A chi allude veramente il capomafia stragista palermitano?
Il boss Graviano: Da latitante ho incontrato Berlusconi tre volte prima che egli fondasse FI
Per il legale dell'ex premier sono affermazioni “destituite di ogni fondamento”
“Ho incontrato Silvio Berlusconi per tre volte”, l’ultima “poco prima del Natale 1993”, quando ero ancora latitante; lui sapeva benissimo chi ero perché io “ho condotto la mia latitanza nel Milanese tra shopping in via Montenapoleone e teatri, insomma facevo la bella vita... Un rapporto bellissimo... L’ultima volta, c’è stata una cena a Milano 3. Io, mio cugino Salvo e Berlusconi, c’era qualche altra persona… discutiamo di formalizzare le società”.
Sono alcuni dei passaggi chiave dell'interrogatorio reso in videoconferenza il 7 febbraio scorso dal boss Giuseppe Graviano davanti alla Corte d’assise di Reggio Calabria nell'ambito del processo “‘Ndrangheta stragista” nel quale l’ex boss del quartiere palermitano di Brancaccio, già pluricondannato all’ergastolo per le stragi del 1992-‘93, è accusato fra l'altro di essere il mandante dell'omicidio dei due carabinieri Antonino Fava e Giuseppe Garofalo assassinati a Scilla il 18 gennaio 1994.
Graviano rompe così un silenzio che durava da 26 anni, da quando venne arrestato a Milano il 27 gennaio 1994.
“Fu mio nonno materno, Filippo Quartararo, un ricco commerciante di ortofrutta, ad essere invitato ad investire al Nord, nell’edilizia - racconta il boss - Ma non aveva tutti i soldi, si misero insieme varie persone. Il contatto è col signor Berlusconi, glielo dico subito – precisa ancora Graviano anticipando la domanda del procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo - A mio nonno chiesero 20 miliardi di lire in cambio il 20 per cento”. Gli investimenti riguardavano “Milano3, le televisioni, tutto... Quando poi ammazzarono mio padre, mi prese in disparte e disse: 'Ora te ne devi occupare tu'. Così io e mio cugino Salvo siamo partiti per Milano. E mio nonno ci presentò al signor Berlusconi... Il primo incontro avvenne all’hotel Quark, nel 1983”. I dividendi erano gestiti da mio cugino Salvo Graviano – deceduto diversi anni fa - “C’è una scrittura privata” che lo conferma. Mio Cugino Salvo mi ha anche riferito che “già nel 1992 Berlusconi voleva scendere in politica” ma poi si è rivelato un “traditore quando si parlò dell’abolizione dell’ergastolo e lui chiese di non inserire quelli delle stragi”.
Accuse che l’avvocato dell'ex premier, Niccolò Ghedini, definisce: “Totalmente e platealmente destituite di ogni fondamento... Frasi che hanno lo scopo di ottenere solo benefici processuali o carcerari”.
Perché Graviano si è deciso a “vuotare il sacco” proprio adesso, dopo un silenzio durato per più di un quarto di secolo? Anche la fase politica e soprattutto il linguaggio allusivo e minaccioso, in perfetto stile mafioso, scelto da Graviano per fare le sue “rivelazioni” non contro Berlusconi premier, ma contro Berlusconi “pensionato” ormai messo ai margini della scena politica e con FI al minimo storico, risultano alquanto sospette.
Dunque a chi si rivolge veramente l'ex boss di Brancaccio? Molto probabilmente i veri destinatari delle minacce sono i massimi vertici politici, economici e istituzionali che negli anni hanno favorito, garantito e che tutt'ora hanno la forza e il potere di coprire la criminale collusione fra Stato e mafia. Le sue “rivelazioni” in realtà sono avvertimenti di chiaro stampo mafioso specie quando si rivolge direttamente al Pm e ammicca: “Se lei mi vorrà ascoltare le darò elementi per capire chi ha ucciso il poliziotto Agostino, per trovare l’Agenda rossa di Borsellino e tante altre cose”.
Che tradotto dal gergo mafioso vuol dire: posso continuare o meno a parlare e soprattutto rivelare patti, verità inconfessabili e tutte le criminali connivenze fra Stato-mafia-servizi segreti che si adombrano dietro le stragi mafiose del biennio '92-'93 e il disegno politico di cui facevano parte.
Non solo, e forse non a caso, Graviano lancia messaggi cifrati anche sulla sorte dell'ingente patrimonio accumulato dalla famiglia mafiosa grazie soprattutto agli investimenti nelle aziende di Berlusconi e forse per questo mai sequestrato dagli inquirenti. Non a caso il suo ex autista, Fabio Tranchina, ha aggiunto: “La potenza economica dei Graviano è più importante di quanto si possa pensare”.
Ma allora a chi si rivolge veramente Graviano quando, professandosi innocente e addirittura vittima di accuse ingiuste nei suoi confronti, avverte: “È vergognoso quello che è stato fatto a me, io tutta questa fiducia alla pubblica accusa e ai presidenti ora tutti indagati con la Saguto... insomma, io tutta ’sta fiducia nella giustizia italiana non ce l’ho... Io sto dando degli elementi: se volete indagare, indagate, io mi sono fatto 26 anni di carcere e me li sto facendo con dignità. Io sto bene in carcere, siamo di passaggio in questo mondo. Tutti eroi, in Italia sono. Vediamo se sono eroi oppure arrivisti...Io adesso non sto facendo niente, io adesso sto dicendo solo qualcosa. Ma posso dire ancora tante altre cose”.
I “pentiti” raccontano che Graviano era a capo dei sicari scelti da Riina per uccidere Falcone nel marzo 1992 a Roma. Poi arrivò il contro ordine. Rientrato a Palermo, l'ex boss di Brancaccio, procurò gran parte dell’esplosivo utilizzato nella strage di Capaci e appena un mese dopo, curò anche i preparativi per uccidere Borsellino. Fu lui ad azionare il telecomando in via D’Amelio. E dunque saprà di certo anche chi è il “misterioso artificiere” visto dal “pentito” Gaspare Spatuzza nel garage dove veniva imbottita di tritolo la Fiat 126 utilizzata per la strage. E fu sempre Graviano, dopo l'arresto di Riina, il 15 gennaio 1993, insieme a Bagarella e Messina Denaro a decidere l'assassino di Don Pino Puglisi, a piazzare la bomba negli Uffizi di Firenze e a progettare gli attentati di Roma alla chiesa di San Giorgio in Velabro e allo stadio Olimpico.
Perché Graviano continuò a seminare morte e terrore nonostante alcuni boss di primo piano della mafia come i Ganci della Noce fossero contrari? Chi suggerì a Graviano di continuare con le bombe e gli attentati fino al '94? E perché Graviano alla fine di quella stagione di sangue annuncia a Spatuzza, al bar Doney, a Roma: “Abbiamo il paese nella mani” alludendo ai stretti rapporti con Berlusconi e Dell'Utri? E perché il suo arresto avvenne subito dopo tali rivelazioni proprio a Milano?
“Un arresto anomalo” come lo definisce oggi Graviano che in gergo mafioso vuol dire: “chi mi ha tradito”?
E infine: perché Graviano, dopo tanti rifiuti, si è deciso proprio ora a confermare per la prima volta in un’aula di tribunale le intercettazioni effettuate dagli inquirenti mentre parlava con un compagno di detenzione, Umberto Adinolfi, nel 2016-2017 nel carcere di Ascoli Piceno?
Il suo sembra suonare come un avvertimento ai potenti mandanti politici e istituzionali della trattativa Stato-mafia e finora rimasti in ombra e impuniti.
26 febbraio 2020