Giusta richiesta dei genitori di Giulio Regeni
“Il governo richiami l'ambasciatore dal Cairo e dichiari l'Egitto un paese non sicuro”
“Il Bolscevico” l'ha detto fin da subito, da quando fu ucciso il giovane ricercatore
Manifestazioni in 80 città per richiedere la verità sull'assassinio
Il 4 febbraio, in occasione del quarto anniversario dal ritrovamento lungo l’autostrada Il Cairo-Alessandria del cadavere del giovane ricercatore friulano Giulio Regeni (rapito il 25 gennaio 2016 in un quartiere centrale del Cairo e torturato per giorni con tecniche tipiche dei servizi egiziani, barbaramente sfigurato e infine ucciso) si sono svolte in oltre 80 città dal Nord a Sud della Penisola decine di manifestazioni, presidi e sit-in di protesta per chiedere ancora una volta “verità e giustizia” sull'assassinio.
Nelle stesse ore la mamma e il papà di Giulio, Paola Deffendi e Claudio Regeni, insieme alla loro avvocata Alessandra Ballerini sono stati ascoltati per la prima volta in 4 anni dalla Commissione di inchiesta parlamentare sulla morte di Giulio.
Nel corso dell’audizione i tre hanno rivelato nuovi e inquietanti particolari sul caso a cominciare dalle torbide manovre messe in atto dalle autorità italiane ed egiziane fin dal momento del ritrovamento del corpo, avvenuto il 4 febbraio 2016, e riferito alcuni retroscena inediti che hanno caratterizzato i quattro anni di indagini trascorsi inutilmente e con un nulla di fatto.
Non a caso, l’intervento di Paola Deffendi in Commissione si è aperto con un appello affinché vengano riprese al più presto le indagini sull'omicidio. “Se la politica non collabora a costruire un quadro favorevole – ha esordito - la procura di Roma non riesce ad andare avanti. C’è una trama incredibile sotterranea. Una prima barriera alla verità viene già fatta in Italia e qualcuno la permette. Con l’invio dell’ambasciatore Cantini a il Cairo nel 2017 si è interrotto il filo di collaborazione tra le procure”.
Mentre Claudio Regeni ha puntato il dito contro le responsabilità dei singoli Stati e dei tanti punti che restano ancora da chiarire: “Ci sono zone grigie sia dal governo egiziano, che è recalcitrante e non collabora come dovrebbe, ed anche da parte italiana, che non ha ancora ritirato il nostro ambasciatore al Cairo. Da tempo chiediamo il ritiro dell’ambasciatore”.
I genitori di Giulio infatti hanno più volte denunciato pubblicamente che l’ambasciatore italiano a Il Cairo, Giampaolo Cantini, rinviato in Egitto dall’allora ministro degli Esteri Angelino Alfano ha interrotto da tempo i rapporti con la famiglia Regeni. Un fatto finora mai trapelato. “Evidentemente”, ha aggiunto la mamma di Giulio: “persegue altri obiettivi rispetto a verità e giustizia, mentre porta avanti con successo iniziative rivolte all’agevolazione di scambi economici, affari, politica e turismo”.
Il riferimento è soprattutto all’autorizzazione di vendita concessa proprio in questi giorni dal governo italiano a Fincantieri e Leonardo di procedere al trasferimento di due navi militari Fremm Bergamini alla Difesa egiziana. A riportarlo è Egypt Defence Review, sito di monitoraggio degli affari militari intessuti dal regime del Cairo, secondo cui: “L’accordo riguarda il trasferimento della Spartaco Schergat F598 e della Emilio Bianchi F599 alla marina egiziana”.
Un affare da 1,5 miliardi di euro, che l’Egitto coprirebbe “parzialmente con prestiti di alcune banche europee e agenzie di credito tra cui Cassa Depositi e Prestiti, Sace, Intesa Sanpaolo, Bnp Paribas e Santander, pronte a fornire 500 milioni di euro in finanziamenti”.
La pratica è stata gestita direttamente da Palazzo Chigi attraverso l’ammiraglio Carlo Massagli, il consigliere militare del premier Conte. Massagli è anche il massimo fautore delle nuove regole sull’export bellico, concepite appositamente con l’obiettivo di vendere più armi senza badare tanto in quale mani vanno a finire. L’affare Egitto interessa molto a Eni che a sua volta ha molto interesse che i rapporti con il Cairo siano distesi.
Era il 14 agosto 2017 quando l’allora ministro Alfano e il governo Gentiloni decisero di rinviare l’ambasciatore al Cairo, nonostante non fossero stati fatti passi avanti sul fronte giudiziario e malgrado le tante polemiche che sollevò la decisione. Proprio le motivazioni addotte da Alfano in quell’occasione, ha continuato Deffendi, “si sono dimostrate fuffa velenosa. Chiedo che rapporti ha ora Alfano, che ora fa l’avvocato, col suo studio legale con l’Egitto”.
L’ex ministro infatti, dal termine del suo incarico nel governo Gentiloni nel 2018, ha iniziato a lavorare per il nuovo team dello studio legale Bonelli Erede. Su questo punto Paola Deffendi ha chiesto che la commissione d’inchiesta indaghi a fondo.
Ma Alfano non è l’unico politico contro cui la famiglia Regeni punta il dito: “Abbiamo incontrato l’allora premier Matteo Renzi per la prima volta il 7 marzo 2016 - ha aggiunto il papà di Giulio - e ci ha detto di andare da lui senza legali. Una cosa molto strana... una cosa che oggi non accetteremmo più... Ci ha detto che aveva una strategia per smuovere gli egiziani e subito dopo è apparsa un’intervista del presidente egiziano al Sisi a Repubblica” con l’allora direttore Mario Calabresi. Poi “Al secondo incontro - ha continuato il padre di Giulio - Renzi ci ha fatto un discorso come se fossero già in Italia i famosi video delle telecamere di sorveglianza della metro del Cairo, cosa che a quel tempo ufficialmente non era ancora avvenuta”. Infatti, i video delle telecamere sono stati consegnati ufficialmente all’Italia il 15 maggio 2018, quindi due anni dopo rispetto a quanto Renzi aveva fatto intendere ai genitori. “Ci venne detto come se quei video fossero stati già visti. Noi restammo basiti”, ha concluso la madre di Giulio.
“Abbiamo scoperto - ha detto ancora Deffendi - che Giulio era stato torturato leggendo i giornali. Non ci era stato riferito dall’ambasciata per una sorta di tutela nei nostri confronti ed è stata una super-botta per noi”. Tra le varie anomalie, i genitori hanno riferito che proprio da parte dell'allora ambasciatore Massari (governo Letta) non ci fu completa collaborazione: “Fin dall’inizio avevamo chiesto all’ambasciatore sia le immagini delle telecamere sia la geolocalizzazione del telefono, secondo noi non è stato fatto nulla di tutto questo”. E hanno aggiunto: “Abbiamo saputo che in quei giorni della scomparsa di Giulio, tra il 25 gennaio ed il 4 febbraio di 4 anni fa, era presente al Cairo anche il direttore dell’Aise, Alberto Manenti”.
Deffendi ha anche parlato della ricerca accademica del figlio e dei punti sui quali ancora non hanno ricevuto risposte: “Giulio era andato al Cairo come ricercatore, non perché gli piaceva girare per bancarelle. Doveva essere un approfondimento sul campo di una ricerca molto più ampia, storico-sindacale”.
“A giugno del 2018 abbiamo incontrato il ministro Moavero Milanesi - ha ricordato ancora la mamma di Giulio - E lo stesso giorno abbiamo incontrato il premier Conte. Tutti ci dicono che vogliono verità e giustizia... È gravissimo” che fino ad oggi nessuno ha mosso un dito in questa direzione.
Anzi Conte ha accolto con il tappeto rosso dittatore Al Sisi durante il vertice sulla Libia del 13 novembre 2018 a Palermo come se non fosse accaduto nulla.
Così come è gravissimo che l'allora vicepremier Luigi Di Maio “il 30 agosto del 2018 va al Cairo e permette ad al-Sisi di dire che ‘Giulio era uno di noi’. Una cosa per noi molto dolorosa e terribile”.
Infine i coniugi hanno riferito l’ultimo incontro con l’attuale ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, del 6 ottobre 2019: “Ci siamo andati con il bagaglio degli ultimi quattro anni e abbiamo ribadito la richiesta di richiamare l’ambasciatore italiano al Cairo per fargli raccontare cosa ha fatto fino a oggi”.
Dopo i genitori è intervenuta la legale dei Regeni che ha parlato di un sistema egiziano “paranoico” denunciando che lei e i coniugi Regeni sono “continuamente spiati dagli egiziani... Ho presentato un esposto alla procura di Genova”, ha detto. “Tempo fa ho comunicato al telefono con i nostri consulenti e loro sono stati subito chiamati a riferire dal commissariato di Doki. Ancora adesso ai convegni in Italia c’è qualche egiziano che fotografa i presenti”.
Ma soprattutto la Ballerini ha svelato che ci sono “altri italiani che sono stati presi” negli anni e ha illustrato quello che secondo lei era un “meccanismo oliato” di interventi ufficiosi delle nostre autorità per liberare i connazionali e che “nel caso di Giulio non ha funzionato... È evidente che Giulio è stato preso dagli apparati egiziani, tanto che Massari si attivò parlando con il ministro degli Interni e le stazioni di polizia”. L’avvocata ha aggiunto che Massari si è mosso così “perché ce lo hanno ribadito altre persone, Giulio non è il primo italiano preso: è il primo che viene torturato e ucciso, ma altri italiani sono stati presi, e in un caso uno è stato molto maltrattato... Per questo motivo Massari ha usato una strategia sotto traccia, una strategia già collaudata nel tempo e funzionante per altri casi di italiani”. Italiani che, dopo essere stati rilasciati, “sono così terrorizzati che non parlano. Uno ci ha contattato, pentito per non aver parlato perché ci ha detto che magari si sarebbe saputo che l’Egitto non è un Paese sicuro”. È da capire, secondo la legale, per quale motivo un meccanismo “oliato” nel caso di “Giulio non ha funzionato.
L’Italia, ha concluso Ballerini “dovrebbe inserire l’Egitto nella lista dei Paesi non sicuri: lì 3-4 persone ogni giorno fanno la fine di Giulio”.
Infatti proprio in questi giorni è scoppiato il caso di Patrick Zaky, lo studente attivista egiziano che da settembre studia a Bologna, arrestato nella notte tra il 6 e febbraio al Cairo e poi selvaggiamente picchiato e torturato per ore con i cavi elettrici dagli sgherri di al Sisi come ha riferito la sorella Marise George. Un caso che evoca molto da vicino la tragica storia di Giulio Regeni.
Secondo Mohamed Lotfy, Direttore esecutivo di una delle più importanti organizzazioni che si occupano di diritti umani in Egitto, la Ecrf, Lotfy: “A prendere Patrick è stata la Sicurezza nazionale, il servizio segreto civile, lo stesso coinvolto nel sequestro, tortura e omicidio di Giulio, e che ha cinque ufficiali indagati per questo dalla procura di Roma. Lo hanno interrogato con metodi che, purtroppo, conosciamo bene. Le torture. E gli chiedono il perché del suo viaggio in Italia, perché studiasse da voi e che cosa facesse nel vostro Paese”.
La verità è che da quando il corpo di Regeni è stato “ritrovato”, Letta, Renzi, Gentiloni e Conte non hanno fatto altro che ripetere come un mantra che “non ci accontenteremo di meno che della verità”; “che il caso Regeni è in cima all'agenda di governo” ma di fatto non hanno mosso un dito contro il regime del boia al-Sisi .
Occorre invece interrompere subito tutte le relazioni diplomatiche e tutti gli accordi economici, politici e militari con il governo egiziano, promuovere azioni in tutte le sedi internazionali per accusarlo di violazione dei diritti umani e applicargli le relative sanzioni e pretendere che altrettanto facciano le autorità della UE.
12 febbraio 2020