Al-Salbi nuovo califfo dello Stato islamico
Gli jihadisti combattono l'imperialismo francese nel Sahel
Il nuovo califfo dello Stato islamico (IS) si chiama Amir Mohammed Abdul Rahman al-Mawli al-Salbi, noto col nome di battaglia di Haji Abdullah e altri pseudonimi, secondo quanto reso noto il 20 gennaio dal quotidiano britannico The Guardian
sulla base di quanto rivelatogli in esclusiva da “rappresentanti di due servizi di intelligence”. La notizia non è stata confermata, ma neanche smentita, da comunicati dell'IS che peraltro già nel 2014 aveva reso noto ufficialmente dopo alcuni mesi l'identità del predecessore Abu Bakr al-Baghdadi, ucciso nel raid Usa del 27 ottobre 2019.
Al-Mawli al-Salbi è iracheno, nato nella cittadina di Tal Afar, presso Mosul, in una famiglia di etnia turcomanna, ha esperienze come ideologo del movimento dopo aver conseguito una laurea nella sahria, la legge islamica, all'Università di Mosul, e come comandante militare. È uno dei membri fondatori dell’IS nel luglio 2014. Partecipante alla resistenza contro l'occupazione imperialista del paese con le formazioni di al-Qaeda in Iraq, era stato arrestato e aveva conosciuto Abu Bakr al-Baghdadi nel 2004 nel campo di prigionia americano di Camp Bucca, nel distretto di Bassora. Sulla sua testa l'imperialismo americano ha messo una taglia da 5 milioni di dollari ed era già attivamente ricercato in Iraq, in Siria e in Turchia dove vive una parte della sua famiglia. Dalle notizie raccolte dal quotidiano inglese risulterebbe che non avesse seguito al Baghdadi nella provincia siriana di Idlib e si trovi nelle zone a ovest di Mosul, verso il confine tra Siria e Iraq dove sono ancora attive le milizie jihadiste.
In quelle zone dove, anche secondo i comunicati delle forze curde nel nord dell'Iraq, sono rimaste formazioni dell'IS che sono sempre più attive nel centro e nel nord del paese dove hanno effettuato un centinaio di attacchi solo tra il 20 e il 26 dicembre per vendicare la morte di al Baghdadi. Un alto funzionario dei servizi curdo iracheno dichiarava che “abbiamo assistito a un significativo aumento degli attacchi dell'Isis da metà dell'anno scorso, con il centro di gravità che ora si è spostato più a sud. Stiamo monitorando in media 60 attacchi al mese attraverso omicidi, bombe lungo la strada e assalti alle forze di sicurezza irachene”. E sottolineava che “le loro reti rurali rimangono molto intatte; dopo tutto, i membri dell'Isis in Iraq ricevono ancora stipendi mensili e formazione in remote aree montuose. Quella rete consente all'organizzazione di resistere, anche dopo la sconfitta militare”, della caduta delle capitali Raqqa e Mosul in Siria e Iraq e la liquidazione territoriale dell'IS.
Tanto che il 27 gennaio con un messaggio audio registrato probabilmente dal portavoce, Abu Hamza al-Quraishi, il nuovo Califfo incoraggiava i combattenti a “lanciare una nuova fase” e annunciava importanti operazioni contro Israele.
L'IS non è stato affatto cancellato in Siria e Iraq e si sta rafforzando in altre regioni, come l’Africa sub-sahriana, nel Sahel dove gli jihadisti combattono anzitutto l'imperialismo francese che vuol continuare a controllare i paesi che una volta erano sue colonie.
Le recentissime dichiarazioni del segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, del 23 gennaio mettevano in evidenza che l'ulteriore deterioramento della sicurezza nella regione del Sahel, leggi il controllo imperialista, è “allarmante”. L'ultima relazione Onu sulla situazione nella regione, a inizio gennaio, evidenziava che le perdite di militari governativi di Niger, Ciad, Burkina Faso, Nigeria e Camerun erano più che raddoppiate rispetto ai tre mesi precedenti negli attacchi. Un dato confermato il 10 gennaio quando in un attacco jihadista nel campo di Chinégodar, vicino al Mali, morivano 89 soldati dell'esercito nigeriano. L'attacco era condotto da formazioni di Boko Haram, ora diramazione dello Stato Islamico nel Grande Sahara (Iswap in inglese).
Se Macron rilanciava l'intervento militare dell'imperialismo fancese nei cinque paesi del Sahel convocandone i presidenti per il vertice di Pau del 13 gennaio e inviando altre centinaia di soldati a rafforzare il contingente di oltre 4 mila già presente, Iswap rispondeva con un attacco il 21 gennaio in Ciad organizzato “per rispondere al vertice di Pau e per favorire la creazione di uno Stato Islamico in tutto il bacino del lago Ciad”, come riportava il sito di monitoraggio dell’attività jihadista Site.
29 gennaio 2020