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Al referendum del 20-21settembre vota NO
Il taglio dei parlamentari è un taglio alla democrazia e all'elettoralismo borghesi. Come avvenne sotto la dittatura fascista di Mussolini
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Documento del Comitato centrale del PMLI
Il referendum costituzionale del 20-21 settembre 2020 sul taglio dei parlamentari è una battaglia politica di importanza cruciale per tutti, gli antifascisti, i democratici e i progressisti. Dietro la soppressione di oltre un terzo dei parlamentari, presentato demagogicamente come “taglio alle poltrone” per colpire i “privilegi della casta”, risparmiare i soldi dei contribuenti e migliorare “l'efficienza” del parlamento, si nasconde infatti il vecchio disegno neofascista e piduista di tagliare la democrazia e l'elettoralismo borghesi per spianare la strada a “governi forti” e al presidenzialismo. Un pericolo ben compreso anche dai giuristi e costituzionalisti del Coordinamento per la Democrazia Costituzionale, che il 15 gennaio hanno costituito il “Comitato per il No nel Referendum costituzionale sulla riduzione del numero dei parlamentari” e hanno riattivato la rete dei Comitati per il NO che vinse al referendum del 2016 sull'abolizione del Senato.
Sono cinque i Comitati nazionali per il NO e ciascuno di essi ha proprie motivazioni e non tutte collimano con quelle del PMLI. Ma ciò è assolutamente secondario e non influente per fare fronte unito con tutti questi Comitati. Perché in questa battaglia politica referendaria quello che conta di più è far vincere il NO e battere l’insidioso SI’.
La legge che taglia da 630 a 400 il numero dei deputati e da 315 a 200 i senatori, pari a un taglio di ben il 37% di rappresentanti per ciascuna Camera, è stata voluta e promossa dal Movimento 5 Stelle, che ne ha fatto un suo cavallo di battaglia per cavalcare elettoralmente il distacco delle masse da un parlamento sempre più screditato, e anche per realizzare il disegno della “scomparsa del parlamento in un prossimo futuro” e la sua sostituzione con la “democrazia diretta” basata sul voto online propugnati da Casaleggio. Il nuovo aspirante ducetto del M5S, Alessandro Di Battista, tronfio dei sondaggi che danno il consenso al taglio dei parlamentari in larghissima maggioranza nell'elettorato, ha dichiarato che “è una vergogna che si spendano 350 milioni di soldi pubblici per indire un referendum dall'esito scontato”. Dovrebbe piuttosto vergognarsi lui, e quelli come lui che vogliono scardinare da destra la Costituzione, senza neanche aprire un dibattito pubblico e alle spalle delle masse! Anche se ciò è perfettamente comprensibile, da parte di chi punta ad abolire il parlamento e ridurre la democrazia borghese ai sondaggi e al voto online.
Un vecchio disegno della destra fascista e piduista
Anche tutti i partiti del “centro-destra” neofascista a trazione leghista hanno fortemente sostenuto e votato il taglio dei parlamentari in tutte e quattro le votazioni (salvo FI nella terza, ma solo perché voleva fosse inserita anche l'elezione del presidente della Repubblica), il che la dice lunga sulla matrice marcatamente fascista di questa legge. Tant'è vero che FdI si vanta di essere l'unico partito a non avere neanche un suo rappresentante tra i parlamentari dissidenti che hanno firmato per chiedere il referendum. Quanto a PD e LeU, che avevano invece votato sempre contro nelle prime tre votazioni, alla fine hanno fatto un vergognoso voltafaccia in nome della sopravvivenza del governo trasformista liberale Conte del quale erano appena entrati a far parte, dopo aver accettato supinamente che il taglio dei parlamentari fosse scritto al primo posto del suo programma.
Ma le fonti di ispirazione di questo vero e proprio golpe bianco istituzionale vengono da lontano. Bisogna riandare al ventennio fascista per trovare un esempio di una tale mutilazione del parlamento, quando deputati e senatori furono ridotti esattamente allo stesso numero, come ha ricordato il senatore di FdI, Adolfo Urso, compiacendosi evidentemente di mostrare lo stesso disprezzo per la democrazia parlamentare del suo maestro Mussolini. Il taglio dei parlamentari, insieme all'abolizione del bicameralismo perfetto, ricompare poi nel “Piano di rinascita democratica” di Gelli, che auspicava di ridurre a 450 i deputati e 250 i senatori, numeri assai simili agli attuali, anzi leggermente più alti. E da allora lo ritroviamo regolarmente in tutti i tentativi di controriformare da destra la Costituzione: dalla commissione Bozzi a quella De Mita-Iotti, dalla Bicamerale golpista di D'Alema alla controriforma del 2005 del governo Berlusconi-Fini-Bossi firmata da Calderoli (guarda caso relatore anche di questa legge), fino alla controriforma del Senato Renzi-Boschi del 2016. Tentativi tutti andati a vuoto fino alla legge attuale, che realizza dunque uno dei capisaldi del piano golpista della P2.
Come viene tagliata la rappresentanza
Il taglio dei “privilegi della casta” e dei “costi della politica” è solo un pretesto demagogico per turlupinare le masse. Il risparmio per i conti pubblici è stato calcolato in circa 50 milioni, pari allo 0,007% del bilancio statale, neanche un caffè all'anno per ogni italiano. E comunque, se davvero si voleva tagliare la spesa e i privilegi di deputati e senatori, perché non si è scelto di tagliare direttamente i loro lauti stipendi? Tagliando il numero dei parlamentari si è scelto invece di ridurre drasticamente la rappresentanza popolare, dal momento che si passerà da 1 deputato ogni 96 mila abitanti a 1 deputato ogni 151 mila, collocando il nostro parlamento all'ultimo posto in Europa come rapporto parlamentari/abitanti, mentre adesso è sostanzialmente allineato a Francia, Germania e Regno Unito. E senza con questo aver diminuito realmente la spesa pubblica né tanto meno ridotto i privilegi dei singoli parlamentari.
Il taglio della rappresentanza si traduce a sua volta in un grave taglio alla democrazia e all'elettoralismo borghesi, ancor peggiore di quello causato dalla sciagurata abolizione delle Province (attuata dal governo Renzi con le stesse motivazioni pretestuose del taglio dei parlamentari), perché avrà l'effetto di alzare a dismisura le soglie di sbarramento per i piccoli partiti, di penalizzare le regioni meno popolose e il Meridione e di aumentare i nominati. È stato calcolato infatti che, anche in presenza di una legge elettorale proporzionale con soglia al 5%, su cui ci sarebbe un accordo di massima tra le forze della maggioranza, per l'effetto combinato con il taglio di oltre un terzo dei parlamentari, le soglie reali potrebbero salire al 10% o anche più, permettendo di fatto solo ai pochi partiti più forti di entrare in parlamento.
Regioni piccole e/o meno densamente popolate come Friuli, Liguria, Marche, Abruzzo, Basilicata, Calabria e Sardegna sarebbero fortemente penalizzate, soprattutto al Senato, rischiando di non avere più di 3 o 4 senatori, cosicché solo i primi 3 o 4 partiti più forti sarebbero rappresentati in parlamento. Ancor peggio accadrebbe per le già ridotte circoscrizioni estero, e le minoranze linguistiche, come denunciato da quella slovena, rischierebbero di non essere nemmeno rappresentate. Questa controriforma favorisce quindi le disparità geografiche ed economiche del Paese e aumenta il pericolo del secessionismo che la Lega sta portando avanti con l'autonomia differenziata, la stessa che vuole però anche il rieletto governatore dell'Emilia-Romagna, Bonaccini. Tra l'altro il taglio di 345 parlamentari falserebbe anche le regole costituzionali per l'elezione del capo dello Stato, a tutto vantaggio dei rappresentanti delle regioni rispetto al parlamento.
Un parlamento indebolito e subalterno al governo
È falso anche che il taglio dei parlamentari aumenterà l'“efficienza” delle Camere, anzi è vero il contrario: le Commissioni parlamentari scenderebbero da 20 componenti a 12 o 13 alla Camera e a 4 o 5 al Senato, col risultato di non veder rappresentati i partiti minori e di rischiare la paralisi per l'aumento dei carichi di lavoro per ciascun componente. Tutto questo concorrerebbe allo svilimento del ruolo e alla perdita di potere del parlamento, che andrebbe a rinforzare di conseguenza il ruolo e il potere del governo, che già con le candidature bloccate dei nominati dai leader di partiti sempre più personali, l'abuso della decretazione d'urgenza e dei voti di fiducia, ha ridotto il parlamento alla stregua di un organo di servizio e passacarte del potere esecutivo.
Il taglio dei parlamentari, con un parlamento mutilato di un terzo, molto meno rappresentativo delle masse popolari italiane, con una maggioranza di nominati dei partiti più forti, indebolito nel suo ruolo e nei suoi poteri e subalterno al governo, e considerando che esso allontana ancor più l’eletto dall’elettore, il quale perde ogni possibile controllo sul parlamentare eletto, apre perciò la strada a prossime e più facili manomissioni costituzionali e al presidenzialismo. Come voleva la P2 e come auspica oggi anche il grande capitale finanziario e massonico internazionale, come scritto nel documento della banca d'affari americana Morgan-Stanley che mette nel mirino le Costituzioni dei paesi del Sud Europa. Non a caso Berlusconi e la Meloni sono tornati a chiedere con forza l'elezione diretta del presidente della Repubblica, e il duce dei fascisti del XXI secolo, Salvini, alla festa dei giovani fascisti di FdI del settembre scorso, è arrivato addirittura a preconizzarla per il 2029, “quando avremo anche i numeri per cambiare la Costituzione”.
Perché bisogna non astenersi e votare NO
Per tutto quanto detto noi marxisti-leninisti consideriamo cruciale e irrinunciabile questa battaglia referendaria, e invitiamo in particolare gli astensionisti di sinistra a non disertarla ma a parteciparvi in prima fila, combatterla fino in fondo e andare alle urne per votare NO. Ciò non è in contraddizione con la nostra linea tattica dell'astensione alle elezioni politiche e amministrative e dell'astensione di principio alle elezioni europee. Qui non si tratta infatti di delegittimare le istituzioni rappresentative borghesi o l'imperialismo europeo, ma di fare una scelta concreta su una questione specifica. Per questo di volta in volta scegliamo se partecipare e se votare sì o no ai referendum, a seconda di cosa riteniamo utile e giusto per il proletariato e le masse popolari.
In questo caso è utile e giusto dire NO al taglio dei parlamentari, che per noi non significa appiattirci sulla Costituzione borghese del 1948, che sancisce la proprietà privata e sbarra al proletariato la conquista del potere politico, non significa rinchiuderci nella democrazia e nel parlamentarismo borghesi poiché il nostro orizzonte è il socialismo in cui vigono la democrazia proletaria e le istituzioni rappresentative delle masse proletarie, lavoratrici e popolari, né significa negare che il parlamento sia un'istituzione sempre più estranea alle masse e piena di nominati, carrieristi, inquisiti e voltagabbana. Significa solo difendere le libertà democratico-borghesi residue ancora formalmente garantite dalla Costituzione e dalla democrazia parlamentare, e contrastare tutte quelle forze neofasciste, piduiste e presidenzialiste della destra e della “sinistra” borghesi che vorrebbero cancellarle definitivamente per istituzionalizzare e blindare il regime capitalista neofascista già instaurato in maniera strisciante.
Rivolgiamo quindi un caloroso appello a tutti gli antifascisti, i democratici e i progressisti a votare NO e convincere le elettrici e gli elettori a non astenersi e a votare NO senza scoraggiarsi dal fatto che la quasi totalità dei partiti rappresentati in parlamento e dei mass-media del regime capitalista neofascista sostengono il SI’ e i sondaggi finora lo danno in netta maggioranza. Non bisogna dare per scontato l'esito di questa importante battaglia, così come non ci facemmo scoraggiare dai sondaggi avversi nella battaglia referendaria del 2016. Poiché in questo referendum non è previsto quorum un solo NO in più è sufficiente per la vittoria.
Il Comitato centrale del PMLI
Firenze, 15 febbraio 2020