dicembre 2019