Acquisire la cultura storica dell’8 Marzo
di Monica Martenghi *
Eccoci di nuovo all’8 Marzo, un appuntamento annuale importantissimo per fare il punto sulle condizioni delle donne e lanciare le loro rivendicazioni.
L’8 Marzo è stato istituito nel 1921 dalla Conferenza internazionale delle donne comuniste per ricordare la grande manifestazione delle donne di Pietrogrado, l’8 Marzo 1917, che contribuì a creare le condizioni della Grande Rivoluzione Socialista d’Ottobre.
In Italia da allora e fino agli anni ‘70 del Novecento l’8 Marzo era parte integrante della lotta per il socialismo. Poi, a mano a mano che il PCI revisionista si spostava a destra, l’8 Marzo si è scolorito perdendo il rosso fino a diventare una festa consumistica e privata piccolo borghese.
Solo da quattro anni, su iniziativa encomiabile del Movimento Non Una di Meno, l’8 Marzo è tornato a essere una giornata di lotta, pur senza il carattere di classe proletario e rivoluzionario delle origini, e le donne, specie le giovani, sono ritornate fieramente in piazza. Anche le operaie e le lavoratrici, grazie all’inedita iniziativa del suddetto Movimento che ha lanciato lo sciopero “globale contro la violenza maschile” nel giorno della Ricorrenza. Quest’anno lo sciopero avverrà il 9 marzo perché l’8 cade di domenica. I sindacati non confederali meritevolmente ne hanno assicurato la copertura sindacale, mentre vergognosamente i confederali Cgil, Cisl e Uil non hanno raccolto la richiesta del Movimento. Purtroppo però la Commissione di garanzia ha vietato lo sciopero col pretesto dell'emergenza sanitaria. Violando il diritto di sciopero e le libertà costituzionali.
L’8 Marzo è nato come Giornata internazionale delle donne istituita nel 1910 dalla Conferenza delle donne socialiste di Copenaghen per ricordare il martirio delle 129 operaie della Cotton di New York morte due anni prima nell’incendio della fabbrica in cui il padrone le aveva rinchiuse. A promuoverla furono le marxiste-leniniste russe ed europee ispirate da Lenin.
Oggi questa Giornata, giacché le femministe hanno l’egemonia dell’8 Marzo, non ha più l’impronta di classe e internazionalista proletaria di allora, tuttavia mantiene il carattere internazionale, e le operaie e le lavoratrici, che grazie allo sciopero possono partecipare alle manifestazioni, hanno la possibilità di riequilibrare il rapporto con le donne piccolo borghesi e il rapporto tra diritti sociali e diritti civili.
In ogni caso l’una e l’altra componente delle masse femminili ha valori, esigenze, problemi e rivendicazioni che le accomuna e che richiedono una attiva unità di azione politica e sindacale tra di esse per essere tutelati, difesi e realizzati.
Le condizioni delle donne
C’è bisogno di fare fronte unito perché l’oppressione, le disuguaglianze e le discriminazioni di genere nel mondo e in Italia sono sempre più profonde e violente.
In Italia appena il 48% delle donne fra i 25 e i 64 anni hanno un lavoro (per gli uomini la percentuale è intorno al 70%). Ed è un lavoro in genere assai peggiore di quello degli uomini per trattamento economico, qualifiche, orario anche a parità di livelli di istruzione. Si tratta di un lavoro per lo più precario, a part-time, stagionale, dequalificato e comunque pagato con salari e stipendi mediamente inferiori del 23% rispetto a quelli maschili. Secondo il rapporto del World Economic Forum 2017 sul divario retributivo di genere, l’Italia si colloca all’82° posto su 144 paesi al mondo.
Il 27,1% delle ragazze fra i 15 e i 29 anni né studia né lavora. Quasi il doppio nel Meridione. Una vera e propria emergenza nazionale.
Secondo il rapporto Svimez 2019, le regioni del nostro Meridione occupano gli ultimi posti in Europa per tasso di attività femminile e occupazione femminile. Al Sud la disoccupazione femminile è intorno al 20%, valore più che doppio rispetto al Centro-Nord e quasi triplo rispetto alle media europea.
Il lavoro part-time fra le lavoratrici è cresciuto nell’ultimo decennio del 22%. Ormai circa un terzo delle donne occupate (il 32,4%) lavora part-time. Nel 2008 la percentuale era del 27,8%. L’incremento del part-time è interamente involontario e determinato esclusivamente dalla carenza di offerte di lavoro a tempo pieno.
Le donne che non risultano occupate in realtà spesso fanno un lavoro ancor più pesante e brutale come il lavoro nero, a cottimo, a domicilio, stagionale, nelle campagne sotto il regime del caporalato. E poi c’è il casalingato a tempo pieno forzato per mancanza di lavoro e di servizi che costringe ancora milioni di donne ad occuparsi 24 su 24 del lavoro domestico e familiare, di figli, nipoti, genitori, anziani, diversamente abili, malati e non autosufficienti, una vera e propria forma di schiavitù domestica e familiare. Una schiavitù alla quale non si possono sottrarre nemmeno le donne lavoratrici delle classi subalterne.
La crisi economica e finanziaria del capitalismo, il liberalismo dominante e dilagante, i capestro parametri europei e l’infame pareggio di bilancio inserito nella Costituzione italiana per responsabilità sia della destra che della “sinistra” del regime capitalista neofascista imperante, hanno aggravato ulteriormente queste condizioni attraverso la progressiva privatizzazione della sanità e dei servizi sociali pubblici, i massicci tagli alla spesa sociale destinata all’edilizia pubblica, alla prevenzione della salute delle donne, a servizi quali asili, scuole, mense, consultori, centri antiviolenza, Sert. L’Istat parla di 2 milioni e 470 mila donne già in condizione di assoluta indigenza e 4 milioni e 669 mila in povertà relativa.
Gli asili nido pubblici e privati coprono appena il 25% dei bambini sotto i tre anni. Una percentuale assai lontana da quel già striminzito 33% che era l’obiettivo minimo stabilito dal Consiglio europeo di Lisbona ormai venti anni fa.
Nel Mezzogiorno solo un terzo dei comuni offre il servizio degli asili nido pubblici. La forbice per regione va dal 42% dell’offerta della Valle d’Aosta al 6,6% della Campania.
La sanità pubblica sta peggiorando a vista d’occhio. Sono già 70 mila i posti letto persi dal 2009 al 2017 negli ospedali pubblici. I Consultori che dovrebbero essere i primi presidi di prevenzione e cura della salute delle donne sono quasi inesistenti nei piccoli centri specie nel Sud. Invece di essere incrementati vengono inesorabilmente chiusi anche nelle grandi città come Roma dove sono stati sbarrati 22 consultori solo negli ultimi anni.
Mentre Salvini sferra il suo ennesimo violento attacco al diritto di aborto e criminalizza vigliaccamente le donne che abortiscono sostenendo nell’incontro su Roma capitale che “l’aborto non è un rimedio a uno stile di vita incivile”, la realtà dice che 7 medici su 10 sono “obiettori di coscienza” e che ciò rende praticamente un calvario trovare un ospedale dove le donne possono interrompere la gravidanza. Torna così a dilagare l’aborto clandestino.
La violenza maschile sulle donne, come sulle persone LGBTIA+ non conosce tregua. Secondo recenti dati Istat 88 sono i casi di violenza al giorno, uno ogni quarto d’ora.
In media, ogni 72 ore una donna viene uccisa in Italia per violenza di genere. Nel 2018 le vittime sono state 142 e di queste 119 sono le donne uccise in famiglia. È il livello più alto mai registrato in Italia, attestandosi sul 40,3% sul totale di tutti gli omicidi, contro il 35,6% dell’anno precedente e il 29,8% del periodo che va dal 2000 al 2018.
La campagna razzista, xenofoba, omofoba e maschilista, per la “famiglia naturale” che dilaga da parte delle organizzazioni neonaziste e neofasciste ma anche da parte dei partiti della destra come la Lega dell’aspirante duce d’Italia Salvini e Fratelli d’Italia della ducetta Meloni, nonché i decreti sicurezza hanno fomentato ancor più questa escalation. Questi decreti, che l’attuale governo si è guardato bene dall’abrogare, rendono le migranti ancor più esposte ad ogni forma di violenza e sopruso e le lascia in balia della tratta di donne e ragazze, della clandestinità e della prostituzione.
A poco vale aver inasprito le pene per i reati di violenza di genere con il tanto sbandierato “Codice rosso”, approvato in pompa magna e con la quasi unanimità parlamentare nel luglio scorso, quando poi si chiudono i centri anti-violenza per mancanza di fondi, non si offre alle donne che denunciano, spesso con figli piccoli, tutta l’assistenza economica, sociale e morale di cui hanno bisogno e si lascia in piedi i decreti sicurezza e il ddl Pillon che vanno proprio nel segno opposto rendendo più difficile e problematico per le donne che non hanno i mezzi economici e le migranti denunciare i propri aguzzini. I finanziamenti pubblici per i centri antiviolenza sono pari a 0,76% centesimi per ogni donna che vi si rivolge.
Le cause
La responsabilità di questa condizione delle donne non è semplicemente frutto di un residuo del patriarcato o della “società maschilista” a cui contrapporre una “società femminista”, come sostengono alcune teoriche femministe borghesi.
La responsabilità di questa condizione ricade interamente sul capitalismo e sulla cultura borghese, di cui sono parte integrante e fondamento la concezione patriarcale e maschilista dei rapporti fra i sessi e della famiglia, che sono funzionali all’organizzazione e alla conservazione del sistema di sfruttamento dell’uomo sull’uomo e alla realizzazione del massimo profitto capitalistico.
A questo proposito è utile leggere o rileggere la grande opera di Engels, di cui il 28 novembre prossimo ricorre il Bicentenario della nascita, “L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato” per capire il nesso profondo fra capitalismo e subalternità delle donne nella famiglia e nella società borghese.
Le donne nel capitalismo sono la colonna portante della famiglia intesa come cellula economica di base della società. Questa famiglia, gerarchizzata al suo interno, è come una piccola azienda inserita nella più grande produzione capitalistica. Attraverso la schiavitù domestica e familiare delle donne il capitalismo si assicura servizi sociali e assistenziali privati senza sottrarre un centesimo ai suoi profitti. La famiglia è il principale e irrinunciabile ammortizzatore sociale della società capitalistica.
Questo ruolo della donna nella famiglia e nella società viene presentato come un destino ineludibile, inscindibile dalla loro funzione riproduttiva e viene ipocritamente giustificato ed edulcorato dagli ideologi borghesi e cattolici invocando una presunta “vocazione naturale” delle donne alla maternità, al “lavoro di cura” e alla famiglia.
Il messaggio sociale che veicolano è quello che le donne sono di fatto esseri inferiori, oggetti di piacere e di servizio per i mariti, i partner e la famiglia intera, il cui ruolo sociale è del tutto marginale e inferiore, incapaci di assumere decisioni indipendenti e autonome rispetto ai genitori prima, al marito e ai figli poi. Non stupisce quindi che la violenza sulle donne viene perpetrata soprattutto in famiglia, da parte di mariti, fidanzati, ex partener e parenti che vogliono riaffermare il proprio diritto di proprietà, dominio e controllo sulle donne.
Le masse femminili non potranno dunque aspirare alla vera uguaglianza e parità fra i sessi fermo restando l’organizzazione economica, sociale, culturale e statale capitalistica. La partecipazione al lavoro produttivo e la socializzazione del lavoro domestico sono le due leve principali che esse devono utilizzare per avanzare sulla via della loro emancipazione, ma essa si potrà realizzare completamente e definitivamente solo attraverso un radicale cambiamento sociale, ossia facendo tabula rasa del capitalismo e costruendo sulle sue macerie la nuova società socialista.
Le rivendicazioni
Il Movimento delle donne cominci perciò ad allargare il proprio campo d’azione, evitando di concentrarsi esclusivamente sui temi della violenza di genere e dei diritti civili. Inoltre allarghi ancor più la partecipazione delle operaie, delle lavoratrici, delle disoccupate, delle studentesse ponendo all’ordine del giorno i diritti economici e sociali delle masse femminili. Siamo convinte che ciò, come è stato in passato, può produrre effetti positivi anche sulla battaglia contro la violenza di genere e i diritti civili. Occorre che vengano poste con forza grandi battaglie strategiche come quella per il lavoro che deve essere a tempo pieno, a salario intero e sindacalmente tutelato per tutte le donne, come quella per la costruzione di una fitta rete di servizi sociali, sanitari e scolastici pubblici in tutto il territorio nazionale, a partire dal Mezzogiorno. A esse vanno affiancate le battaglie per il diritto alla casa per tutti; per una sanità pubblica, universale, gratuita; per il diritto alla salute delle donne, medicina di genere, consultori pubblici autogestiti in tutte le città; il diritto per tutti, ivi compreso le coppie di fatto, omosessuali e singoli, ad accedere gratuitamente alla fecondazione assistita” “omologa” e non, alla “maternità surrogata” nelle strutture pubbliche; per il divieto di avvalersi dell’“obiezione di coscienza” da parte dei medici; per la libertà di aborto per le minorenni nelle strutture pubbliche senza il consenso dei genitori o del giudice tutelare; per nuovi farmaci e biotecnologie accessibili a tutti, farmaci antitumorali gratuiti; per il diritto all'eutanasia; per la piena assistenza pubblica e gratuita ai disabili; per il finanziamento diretto dei centri antiviolenza e per la loro costruzione dove non ci sono autogestiti dalle donne stesse; per misure che garantiscano con certezza la sicurezza sul lavoro e la sicurezza e la salute ambientale. Occorre richiedere l’abrogazione della “riforma Fornero” e delle controriforme delle pensioni che l'hanno preceduta, ripristinando un sistema pensionistico pubblico, universale, unificato, a ripartizione, e istituendo la pensione a 60 anni per gli uomini e 55 per le donne. In questo quadro respingere “quota 100” e le proposte che si paventano in sua sostituzione. Occorre combattere la povertà delle donne respingendo l’elemosina del fallimentare “Reddito di cittadinanza” rivendicando l’aumento dei salari e delle pensioni, il lavoro per le disoccupate e le inoccupate, l’eliminazione della precarietà e la gratuità dei servizi sociali, sanitari e assistenziali pubblici.
Occorre battersi per l’abrogazione dei decreti Sicurezza e contro il ddl Pillon.
Dobbiamo mobilitarci per sostenere il NO al referendum del 29 marzo prossimo perché Il taglio dei parlamentari è un taglio alla democrazia e all'elettoralismo borghesi. Come avvenne sotto la dittatura fascista di Mussolini. Dobbiamo impedire che il governo sospenda le manifestazioni e militarizzi le città prendendo a pretesto il coronavirus.
Il ruolo delle donne
Come ha rilevato il compagno Giovanni Scuderi, Segretario generale del PMLI, le grandi manifestazioni e mobilitazioni delle donne negli ultimi anni dimostrano che “Le masse femminili italiane sono una componente pensante, combattiva e di avanguardia fondamentale del movimento anticapitalista”. Hanno infatti dimostrato di avere un grande bisogno e una spontanea spinta al cambiamento sociale, ma ancora non hanno capito in cosa deve consistere questo cambiamento, a quale società occorre aspirare, quali sono i mezzi e i modi per raggiungerla. In questo modo rimangono prigioniere delle teorie femministe e riformiste che non vanno oltre il parlamentarismo e il costituzionalismo borghesi, lasciando quindi in piedi il capitalismo.
Sul ruolo delle donne lavoratrici nella lotta anticapitalista e per la costruzione della nuova società socialista, Stalin ha scritto queste bellissime e significative parole, in occasione dell’8 Marzo 1925: “Nessun grandioso movimento di oppressi, nella storia dell’umanità poté fare a meno della partecipazione delle donne lavoratrici. Le donne lavoratrici, le più oppresse fra tutti gli oppressi, non sono mai rimaste e non potevano rimanere lontane dalla via maestra del movimento di emancipazione. Il movimento di emancipazione degli schiavi fece uscire dal suo seno, come è noto, centinaia e migliaia di grandi martiri ed eroine. Nelle file dei combattenti per l’emancipazione dei servi della gleba si trovavano decine di migliaia di donne lavoratrici. Non c’è da meravigliarsi che il movimento rivoluzionario della classe operaia, il più potente di tutti i movimenti di emancipazione delle masse oppresse, abbia attratto sotto le sue bandiere milioni di donne lavoratrici”.
“Le donne lavoratrici
– dice più oltre Stalin – operaie e contadine costituiscono una grandissima riserva della classe operaia. Questa riserva rappresenta una buona metà della popolazione. La sorte del movimento proletario, la vittoria o la sconfitta della rivoluzione proletaria, la vittoria o la sconfitta del potere proletario dipenderanno dall’atteggiamento favorevole o sfavorevole che la riserva femminile prenderà verso la classe operaia. Perciò il primo compito del proletariato e del suo reparto d’avanguardia, il partito comunista, consiste nel condurre una lotta risoluta per emancipare le donne, le operaie, e le contadine dall’influenza della borghesia; per l’educazione politica, per l’organizzazione delle operaie e delle contadine sotto la bandiera del proletariato”.
“Ma le donne lavoratrici
– precisa Stalin – non sono solo una riserva. Esse possono e devono diventare se la politica della classe operaia sarà giusta, un vero esercito della classe operaia, operante contro la borghesia. Forgiare dalla riserva di lavoro femminile un esercito di operaie e di contadine operante fianco a fianco con la grande armata del proletariato, in ciò consiste il secondo e decisivo compito della classe operaia”.
(La giornata internazionale della donna, 8 Marzo 1925 – Opere complete, Edizione Rinascita, vol. 7, pagg. 60-61)
Facciamo nostre le parole e le esortazioni di Stalin, che possono essere applicate, adattandole, anche nelle condizioni dell’Italia capitalista. In particolare il richiamo a “condurre una lotta risoluta per emancipare le donne, le operaie e le contadine dall’influenza della borghesia; per l’educazione politica, per l’organizzazione delle operaie e delle contadine sotto la bandiera del proletariato”.
È compito in particolare delle marxiste-leniniste far comprendere alle nuove avanguardie delle donne, soprattutto alle operaie sindacalizzate e alle giovani rivoluzionarie, che devono acquisire la cultura, la coscienza, la pratica e la mentalità proletaria rivoluzionaria attraverso lo studio e l’applicazione del marxismo-leninismo-pensiero di Mao e della linea del PMLI perché non c’è futuro, non c’è giustizia sociale, non c’è emancipazione delle donne se non si abbatte il capitalismo e il potere della borghesia e non si conquista il socialismo e il potere politico del proletariato.
Solo forti di questa concezione le avanguardie femminili possono mettere in condizione il Movimento delle donne di sottrarsi alle direzioni riformiste, parlamentariste ed elettoralistiche. In questo senso possono dare un contributo fondamentale anche a tutti gli altri movimenti antigovernativi, antifascisti, antirazzisti, antimafiosi, antisecessionisti regionali, studenteschi, ambientalisti, dei quali le donne e le ragazze sono una componente particolarmente attiva, combattiva e di avanguardia.
L'Italia si cambia solo sviluppando fino in fondo la lotta di classe contro il capitalismo, la classe dominante borghese e i suoi governi qualunque etichetta essi portano, compreso il Conte 2.
Noi marxisti-leninisti italiani, donne e uomini e di qualunque orientamento sessuale, cercheremo di spingere la lotta di classe fino all'insurrezione del proletariato e delle masse lavoratrici e popolari, fino alla conquista del socialismo e poi del comunismo. Solo così potremo garantire alle donne e all’intera umanità un futuro di libertà, giustizia ed emancipazione. Che le donne operaie e lavoratrici, le ragazze di avanguardia, acquisiscano la cultura storica dell’8 Marzo e la facciano vivere nella lotta di classe.
Buon 8 Marzo, alle nostre compagne, militanti e simpatizzanti del PMLI, e a tutte le marxiste-leniniste italiane e del mondo intero!
Buon 8 Marzo militante e solidale alle operaie e alle lavoratrici della Piaggio di Pontedera e della Whirlpool di Napoli e a tutte le altre lavoratrici che si stanno battendo con tanto coraggio e sacrifici per difendere il loro posto di lavoro!
Buon 8 Marzo a tutte voi operaie, lavoratrici, pensionate, disoccupate, cassintegrate, precarie, migranti, studentesse che subite ogni giorno le angherie del regime e del capitalismo ma continuate a difendere i vostri diritti e quelli di tutto il popolo nelle fabbriche, nei campi, negli uffici, nelle scuole, nelle università e nelle piazze!
Viva l’8 Marzo, che riacquisti il carattere storico della Giornata internazionale delle donne!
Uniamoci contro il governo trasformista liberale Conte al servizio del regime capitalista neofascista!
Uniamoci per conquistare il socialismo e il potere politico del proletariato!
Coi Maestri e il PMLI vinceremo!
* Responsabile della Commissione donne del CC del PMLI
4 marzo 2020