Frutto dei governi Conte 1 e 2
Crisi dell'industria: -1,3% nel 2019
Per l'Istat è il calo più forte dal 2013
I segnali c'erano già stati. Tutti gli ultimi mesi del 2019 registravano un calo della produzione. Poi a febbraio di quest'anno i dati dell'Istat hanno certificato la crisi dell'industria italiana con un calo produttivo dell'1,3%, in termini tendenziali annui del 4,3. È la prima diminuzione dal 2014, quella più ampia dal 2013. Dopo i dati negativi di Germania (-3,5% a dicembre, -6,8% sull’anno) e Francia (-2,8%, -3% annuo) si accoda anche l’Italia, che chiude il 2019 col segno meno.
Ad eccezione dei primi tre mesi, nel resto dell'anno ci sono state solo perdite. Nel complesso del quarto trimestre il livello della produzione registra una flessione dell’1,4% rispetto al precedente mentre, nel solo mese di dicembre rispetto a novembre, il calo è del 2,7%. Nel commento al rapporto la stessa Istat afferma che “tra i principali raggruppamenti di industrie, la flessione è stata più marcata per i beni intermedi, meno forte per i beni strumentali. Un lieve incremento ha caratterizzato, d’altra parte, la produzione di beni di consumo e di energia.”
Nello specifico a dicembre si registrano accentuate diminuzioni per la fornitura dell'enegia elettrica e gas (-5,3%), metallurgia (-7,3%), fabbricazione di macchinari (-7,7%) fino al tracollo del settore automobilistico che se preso a parte registra una perdita del 13,9%. Sicuramente avrà pesato il calo generale delle vendite delle vetture e il fatto che l'Italia fornisce molte componenti per l'industria tedesca e dell'auto in particolare che, dopo anni di espansione, nel 2020 ha subito una forte contrazione.
I settori di attività economica che registrano incrementi tendenziali sono soltanto la fabbricazione di computer, prodotti di elettronica e ottica (+5,3%), l’industria alimentare, bevande e tabacco (+2,9%) e le rimanenti industrie non classificate (+1,1%). Se applichiamo gli stessi parametri del PIL, potremmo dire che il settore industriale è in recessione, e le stime generali non dicono niente di buono. Ogni mese che passa le previsioni sulla crescita si vanno sempre più sgonfiando e le ultime proiezioni parlano di un +0,2% per il 2020, tutto da verificare.
Si profila all'orizzonte una nuova crisi economica generale, sta di fatto però che l'Italia è quasi sempre il fanalino di coda dell'Europa: quando c'è crescita arranca di poco sopra lo zero, quando c'è un calo subiamo maggiori ripercussioni. Le chiacchiere e i proclami di Conte, Salvini e Di Maio, e poi anche di Zingaretti, lasciano il tempo che trovano perché proprio con gli ultimi due governi la produzione industriale del nostro Paese ha iniziato di nuovo a scendere.
Alla congiuntura internazionale dobbiamo sommare l'incapacità dei governi borghesi di sviluppare una politica industriale che vada al di là degli incentivi alle aziende e alla precarizazzione del lavoro che non hanno prodotto niente di buono. I decreti milleproroghe, i condoni, il reddito di cittadinanza, non hanno creato un solo posto di lavoro. Hanno intaccato la produzione e l'occupazione anche la gestione fallimentare dell'acciaio, con le vertenza dell'Ilva di Taranto e della Jindal di Piombino (LI) e l'arrendevolezza di fronte ai capitalisti che delocalizzano le aziende italiane o con sede nel nostro Paese.
Con la Germania che assorbe il 12,5% del nostro export in crisi, la Cina in rallentamento anche a causa del Coronavirus, con il mercato interno stagnante, l'Italia potrà facilmente tornare in recessione. L'unica speranza per il governo PD-5 Stelle è che in una situazione di crisi generalizzata potrà facilmente invocare le cosiddette “circostanze eccezionali” che bloccheranno sul nascere le tentazioni europee di avviare le procedure d’infrazione per mancato rispetto degli impegni sul deficit e sul debito e magari sperare nell'introduzione di profonde modifiche al Patto di stabilità. Insomma, mal comune mezzo gaudio.
Altro che “fase due”, “rilancio dell'economia interna”. Qui sono in discussione anche quelle misure propagandistiche che il governo Conte-bis ha mediaticamente annunciato come la revisione delle aliquote Irpef e la riduzione del cosiddetto “cuneo fiscale” (ovvero l'estensione della platea che riceve gli 80 euro di Renzi) promesse per luglio. Invece si profila all'orizzonte un aumento delle aliquote iva che finora è stato scongiurato.
Senza alcun intervento di rilancio dell'economia reale, con investimenti pubblici, aumenti dei salari e sostegno al mercato interno, il 2020 si prospetta come un anno di recessione o al massimo “di transizione”, ossia di stallo. Che non toccherà le tasche dei capitalisti ma sicuramente quelle dei lavoratori e delle masse popolari.
19 febbraio 2020