Violati il diritto internazionale e la risoluzione dell'Onu sulla Palestina
Lo “Stato palestinese” proposto da Trump è una truffa
Per Israele più territori e più potere su tutta la Palestina. Il popolo palestinese in una prigione a cielo aperto
Il popolo palestinese rifiuta il piano di Trump e Netanyahu
Manifestazioni e raduni palestinesi a Gaza, Ramallah e altre località il 29 gennaio per la “giornata della collera” e il sit in di protesta alla Porta di Damasco a Gerusalemme est, lo sciopero generale a Gaza, le manifestazioni e scontri con decine di feriti in molte località della Cisgiordania il 30 gennaio hanno espresso il rifiuto palestinese dell'Accordo del secolo, ossia del piano del presidente americano Donald Trump e del collega imperialista Benjamin Netanyahu appena presentato a Washington. Un piano, o meglio una “visione” come viene definita, che regala agli occupanti sionisti, allo Stato ebraico, il riconoscimento ufficiale del pieno controllo della Palestina, salvo circa un 10% destinato a un minuscolo staterello senza alcuna sovranità, una prigione a cielo aperto dei palestinesi e nessun diritto al ritorno per i profughi della diaspora palestinese.
Lo “Stato palestinese” proposto da Trump nel progetto dal titolo Pace e prosperità è una truffa e viola il diritto internazionale e le risoluzioni dell'Onu sulla Palestina, come hanno denunciato anzitutto le organizzazioni palestinesi, alcuni coraggiosi pacifisti israeliani e organizzazioni pacifiste. Come denunciavano alcuni stati dove si svolgevano anche manifestazioni a sostegno del popolo palestinese, dall'Iran al Libano, dall'Iraq alla Giordania che pur si limitava a chiedere il rispetto dei confini del 1967, alla Turchia, contraria al “piano di annessione” come lo definiva il presidente Erdogan che sostiene le componenti sunnite della Fratellanza musulmana come Hamas solo perché funzionali ai suoi obiettivi egemonici locali. Come denunciavano organizzazioni arabe e islamiche, la Lega araba e l'Oic, l'Organizzazione della cooperazione islamica contraria al piano “americano-israeliano”, dietro le quali però si coprivano i paesi arabi reazionari del fronte anti-iraniano guidati dall'Arabia saudita che ha partecipato alla stesura del piano e non vedono l'ora di mollare anche formalmente la causa palestinese per fare affari alla luce del sole col regime sionista. Poco più che formale la protesta degli imperialisti e complici dei sionisti dei paesi della Ue, salvo la Gran Bretagna di Boris Johnson sodale del regime di Tel Aviv, e della concorrente imperialista russa impegnata a raccogliere consensi e potere di controllo nelle zone limitrofe di Siria e Libia; sostanzialmente assente sulla vicenda la principale concorrente imperialista, la Cina di Xi apparentemente concentrata sulla vicenda del coronavirus. Vergognosa la flebile presa di distanza dell'Onu a fronte della palese violazione delle sue risoluzioni, peraltro regolarmente messe sotto i piedi e senza colpo ferire dai sionisti di Tel Aviv. Dopo aver fatto da comparsa alla sceneggiata della conferenza di Berlino sulla Libia si conferma per l'ennesima volta che l'Onu è al completo servizio dei paesi imperialisti che lo sbandierano solo quando hanno bosogno di una copertura e dovrebbe essere sciolto.
La proposta di Trump è un progetto beffardo per il popolo palestinese fin dalla prima frase del documento “Pace e prosperità” che inizia con “Una visione per migliorare la vita dei palestinesi (solo in questo punto messi al primo posto, ndr) e del popolo israeliano”.
La sostanza delle 180 pagine, allegati compresi, la possiamo spiegare con le parole dirette del sionista Netanyahu che nel ringraziare Trump per essere stato “il primo leader mondiale a riconoscere la sovranità di Israele su aree strategiche della Giudea e della Samaria che sono vitali per la nostra sicurezza e centrale per la nostra eredità” e sulla fertilissima Valle del Giordano che possono “ora essere riconosciute dagli Stati Uniti come parte permanente dello stato ebraico”, senza neanche attendere il risultato del finto negoziato auspicato con la parte palestinese finora tenuta fuori.
L'accordo sarà applicato nei prossimi quattro anni, “indipendentemente dalla decisione palestinese” che non conta un bel nulla per sionisti e imperialisti, sosteneva il premier di Tel Aviv che elencava di nuovo i meriti dell'alleato imperialista, “le tue decisioni storiche di riconoscere Gerusalemme come capitale di Israele; riconoscere la sovranità di Israele sulle alture del Golan; riaffermare le rivendicazioni legali di Israele in Giudea e Samaria; resistere all'Iran; ritirarsi da quel pericoloso accordo con l'Iran; eliminare Qasem Soleimani; sostenere e incoraggiare l'incredibile cooperazione tra Israele e gli Stati Uniti nei campi militari, strategici e di intelligence. Tutto ciò testimonia l'amicizia e la profondità della vostra leadership e impegno nei confronti di Israele”.
Lo stato palestinese, sventolato come parte importante ma inesistente della proposta americana, è una truffa a partire dal modo come i due compari hanno apparecchiato il banchetto con un solo ospite d'onore, i sionisti di Tel Aviv.
“Lo Stato di Israele e gli Stati Uniti non credono che lo Stato di Israele sia legalmente tenuto a fornire ai palestinesi il 100% del territorio precedente al 1967 (una convinzione coerente con la risoluzione 242 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite)”, sostiene il piano assegnando a una delle parti interessata e al suo protettore l'esclusivo onere di interpretare la risoluzione Onu del 22 novembre 1967 dal Consiglio di sicurezza dell'ONU dopo la guerra dei sei giorni. Una risoluzione respinta allora dall'Organizzazione per la liberazione della Palestina che contestò anzitutto il fatto che non affrontava la questione del diritto all'autodeterminazione del popolo palestinese ma che in ogni caso ribadiva l'impossibilità dell'acquisizione territoriale attraverso l'uso della forza e chiedeva il ritiro dei militari sionisti dietro confini concordati. Financo l'allora presidente americano Lindon Johnson convenne che “i confini devono essere concordati tra i paesi confinanti interessati”. Un impiccio per gli imperialisti di oggi che Trump e Netanyahu risolvono seduta stante mettendo nero su bianco che “la Valle del Giordano, che è fondamentale per la sicurezza nazionale di Israele, sarà sotto la sovranità israeliana”. Tutta, fino al confine con la Giordania, insediamenti dei coloni compresi che non saranno toccati. Il progetto prevederebbe lo stesso comportamento nei confronti della popolazione palestinese che si trova in aree oggi sotto l'amministrazione di Abu Mazen ma non passavano che poche ore dall'illustrazione dell'accordo del secolo che un tribunale sionista cacciava una famiglia palestinese dalla sua casa a Gerusalemme est. Nella Gerusalemme est che solo in un quartiere ancora più periferico dovrebbe ospitare la capitale dello Stato palestinese, violando anche in questo caso le relative risoluzioni Onu; una soluzione accolta solo dall'alleato saudita, col principe ereditario Salman che da tempo opera per convincere il riottoso Abu Mazen.
Il piano scritto a quattro mani, come orgogliosamente rivendicato da Netanyahu, uno dei primi progetti di Trump insediato agli inizi del 2017, era pronto da tempo e ampiamente anticipato da una serie infinita di veline secondo il metodo dei ripetuti annunci, della ossessiva propaganda che dovrebbe moltiplicare consensi. La parte economica era stata rivelata lo scorso 25 giugno alla conferenza tenuta appositamente a Manama in Bahrain con i 50 miliardi di dollari di investimenti internazionali in 10 anni nei territori palestinesi e nei paesi arabi vicini gestiti da una banca multinazionale di sviluppo ma soprattutto a costo minimo per gli Usa dato che il fondo sarebbe costituito da sussidi dei paesi arabi, prestiti e investimenti privati. La sua presentazione ufficiale era stata più volte rimandata anche per la perdita della maggioranza nel parlamento di Tel Aviv del governo Netanyahu, una crisi non risolta in due tornate elettorali e con la terza il prossimo 2 marzo.
Nel calendario degli eventi imperialisti che forniscono alimenti alla campagna elettorale presideniale per la riconferma di Trump il prossimo novembre si è creato un ingorgo tale che la finestra trovata per la sceneggiata della firma dell'accordo del secolo col fedelissimo alleato sionista alla Casa Bianca a fine gennaio ha “sacrificato” una cerimonia preparata con altrettanta cura propagandistica della firma della pace nella guerra commerciale con la Cina o che durava da un anno e mezzo. Il documento, definito ovviamente “storico” da Trump, avvia solamente la cosiddetta fase uno della pace ma la firma in pompa magna in programma il 15 gennaio passava in secondo piano: l'assassinio il 3 gennaio in Iraq del generale iraniano Soleimani aveva forse non a caso già aperto lo scenario dell'Accordo del secolo.
Una foto della cerimonia del 28 gennaio a Washington presenta un Trump sotto accusa in parlamento per i vergognosi accordi politici con gli amici reazionari al potere in Ucraina e un Netanyahu lo stesso giorno formalmente incriminato per corruzione, due governanti imperialisti a tutto tondo, raggianti per quello che sotto la forma di un reciproco regalo elettorale è la “soluzione” aggiornata della questione palestinese secondo l'imperialismo americano e i sionisti imperialisti di Tel Aviv. Una soluzione che non prevede l'intesa con la parte direttamente interessata e detentrice del diritto di decidere del proprio destino, il popolo palestinese. Che infatti non è presente, neanche con il non ostile presidente Abu Mazen che aveva già annunciato la sua contrarietà al progetto. Alla cerimonia erano presenti i rappresentanti di Oman, Bahrain e Emirati Arabi Uniti, ringraziati dai due protagonisti; la guida del fronte dei paesi arabi reazionari e anti-iraniano, l'Arabia saudita sceglieva di restare dietro le quinte, con l'Egitto. Appoggeranno in seguito il progetto, assieme al Qatar, di cui Riad è stata protagonista non secondario.
Alla riunione straordinaria convocata dalla Lega Araba al Cairo l'1 febbraio il presidente dell'Autorità nazionale palestinese (Anp) Abu Mazen annuciava “la rottura di tutte le relazioni della Palestina con Israele e Stati Uniti”, che a dire il vero aveva già espresso al momento in cui Trump aveva riconosciuto Gerusalemme capitale dello stato ebraico. Ripeteva che “non accetterò l'annessione di Gerusalemme e non voglio passare alla storia come colui che ha venduto Gerusalemme” e che l'Anp “non accetterà mai gli Usa come unico mediatore al tavolo dei negoziati con Israele”.
Il capo dell’ufficio politico del Movimento di resistenza islamica Hamas, Ismail Haniyah, respingeva il piano e accettava la proposta del presidente palestinese per il lancio di una nuova fase del dialogo nazionale.
L’Associazione dei Palestinesi d’Italia (API), con un comunicato del 30 gennaio denunciava: “l’Affare del Secolo ha come scopo fondamentale quello di liquidare la Questione Palestinese, non di darle una giusta ed equa soluzione, dopo oltre settant’anni di colonialismo israeliano con operazioni di pulizia etnica, centinaia di migliaia di palestinesi uccisi, feriti, torturati, resi disabili permanenti, migliaia di prigionieri politici, di continue annessioni dei territori palestinesi, Gerusalemme dichiarata come capitale di Israele, check-point dappertutto, embargo da oltre 13 anni imposto su Gaza, insediamenti dichiarati legali, e così via”; e si appellava “alla comunità internazionale, alla comunità araba nel mondo e in Italia, alla UE, all’Italia affinché rifiutino tale accordo iniquo e violatore della legalità internazionale”.
All'appello sembrava rispondere la Ue con le dichiarazioni del 2 febbraio dell’Alto rappresentante dell’Unione Europea, Josep Borrell, ma con una debole e quindi complice denuncia, cauta anche nelle parole, la proposta “sfida molti dei parametri concordati a livello internazionale” per porre fine al conflitto. Ancora peggio si comportava il governo italiano che attraverso un comunicato dalla Farnesina faceva sapere che “accoglie favorevolmente gli sforzi compiuti dagli Stati Uniti al fine di favorire il rilancio” del processo di pace in Medio Oriente e che “valuterà con molta attenzione i contenuti della proposta di Washington, in coordinamento con l’Ue e in linea con le rilevanti risoluzioni Onu”. Una vergognosa posizione a tutto vantaggio dei sionisti di Tel Aviv. Per l'Italia rispondeva in maniera corretta Assopace Palestina, la cui presidente denunciava “il piano nefasto per i palestinesi, a cui viene tolta sovranità, autonomia e indipendenza, ma anche la fine del diritto internazionale, dal momento che due Paesi si arrogano il diritto di decidere del futuro di un altro popolo”.
Possiamo chiudere la breve carrellata di posizioni contrarie al progetto con la condanna espressa da Gideon Levy, editorialista del quotidiano progressista israeliano Haaretz: “con la Valle del Giordano e la maggior parte delle colonie della Cisgiordania sotto la sovranità israeliana, i Palestinesi hanno la garanzia che non avranno mai né uno stato, un mezzo stato, un governo cittadino o un quartiere. Null’altro che una colonia penale. Con l’annessione della Valle del Giordano e della maggior parte delle colonie, Donald Trump rende ufficiale la creazione di uno stato d’apartheid che sarà conosciuto come lo Stato di Israele. Ciò che Herzl iniziò a Basilea, Trump lo ha completato a Washington”. Bocciata la soluzione dei due stati, Levy affermava che “se la comunità internazionale, e con essa l’Autorità Palestinese, sperano di risolvere il problema palestinese, hanno una sola strada da percorrere: l’instaurazione di una democrazia dal Mar Mediterraneo al fiume Giordano”. Una soluzione che prevede un solo stato con pari diritti tra gli 8,5 milioni di israeliani e i 5 milioni di palestinesi, respinta da Tel Aviv a partire dal fatto che metterebbe in pericolo la “purezza” dello stato ebraico che già considera cittadini di serie B gli arabi israeliani. “Non resta nient’altro. l mondo ha due scelte: o riconosce l’apartheid o sostiene la soluzione di un unico stato democratico”, proseguiva Levy, “l’Europa non può continuare ad abbracciare Israele e parlare di 'valori condivisi' con lo Stato ufficiale dell’apartheid”, quantomeno dovrebbe ricordarsi di come si comportò con il predecessore di quello Stato, il Sudafrica, battuto anche con una campagna di boicottaggio analoga a quella lanciata da organizzazioni non governative palestinesi contro il regime sionista di Tel Aviv per la fine dell'occupazione israeliana e della colonizzazione della terra palestinese, la piena uguaglianza per i cittadini arabo-palestinesi di Israele e il rispetto per il diritto al ritorno dei profughi palestinesi. Un primo passo che dovrebbe essere seguito necessariamente dalla completa rottura dei rapporti coi sionisti fino al soddisfacimento dei diritti inalienabili del popolo palestinese.
5 febbraio 2020