Comunicato stampa dell'Organizzazione di Rufina del PMLI
Il “Giorno del ricordo” è un oltraggio alla Resistenza jugoslava e italiana
Al convegno di Rufina (Firenze) il sindaco Maida e l'ex sindaco Pinzani in veste di storico, entrambi PD, sposano le tesi dei fascisti.
Qui di seguito pubblichiamo il comunicato stampa dell'Organizzazione di Rufina del PMLI che si riferisce all'iniziativa sulle foibe promossa dal Comune di Rufina diretto dal PD. All'iniziativa, che si è svolta il 10 febbraio, è intervenuto il compagno Enrico Chiavacci a nome dell'ANPI locale esponendo la linea del comunicato.
Prima di parlare di Foibe occorre chiarire che l’Istria e la Dalmazia non sono mai state terre italiane, abitate da italiani. È un fatto storico incontrovertibile che vennero assegnate all’Italia come bottino di guerra solo al termine del primo conflitto mondiale. Gli occupanti italiani si comportarono fin da subito come se fossero in una colonia. Case e terre espropriate, saccheggi, imposizione dell’italiano come unica lingua ufficiale e vere e proprie operazioni di pulizia etnica seguite da insediamenti di coloni italiani. Per gli slavi, cui queste terre appartenevano, le cose peggiorarono drasticamente con l’avvento del fascismo.
Nel 1941 a seguito della loro aggressione militare alla Jugoslavia, i nazi-fascisti perpetrarono indicibili massacri. I responsabili non furono soltanto i nazisti ma anche le milizie fasciste. Nelle zone della Jugoslavia occupate dall'esercito di Mussolini si ebbero infatti repressioni, stragi, incendi di villaggi e massicce deportazioni nei campi di concentramento dove vi furono decine di migliaia di morti per fame, malattie e violenze.
Per tutta la durata della guerra ai nazifascisti si contrapposero le bande partigiane jugoslave che combatterono per la libertà della propria terra e del proprio popolo. Dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943 alle loro formazioni si unirono moltissimi italiani - civili ed ex-militari - che, accolti come fratelli d'arme, combatterono al loro fianco contro gli occupanti nazifascisti. È solo grazie alla loro eroica lotta di liberazione che, nell'aprile e nel maggio 1945, ben prima dell'arrivo delle truppe “alleate”, la costa dalmata, l'Istria e le città di Trieste e di Gorizia vennero liberate.
L’occupazione nazifascista costò alla Jugoslavia un milione di morti, più altri 700 mila caduti nella lotta di liberazione.
È da questo tragico retroterra che scaturiscono vicende - peraltro con numeri assai più circoscritti di quanto la propaganda fascista e revisionista tenda a far credere - come quelle delle foibe' e degli "esuli'' istriani e giuliano-dalmati. I numeri parlano chiaro. Gli “infoibati” certi furono alcune centinaia e si trattò prevalentemente di fascisti italiani, slavi collaborazionisti e criminali nazisti.
Tutti furono, secondo il diritto internazionale di guerra di allora, processati e giudicati colpevoli da tribunali militari composti dai partigiani slavi ed italiani per i loro crimini. Questo è ciò che ci dice non la Jugoslavia di Tito, ma le commissioni Slovena e Croata sul tema che non hanno mai trovato un accordo con quella “italiana” (durante il tentativo di produrre una “memoria condivisa”), troppo impegnata a dare linfa alla riabilitazione del fascismo con la propria lettura dei fatti.
In Istria e in Dalmazia dopo più di ventisei anni di occupazione militare (dal 1919) e quattro di guerra (dal 1941) gli slavi poterono rientrare in possesso delle proprie terre e delle proprie case. Inevitabilmente gli italiani occupanti dovettero sloggiare. Con il Trattato di pace di Parigi del 1947 l’Italia dovette cedere (o meglio restituire) l’Istria e la Dalmazia alla Jugoslavia.
Nessun italiano venne espulso o costretto ad andarsene, furono tutte fughe volontarie, e ne sono testimonianza le numerose enclavi italiane presenti ancora oggi sopratutto in Istria; secondo alcuni storici addirittura, circa la metà della popolazione italiana che era residente al tempo, scelse di restare, amalgamandosi con la popolazione jugoslava. Ma allora, di quale “pulizia etnica” si parla?
L'“esodo” dunque riguardò prevalentemente elementi anticomunisti e collaboratori degli occupanti nazifascisti che fuggirono per sottrarsi al giudizio delle loro vittime; tuttavia il circoscritto fenomeno delle foibe e l' “esodo” stesso vennero sapientemente pilotati in chiave anticomunista fin dall'inizio, tanto è vero che nel dopoguerra i Paesi imperialisti occidentali avevano scatenato la "guerra fredda'' contro il socialismo, ma il loro stesso “proletariato” - in primis quello italiano - si era temprato nella lotta di liberazione dal nazifascismo e aveva le forze per spezzare anche le catene della schiavitù salariata.
Pur di mantenere il potere economico e politico la classe dominante borghese era disposta a tutto, ivi inclusa la riabilitazione - per quanto possibile in quel momento storico - del fascismo. Molti fascisti e criminali di guerra vennero infatti reclutati nei servizi segreti, in reparti para-militari (Gladio) e intruppati nel nuovo esercito italiano.
Nessun criminale in fuga pagò per i propri crimini e né gli “alleati” né l’Italia repubblicana accettarono le richieste jugoslave di estradizione, né quelli degli altri paesi colonizzati dal fascio littorio. Solo Belgrado ne aveva chiesti 750.
Quante studentesse e studenti delle nostre scuole medie e superiori conoscono anche solo una minima parte delle efferatezze commesse dai fascisti italiani in Istria, in Dalmazia o nella Slovenia occupate? Per quale motivo non viene spiegato loro che nelle foibe finirono nella quasi totalità dei casi dei criminali di guerra? Perchè si continua a dire che i morti sono “tutti uguali”?
Il revisionismo storico permea ogni libro scolastico, c'è bisogno anche di rinforzarlo con iniziative come quella avvenuta il 10 febbraio a Rufina, presentata da una locandina che non accennava neanche all'occupazione fascista, dedicandosi tutta alla “tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe e dell'esodo dalle loro terre”?
Che bisogno ha il Comune di Rufina, che si definisce ripetutamente antifascista, di avallare il più grande “cavallo di Troia” usato dalle destre per riabilitare il fascismo?
L'amministrazione comunale di Rufina ed il suo sindaco si rendono conto che così facendo prestano il fianco ai neofascisti di oggi ed al loro riferimento istituzionale rappresentato dalla Lega dell'aspirante Duce Salvini con tutto ciò che ne consegue? Ne è testimonianza l'intervento di ringraziamento di un consigliere della destra (presente in sala con tutti i propri rappresentanti locali) che dovrebbe far riflettere, oltre alla miriade di convegni promossi dall'ultradestra in tutta Italia dai medesimi contenuti.
Se vogliamo davvero una Valdisieve antifascista, titolo di cui si fregia il sindaco Maida iscritto anche all'ANPI locale, non ci pare proprio che abbracciando nei fatti il revisionismo storico di stampo fascista sulla questione del fronte orientale, fosse anche solo per “dovere istituzionale”, si percorra la strada giusta.
Organizzazione di Rufina del Partito marxista-leninista italiano
12 febbraio 2020