L'europarlamento approva l'Accordo verde sull'ambiente
Il Green Deal strumento della Ue per salvaguardare i profitti capitalistici
Risorse insufficienti e regole di attribuzione poco chiare. Ignorati mari e foreste. Ambientalisti delusi dall'inconsistenza del provvedimento
Legare l'ambientalismo alla lotta di classe per il socialismo
L'interesse delle masse sulle questioni climatiche, e in particolare sul riscaldamento del Pianeta, è costantemente in crescita. Sicuramente il 2019 appena terminato ha registrato la nascita del movimento giovanile internazionale del Fridays for Futures capace, sulla spinta dell'attivista svedese Greta Thunberg, di mobilitare milioni di studenti e non solo, smuovendo e facendo crescere le loro coscienze su di un tema così importante.
Tuttavia le iniziative governative e sovranazionali che si sono susseguite non hanno fatto nulla in concreto e, dopo il fallimento pratico dell'accordo di Parigi alla Cop21 del 2015, la recente conferenza di Madrid ha confermato che le istituzioni borghesi segnano il passo per non scontentare i profitti delle multinazionali, ancorati all'utilizzo delle dannosissime fonti energetiche fossili.
Di anno in anno, nonostante i ripetuti nulla di fatto, le masse coscienti e informate ripongono le proprie speranze nella prossima Cop26 ONU sul clima che si terrà a Glasgow, in Scozia, nel prossimo novembre. In molti l’hanno già definita come l’ultima occasione per evitare l’imminente catastrofe – etichetta che si rinnova di anno in anno senza mai essere sfruttata -; sicuramente sarà un appuntamento atteso dalle masse ambientaliste di tutto il mondo che chiedono a gran voce un cambio di passo, una nuova società (purtroppo ancora indefinita nelle sue caratteristiche generali) con nuovi valori e un nuovo modo di produrre e consumare, ridistribuire ricchezze e risorse. Grande coscienza ambientale dunque, ma poca coscienza di classe che impedisce a questo grandioso movimento di spiccare davvero il volo verso il raggiungimento di una società, quella socialista, che possa avere davvero certe caratteristiche che dominano sul profitto, cancellandolo assieme a tutte le sue drammatiche conseguenze ambientali e sociali.
I marxisti-leninisti oggi riconfermano il proprio ruolo, centrale affinchè questa coscienza maturi e le due lotte – per il socialismo e per l'ambiente – si fondano in una sola decisiva battaglia che non va temuta, al contrario di quanto scrivono alcuni giornali sedicenti comunisti che vedono “lo spettro della violenza dietro l'angolo” di fronte all'inerzia dei governanti borghesi, opposta alle richieste delle masse stesse.
L'Europa approva il Green Deal
Con 342 sì, 136 no e 95 astensioni, il Parlamento europeo ha recentemente approvato il cosiddetto Green Deal, l'”Accordo Verde”, che era stato presentato lo scorso novembre dalla presidente della Commissione Europea, Ursuka Von Der Leyen, che l'ha definito “un metodo al quale tutte le politiche della UE devono conformarsi, tenendo conto della relativa ambizione climatica”.
Tuttavia, come per quasi tutti gli accordi di carattere comunitario, l'iter non è affatto terminato poiché sarà compito degli Stati membri entrare nei dettagli, in particolare per quanto riguarda la questione, centrale, dei finanziamenti. L'ipotesi dovrebbe trasformarsi in legge nel prossimo marzo.
In sostanza, l'obiettivo finale della misura è la decarbonizzazione del vecchio continente al 2050, passando per una soglia del 55% da raggiungere nella riduzione di emissioni di gas a effetto serra nella UE entro il 2030, da ottenersi anche attraverso un “carbon border adjustment” per alcuni settori ed attraverso politiche comunitarie di digitalizzazione, network di infrastrutture di trasporto, fondi per le aree più deboli e un'azione politica coerente che però noi, fin ad oggi, abbiamo solo vista rilanciata sulla carta ma mai nella pratica.
I capisaldi del provvedimento sarebbero l'energia, l'industria e la mobilità pulite. Nel testo si legge che relativamente a questi tre aspetti, si renderebbe necessaria una maggiore “interconnessione” dell’Europa con una strategia concertata fra i vari Paesi membri che investa sull’eolico e le fonti rinnovabili. Per questo, sempre la Commissione, elaborerà un piano più ampio che introduca la neutralità climatica in particolare nel tessile e nell'edilizia, includendo l'elettronica e naturalmente il settore della meccanica; la via per la mobilità ad impatto zero dovrebbe passare attraverso il potenziamento su ferro ed elettrico, scoraggiando il carbone, limitando le emissioni aeree e navali e riformando il sistema di rifiuti a partire da ulteriori piani per la riduzione della plastica.
Sulla questione pesticidi la Commissione inizierà nel 2020 ad attuare la “Farm to Fork strategy” per ridurre trattamenti e sostanze chimiche nell’agricoltura, proteggendo la biodiversità e le foreste europee, limitare lo spreco di cibo e rivedere le norme per i grandi conglomerati industriali.
Ecco dunque servito dall'europarlamento al servizio del grande capitale internazionale e dell'imperialismo europeo, un nuovo testo formalmente attraente come lo sono stati gli altri in precedenza, ma dall'efficacia tutta da verificare. Inoltre è chiaro come il sole che tutto ciò potrebbe essere applicato solo confermando i profitti alle grandi banche ed alle grandi industrie di vario genere che oggi traggono i maggiori vantaggi economici proprio da questo modello di produzione, che sta facendo precipitare il pianeta ed i suoi abitanti a partire da quelli più poveri, nella fossa.
Teniamo ben chiaro questo aspetto dunque: tutto nel capitalismo è subordinato al profitto. Il Green Deal non farà eccezione. Fra l'altro, è paradossale che, nonostante abbia precisato che non investirà più in questo settore, fino alla fine dell'anno non sapremo se l'UE riterrà l'energia nucleare “verde” o meno (sic). Le pressioni di Repubblica Ceca e soprattutto Francia sono evidenti.
Il programma di finanziamento del Green Deal
Il primo e più importante elemento per la messa a terra dei propositi è senz'altro la questione finanziaria. La Commissione ha presentato al Parlamento il programma di finanziamento: il bilancio UE dovrebbe dedicare il 25% alla transizione energetica, circa 500 miliardi di euro, che deriveranno da un trasferimento del 40% dai Fondi di coesione e un altro 40% dalla Pac (politica agricola), più altri fondi da progetti specifici (Life). Aggiungendo 100 miliardi dal co-finanziamento della politica di coesione, la Commissione arriva a calcolare 600 miliardi, ai quali somma la successione del Piano Invest Europe di Juncker, dove i soldi europei servono da garanzia per ridurre i rischi legati a questo tipo di investimenti e attirare così i privati (praticamente i soldi pubblici europei garantiscono i privati per far loro realizzare profitti!).
Nella migliore delle ipotesi ci sarebbero 300 miliardi, come risultato “dell’effetto leva”, con partecipazione della Bei e altre istituzioni finanziarie che non fanno stare troppo tranquilli e mettono una seria ipoteca alla speculazione finanziaria.
L'ultimo pezzo di finanziamento dovrebbe arrivare da un fondo appena annunciato sulla “transazione giusta”. La sua dotazione di 7,5 miliardi di euro dovrebbe convincere i paesi reticenti come la Polonia (che assieme a Romania ed Ungheria a dicembre rifiutò l'approvazione del Green Deal), contenendo un effetto leva che prevede che per ogni euro di finanziamento Ue, la regione interessata dovrà investirne 1,5 e ci sarà un finanziamento nazionale tra il 30 e il 70% dei costi del progetto.
In sostanza la UE destina mille miliardi di euro per i prossimi 10 anni, cifra che è molto simile a quella contenuta nel piano Juncker della scorsa commissione, eppure uno studio relativo all’orizzonte 2030 aveva stabilito a 260 miliardi l’anno gli investimenti aggiuntivi necessari per raggiungere l’obiettivo di un calo delle emissioni intorno al 40% nei prossimi dieci anni (obiettivo che sta al di sotto dell’impegno della Cop21, di mantenere il riscaldamento climatico sotto 1,5°, che avrebbe bisogno di una riduzione di ben il 65% delle emissioni a effetto serra).
Tanto rumore per nulla allora? Sono davvero tanti soldi quelli stanziati da far intravedere un reale cambio di passo? No, sono pochi. Pochissimi. E a chi andranno?
Chi saranno i beneficiari dei fondi
Sulla carta, le regioni europee che hanno una maggiore intensità di emissioni di CO2, con attività che hanno una importante incidenza nell’occupazione locale e dove l’economia dipende in modo determinante dal carbone, dovrebbero essere i principali destinatari dei fondi. Le regole certe dovrebbero essere approvate nel prossimo marzo, ma già oggi possiamo dire che il maggiore beneficiario sarà la Polonia, se aderirà al “Green Deal” e se non sarà coinvolta nel procedimento per il rispetto dello Stato di diritto (art.7 che riguarda anche l'Ungheria), poi paradossalmente la Germania nonostante il suo budget nazionale in attivo di 13 miliardi, e a seguire Romania, Repubblica Ceca e così via fino al Lussemburgo, fanalino di coda.
L'Italia dovrebbe beneficiare di 364 milioni di euro anche se ne pagherà più del doppio in quote di contribuzione. Insufficiente.
Critiche le maggiori organizzazioni ambientaliste
Dalle più grandi ed importanti associazioni ambientaliste arrivano pareri contraddittori: si va dalla parziale soddisfazione di Legambiente alle pesanti critiche di Greenpeace passando per la diffidenza espressa dal WWF.
Legambiente attraverso il suo Vicepresidente Edoardo Zanchini, si limita a precisare che per la buona riuscita del progetto, le risorse dovrebbero essere ad esclusiva disposizione di quelle regioni che si impegnano a fondo per la completa decarbonizzazione, e destinati soprattutto alle comunità ed ai lavoratori colpiti dalla “transizione”. L'associazione preme l'acceleratore chiedendo anche più rapidità nell'abbandono di tutte le fonti fossili come carbone, e gas.
Ci va ancora più pesante Andreas Baumuller (WWF), sostenendo che "l'attenzione della Commissione sul ripristino della natura per la strategia per la biodiversità del 2030 va nella giusta direzione. Tuttavia, questo obiettivo rimarrà una promessa vuota fino a quando non saranno previsti investimenti significativi per realizzarlo, mobilitando sia il settore pubblico che quello privato (…) Per quanto riguarda la deforestazione al di fuori dell'Europa, l'impegno delle misure normative è limitato alla mera" promozione "di prodotti senza deforestazione. Ciò è insufficiente per ridurre efficacemente il massiccio impatto del consumo europeo su ecosistemi vulnerabili come la foresta amazzonica."
Sempre per il WWF, il responsabile delle finanze ha dichiarato: “A seguito di forti segnali recenti sul finanziamento sostenibile, compresa la decisione della BEI di interrompere il finanziamento dei combustibili fossili a partire dal 2021, il proposto piano di investimenti per l'Europa sostenibile di 1 trilione di EUR sembra essere un semplice riconfezionamento di iniziative esistenti senza alcun impegno per denaro aggiuntivo. Questo tentativo di vendere vino vecchio in nuove bottiglie non ha alcun valore aggiunto ed è profondamente fuorviante”.
Greenpeace infine critica pesantemente il piano e, attraverso le parole di Franziscka Achtemberg, sostanzialmente lo boccia senza appello. Rispondere alla crisi ecologica e ambientale richiede un ripensamento fondamentale del sistema economico che per decenni ci ha portato inquinamento, distruzione ambientale e sfruttamento delle persone. Questo piano appena scalfisce la superficie di un sistema marcio”.
Il Green Deal europeo è uno strumento per la transizione dei profitti
Insomma, il quadro che emerge è abbastanza chiaro. Le reazioni delle associazioni ambientaliste sono addirittura più pessimiste di quelle che esse stesse pronunciarono dopo la stesura dell'ormai famoso accordo di Parigi della Cop21, e questo la dice lunga sulla capacità di impatto che questo provvedimento avrà sull'ambiente e sul clima.
Finanze insufficienti e nessuna esclusione degli investimenti durevoli dal calcolo dei deficit nazionali che poco più di un mese fa all'abbozzo del progetto sembrava condizione discriminante per la sua buona riuscita, sono elementi troppo importanti per cancellare le perplessità.
Allo stesso modo, il fatto che ogni singolo Paese mantiene la libertà di recepire o meno la legge europea è una enorme incertezza che pesa come un macigno sul buon esito, nonostante stavolta sia il ghiotto denaro pubblico a poter eventualmente convincere – o meglio “comprare” - le economie carbonifere, senza però garantire che le intenzioni “verdi” di certi Paesi siano durevoli o semplicemente opportunistiche.
Queste incertezze, sommate alla mancanza di risorse necessarie e di regole certe di attribuzione, ne rappresentano il peccato originale.
Di una cosa siamo certi, ed è che il Green Deal europeo, assieme alla BCE e ai suoi partners finanziari, si occuperanno presto e bene di dare alle grandi aziende ed alle banche, quegli strumenti per “transare” i propri interessi dalle fonti fossili in esaurimento (ed effettivamente da ridurre soprattutto per una opinione delle masse ormai ben determinata), alle rinnovabili, il che indirettamente sarà utile all'ambiente ma in maniera parziale, insufficiente e subordinata agli interessi capitalistici.
Sullo sfondo invece rimarranno le problematiche dei paesi più poveri che dovranno ancora accontentarsi di spiccioli, e che continueranno a combattere da soli le proprie problematiche derivanti dagli impatti ambientali del paesi capitalisti più ricchi della grande industria e delle multinazionali.
D'altra parte un sistema non inverte o sostituisce se stesso, ma cerca invece di consolidarsi con qualsiasi strategia, a partire dal controllo dell'opinione delle masse; far capire che in questo modo, con il Green Deal, “ce la possiamo fare” è di fondamentale importanza, anche se tra cinque anni – come è successo nei decenni precedenti – un nuovo inganno presentato come panacea di tutti i mali sostituirà l'attuale in completo fallimento e ne farà le veci per qualche anno ancora.
La questione di fondo è sempre la stessa, ed è il socialismo, poiché solo senza profitto potremo rispettare davvero gli esseri umani e l'ambiente che li circonda.
22 gennaio 2020