Uno schifo dietro il fallimento della Banca Popolare: dipendenti e clienti vittime innocenti. Padre e figlio Jacobini arrestati assieme al loro responsabile di bilancio
La Banca Popolare di Bari va nazionalizzata, come tutte le altre banche
Candidato alla presidenza della Commissione d'inchiesta il senatore 5 stelle Lannutti in conflitto d'interesse col figlio
Le responsabilità del governo e di Bankitalia

 
La Popolare di Bari è la tredicesima banca che salta in pochi anni. Le caratteristiche del crack sono pressoché le stesse: azionisti di maggioranza che spadroneggiano, alti funzionari che la spolpano per i loro interessi truccandone i conti, e la solita rete di amici e parenti finanziati a pioggia senza merito creditizio.
 

Un film già visto
Insomma, il caso Bari in sintesi è dominato dal clientelismo e dalla corruzione, una pratica del nostro sistema bancario privato, comune a istituti come MPS, Etruria, le due venete e recentemente CaRiGe, e ha confermato il fallimento di quell'osannata “Banca del territorio” pugliese, servita solo a ingrassare poteri marci, di malaffare e di bande locali. In 40 anni di dominio assoluto il clan degli Jacobini attraverso la Popolare ha foraggiato nobili decaduti e indebitati fino al collo attraverso prestiti “facili” senza garanzie, ribaltate indirettamente a correntisti in difficoltà, occultando sistematicamente perdite e ignorando le criticità dei bilanci come se tutto andasse a gonfie vele.
Agghiaccianti gli audio resi noti da Fanpage con le conversazioni tra il presidente Giannelli e l’Amministratore Delegato De Bustis: “Truccavate persino i conti delle filiali, quello che è successo è un esempio di scuola di gestione cattiva, irresponsabile, esaltata” , oltre a tante altre intercettazioni chiare ed eloquenti.
Nell'anno più nero di quella “gestione irresponsabile”, il 2014, proprio De Bustis che si vantava di aver lontani i guai di Mps e Deutsche Bank, si portava a casa uno stipendio di 789 mila euro, mentre nel 2018 Jacobini si staccava un assegno da 2,5 milioni, al pari di Zonin, Berneschi e Rosi.
Di pochi giorni fa è la notizia dell'arresto di Marco Jacobini, del figlio Gianluca, e del responsabile del bilancio, Elia Circelli, nonché dell’interdizione dalla professione bancaria di Vincenzo Figarola De Bustis. Il che non riuscirà mai a cancellare le conseguenze del crack da due miliardi del più grande istituto di credito del Mezzogiorno.
Come in ogni crimine bancario che si rispetti infatti, non mancano neanche stavolta i correntisti ignari di tutto, le vere vittime senza appello della vicenda, che in cambio della concessione di un mutuo (anche per comprare la loro prima casa) erano obbligati a sottoscrivere contemporaneamente titoli-spazzatura. “Li abbiamo fottuti”, dicevano i dirigenti, quando vendevano le azioni a 9 euro e 53, destinate a diventare carta straccia, e che allo stesso momento del collocamento, valevano già un terzo di meno.
 

Dov'era Bankitalia?
Già viste anche le “puntate” da sequel televisivo nei quali gli ispettori di Banca d'Italia si recano ripetutamente nei locali della Banca in questione, controllano documenti, rilevano anomalie, intimando azioni sia agli amministratori che alla magistratura, ma incredibilmente non affondano mai il colpo, consentendo nei fatti che a operazioni rischiose e oggettivamente inadeguate se ne aggiungessero altre, fino a scatenare un incendio sul quale ha soffiato anche una politica locale complice e connivente che ha condotto la banca verso la sua fine.
Per respingere le critiche che gli sono piovute ancora una volta sulla testa, il governatore di Banca d'Italia Visco, ha lamentato il “clima d'odio” nei confronti suoi e dei suoi ispettori. Ma allora perché, ad esempio, a una banca già così seriamente sottocapitalizzata e male amministrata, nel 2014 viene concesso il via libera ad acquisire Tercas, che in un solo anno le raddoppia i crediti deteriorati da 700 milioni a 1,4 miliardi? Perché non fu fermata la Popolare di Bari quando mise nel mirino la Cassa di Teramo, praticamente al collasso, lo stesso giorno in cui nel Cda di Bankitalia veniva presentata una relazione che ne inquadra il pessimo stato di salute?
Queste dinamiche, viste e riviste negli altri “fallimenti” bancari tirano nel girone delle responsabilità, anche i governi e la politica istituzionale, più preoccupati a dirimere il nodo dei componenti delle varie commissioni parlamentari che si costituiscono di volta in volta a frittata servita, anziché tentare di stoppare per sempre le anomalie del sistema bancario capitalista.

Le polemiche sulla commissione parlamentare
I 5 stelle stavolta hanno sostenuto fin dall'inizio la nascita di una commissione bicamerale d'inchiesta auspicandone una partenza rapida; tuttavia alcune crepe si sono aperte sulla loro proposta di candidato alla presidenza che avrebbero individuato nel loro senatore Elio Lannutti, personaggio in chiaro conflitto di interessi e controverso.
Già dichiaratosi antisemita di fatto con un suo post sui "Protocolli dei Savi di Sion", e arricchendo il suo curriculum con alcuni tweet visionari e razzisti nel 2018 nei quali confida nell'affondamento delle navi delle Ong finanziate da “Soros ed altri ideologi della sostituzione etnica" e dove illustra la teoria del complotto sul piano “Kalergi”, un fantomatico piano di invasione dell’Europa da parte delle popolazioni asiatiche e africane, Lannutti aspira alla carica nonostante suo figlio, Alessio Lannutti, sia un dipendente della Banca Popolare di Bari, impiegato a Roma presso l’Ufficio Enti dell’istituto al centro del recentissimo intervento di salvataggio statale.
Lannutti, nonostante le evidenze, nega il conflitto d’interessi, definendo “polemiche create ad arte” le accuse e chiedendo il sostegno dello stesso Beppe Grillo, che ha incontrato a Roma accompagnato da Antonio Di Pietro, presente per “tutelare l'onore del senatore”, come lo stesso Lannutti ha affermato.
Nonostante ciò, all'interno della maggioranza il PD è compatto contro la candidatura, così come Italia Viva di Renzi con Maria Elena Boschi che non risparmia critiche all'ennesima giravolta pentastellata ricordandone l'atteggiamento ai tempi di Banca Etruria guidata dal padre quando la banda di Di Maio votò contro il salvataggio statale, mentre ora si dicono disposti ad usare oltre 900 milioni di fondi pubblici.
Ai bordi di questa polemica, la Lega dell'aspirante duce d'Italia Salvini glissa, pronto a trasformare in voti le eventuali scaramucce di governo.
Se la proposta del vertice pentastellato non dovesse andare in porto il prossimo 6 febbraio, fra gli altri candidati ci sono la presidente della commissione Finanze della Camera, Carla Ruocco, ex componente della precedente commissione – e quindi in piena continuità nonostante l'avvicendarsi dei governi - , il Questore del Senato Laura Bottici e i deputati Alvise Maniero e Raphael Raduzzi.
 

Un sistema bancario spietato e corrotto
In ogni caso, a prescindere dal Presidente della Commissione e quanto ne seguirà, l'ennesimo danno è ormai fatto e noi sappiamo con certezza che non sarà nemmeno l'ultimo.
Ne siamo certi poiché anche stavolta, oltre alla corruzione e alle dinamiche proprie dell'interesse capitalistico, nessuno dei grandi organismi di controllo esce pulito; governi e Bankitalia, che dovrebbero sulla carta regolare e vigilare su certi rapporti di settore, si sono dimostrati come al solito inadeguati, se non addirittura complici della questione in se, e certamente artefici dell'andazzo “bancario” generale ormai consolidato e che procede a colpi di corruzione e malaffare.
Dinamiche inaccettabili, che hanno come principale effetto quello di mettere sul lastrico i risparmiatori e di creare altri disoccupati fra gli ex dipendenti della popolare che andranno ad incrementare quel numero già imponente di esuberi e di licenziamenti che hanno visto nel settore bancario in Italia nell'ultimo decennio una perdita di circa 53 mila posti di lavoro.
Secondo il Codacons a fine 2018 i crack bancari e finanziari, che si sono succeduti nel nostro paese e all’estero dal 2000 in poi, hanno trascinato nel baratro oltre 1,2 milioni di risparmiatori italiani, i quali hanno visto andare in fumo complessivamente quasi 44 miliardi di euro investiti in azioni, obbligazioni e titoli vari, con una perdita media di 35.154 euro ciascuno. Una cifra spaventosa (alla quale vanno aggiunte le cifre del 2019 non ancora disponibili), che colpisce in parte anche industriali, speculatori e finanzieri, ma in larga maggioranza semplici famiglie truffate per ignoranza o con l'inganno ai quali tali perdite possono significare anche l'azzeramento dei risparmi di una vita passata e la grande incertezza per quella futura, e non semplicemente un buon affare andato in fumo.
Va detto anche che le banche sono un elemento centrale nell'economia capitalista che destinano capitali e risparmi nelle mani dei padroni togliendo lavoro e diritti ai lavoratori e impoverendo la popolazione anche nel “rispetto delle leggi (appunto) borghesi”. Un ultimo esempio viene da Unicredit, che ha annunciato il proprio piano industriale al 2023 che taglierà 5.500 dipendenti e 450 filiali in Italia, generando contestualmente 16 miliardi di euro fra dividendi agli azionisti (per la maggioranza esteri quali assicurazioni, altre banche d'affari e fondi internazionali) ed incremento di patrimonio.
 

Nazionalizzare il sistema bancario
Come si può allora risolvere una situazione così complicata, grave, incancrenita ed apparentemente senza via d'uscita?
Non sono soluzioni forti ed efficaci nemmeno quelle proposte da alcuni analisti cosiddetti “antisistemici” che individuano il problema di fondo non tanto nel cartello monopolista di potere praticamente assoluto creato dalle grandi banche d'affari attraverso l'accumulo di capitali, ma esclusivamente in un problema importante quanto secondario come l'impossibilità di stampare moneta da parte delle banche nazionali dei paesi aderenti all'euro, in forza del trattato di Maastricht. Trattato che lascia questo potere esclusivamente nelle mani della Banca Europea in forma diretta e alle banche commerciali, quindi speculative, in forma indiretta attraverso la concessione di crediti o con i derivati che sono stati la causa principale della crisi capitalista del 2007.
Costoro sostengono la necessità di affiancare anche in Italia un numero considerevole di banche pubbliche a fianco di quelle private per “mitigarne” gli effetti più dannosi, così come è parziale e dall'esito tutt'altro che scontato, l'altra proposta di far emettere i cosiddetti “Titoli di Sconto Fiscale” distribuiti gratuitamente dallo Stato alle famiglie, alle imprese ed anche agli enti pubblici; titoli che dopo tre anni dall'emissione dovrebbero far risparmiare fiscalmente coloro che li possiedono, consentendo invece a chi ha necessità di monetizzare, la facoltà di venderli sul mercato.
Puro fumo negli occhi è poi la Commissione parlamentare, che tutt'al più si leccherà le ferite, rilanciando “attenzione”, ma non cambiando nulla nei fatti.
Serve invece la nazionalizzazione immediata e definitiva della Popolare di Bari come di tutte le altre banche, iniziando da quelle a rischio. Una misura sempre osteggiata nel capitalismo, e invece naturale e attuabile nel socialismo: soltanto cambiando radicalmente i rapporti economici e sociali, il sistema bancario potrà iniziare a svolgere il suo ruolo di servizio pubblico di proprietà di tutto il popolo, libero dal profitto, e capace di servire l'economia per il suo sviluppo nell'interesse del proletariato e delle masse popolari.

5 febbraio 2020