Elezioni parlamentari in Iran
Astensionismo record. Alle urne solo il 42,57%
A Teheran l'80% diserta le urne. I seguaci di Khamenei battono quelli di Rohani

 
Il ministro dell'Interno iraniano Rahmani Fazli al momento di rendere noti i risultati ufficiali delle elezioni parlamentari del 21 febbraio per il rinnovo del Majlis, l'Assemblea legislativa della Repubblica islamica, non poteva che partire dal dato dei votanti, “oltre 24 milioni sui circa 58 milioni di aventi diritto ad aver votato. L'affluenza è stata il 42,57%”, ossia un record per la diserzione delle urne balzata al 57,43%. “Tenendo in considerazione lo scoppio del coronavirus nel Paese, le conseguenze politiche dell'abbattimento dell'aereo dell'Ukrainian Airlines vicino a Teheran, che ha provocato la morte di tutti i 176 passeggeri a bordo e gli scontri scoppiati in seguito alle proteste in diverse città iraniane sul caro benzina, tale affluenza alle urne è 'abbastanza accettabile'”, commentava il ministro per tentare di giustificare una partecipazione mai così bassa dalla nascita della Repubblica islamica nel 1979.
Finora il dato più negativo per il governo era il 51% dei votanti alle legislative del 2004, risalito al 66% del 2012 e attestato al 62% alle elezioni di quattro anni fa. Un contributo al record della diserzione delle urne lo davano le grandi città con la capitale Teheran che arrivava all'80%.
Certamente il governo di Teheran e la Guida Suprema dell'Iran, l'Ayatollah Khamenei, si vantano di avere una democrazia borghese maggiormente rappresentativa col sistema iraniano rispetto alle monarchie assolute di tanti paesi arabi reazionari della regione. Ciò non toglie che sia forte la delegittimazione uscita dalle urne il 21 febbraio anzitutto per il governo in carica del presidente Hassan Rohani ma anche per i seguaci di Khamenei pur usciti vincitori tra la minoranza degli elettori che hanno votato.
Nel sistema politico della Repubblica islamica è previsto che il presidente e il parlamento siano eletti direttamente dagli elettori ma su una lista che viene definita, dopo un esame dei candidati, dal Consiglio dei Guardiani della Costituzione, l'organismo composto da 6 membri del clero scelti dal leader supremo e 6 giuristi nominati dal potere giudiziario e approvati dal Majlis.
L'Assemblea legislativa della Repubblica islamica è composta da 290 parlamentari e ha un mandato di quattro anni. I candidati sono presentati in 200 collegi dove per essere eletti devono raggiungere la soglia del 25% dei voti validi al primo turno altrimenti è previsto il ballottaggio. Alle minoranze religiose spettano cinque seggi: uno agli ebrei, uno agli zoroastriani, un seggio condiviso per assiri e caldei e due per gli armeni.
Al voto del 21 febbraio si erano presentati circa 16 mila candidati, tagliati oltre la metà dal Consiglio dei Guardiani che ne ha ammessi solo 7.300, sollevando molte proteste soprattutto tra le opposizioni che hanno dato vita alle recenti manifestazioni di piazza e che avevano indicato il boicottaggio del voto.
Il nuovo Majlis sarà controllato dai seguaci di Khamenei che hanno ottenuto circa 221 seggi sui 290 sconfiggendo quelli del presidente Rohani che ha perso consensi e seggi soprattutto a Teheran e nelle grandi città.
Una sconfitta del “moderato” Hassan Rouhani che ha lavorato dal primo mandato nel 2013, e con la riconferma nel 2017, per aprire l'Iran verso i paesi imperialisti occidentali, aumentare gli scambi commerciali e finanziare le promesse riforme politiche e sociali, che non ci sono state. Le aperture conquistate nei nuovi rapporti costruiti con gli Usa di Obama non sono sopravvissute alla presidenza Trump che col ritiro dall’accordo sul nucleare nel 2018 e l'imposizione delle sanzioni economiche ha aggravato gli effetti della crisi economica e il suo peso sulle masse popolari, a partire dall'impennata dei prezzi causata da un'inflazione al 33%. Azioni non compensate dallo sviluppo dei rapporti economici e politici coi nuovi paesi amici, Russia e Cina, che hanno supportato le ambizioni imperialiste e egemoniche locali iraniane verso Iraq, Siria, Libano e Yemen nella misura in cui erano funzionali alla loro azione di penetrazione nella regione dove spadroneggiava il rivale imperialista Usa.
 

26 febbraio 2020