Nel discorso sullo Stato dell'Unione
Trump si vanta di aver fermato il declino degli Usa e di aver ripristinato la leadership americana in tutto il mondo
Il dittatore fascista della Casa Bianca non stringe la mano alla presidente della Camera Pelosi e questa strappa platealmente il discorso di Trump

 
Tre anni fa abbiamo lanciato il grande ritorno americano, in soli tre anni abbiamo respinto il ridimensionamento del destino americano, stiamo andando avanti a un ritmo inimmaginabile poco tempo fa e non torneremo mai più indietro, affermava il presidente americano Donald Trump all'inizio dell'annuale discorso sullo Stato dell'Unione lo scorso 4 febbraio davanti alle più alte cariche dello Stato, le due Camere riunite, i giudici della Corte suprema, il governo e i vertici delle forze armate. Il suo terzo discorso e l’ultimo del suo mandato prima delle prossime elezioni presidenziali del 3 novembre è stato un discorso autoelogiativo nel quale si vantava di aver fermato il declino degli Usa e di aver ripristinato la leadership dell'imperialismo americano in tutto il mondo, ripercorrendo quei temi che sono stati ampiamente e regolarmente richiamati in tutte le occasioni pubbliche e che rappresentano la scaletta della oramai avviata campagna elettorale. Trump che si apprestava a intascare la vergognosa assoluzione dal procedimento di impeachment al Senato, a maggioranza repubblicana, punta alla riconferma alla Casa Bianca, i concorrenti democratici sono ancora alla ricerca di un candidato da contrapporgli.
Il precedente slogan “Fai grande l'America” che ha contraddistinto il primo mandato presidenziale del dittatore fascista Trump diventa “Mantieni grande l'America” sulla scia dei “successi” puntigliosamente rielencati nel discorso, anzitutto quelli economici che si appunta come medaglie sul petto anche se dovuti in una parte non secondaria alla ripresa economica mondiale dopo la grande crisi iniziata nel 2008. Sono indubbio merito della sua amministrazione la riscrittura degli accordi commerciali coi più deboli vicini Canada e Messico e la riduzione del disavanzo commerciale con la Cina in seguito all'inizio di una guerra commerciale che Trump spaccia come quasi risolta in favore degli Usa dopo la firma dell'intesa del 15 gennaio ma che in realtà è ancora da definire. Un indubbio successo del capitalista Trump alla Casa Bianca è la crescita nel paese delle disparità economiche e sociali.
Sono medaglie sul petto di Trump le “vittorie” imperialiste della superpotenza mondiale americana contro nemici nettamente inferiori militarmente, come la sconfitta territoriale dello Stato islamico e l'uccisione in Siria del califfo al-Baghdadi o l'uccisione in Iraq del generale iraniano Soleimani e le continue provocazioni contro l'Iran; le provocazioni e ingerenze contro Cuba e il Venezuela di Maduro; il sostegno all'occupazione sionista dei territori palestinesi e la negazione dei diritti del popolo palestinese con il recente lancio del cosiddetto accordo del secolo per la legittimazione dello Stato ebraico; il massiccio aumento delle spese militari fino al lancio della Forza spaziale.
La curata scenografia presidenziale per il lancio della campagna elettorale prevedeva anche uno sgarbo istituzionale nel momento in cui il dittatore fascista della Casa Bianca, arrivato al podio, consegnava copie del discorso alla seconda e alla terza carica dello Stato che sedevano dietro, il vice presidente Mike Pence e la speaker della Camera, la democratica Nancy Pelosi; Trump accettava la stretta di mano del suo vice ma rifiutava con un gesto plateale quella della presidente Pelosi. Uno sgarbo ricambiato alla fine del discorso quando dietro il presidente che si crogiolava all'esultanza dei parlamentari repubblicani si vedeva chiaramente nella diretta tv che Nancy Pelosi strappava platealmente la sua copia del discorso e in seguito commentava che strappare la copia “era la cosa più cortese da fare considerando quali potevano essere le alternative”. Uno scambio di “cortesie” che indica il segno di imbarbarimento e di degenerazione delle istituzioni borghesi nella lotta tra bande per decidere chi tiene il pallino del comando ma che non si distinguono sostanzialmente nella gestione degli interessi imperialisti di dominio del mondo della borghesia americana, perseguiti da chiunque sieda alla Casa Bianca anche dal prossimo 3 novembre.

12 febbraio 2020