La famiglia Agnelli si compra “Repubblica”
La famiglia Agnelli, che nel 2016 aveva venduto il suo quotidiano storico “La Stampa” ai De Benedetti, se la riprende dopo tre anni comprandosi per soprammercato anche l'intero gruppo “Repubblica-L'Espresso”: questo l'esito della trattativa andata in scena tra novembre e dicembre 2019 tra il presidente e ad della Exor, la cassaforte finanziaria della famiglia Agnelli, John Elkann, e i figli di De Benedetti, Marco e Rodolfo, presidenti rispettivamente del gruppo Gedi e della Cir, la finanziaria che lo controlla.
Una trattativa svolta tutta alle spalle della Redazione e dei lavoratori de “La Repubblica e del suo direttore Carlo Verdelli, che fino al giorno prima dell'accordo avevano avuto rassicurazioni dal Marco De benedetti e dall'amministratrice delegata Laura Cioli che il quotidiano fondato da Scalfari non sarebbe stato venduto. Secondo l'accordo, che dovrebbe portare a completamento la transazione entro la primavera di quest'anno, la Exor comprerà per 102,5 milioni di euro da Cir il 43,78% di Gedi, la finanziaria quotata in Borsa che possiede “La Repubblica”, “La Stampa”, il “Secolo XIX”, il settimanale “L'Espresso” e una serie di quotidiani locali, oltre alla più redditizia divisione radiofonica della quale fanno parte “Radio DJ” e “Radio Capital”. La Cir resterà nel capitale azionario con un 5% di quote, ripetendo a parti invertite la transazione di tre anni fa quando fu la Exor a entrare nel capitale di Gedi col 5%.
È fallito dunque miseramente il tentativo di Carlo De Benedetti di costruire, con l'acquisizione nel 2016 dalla famiglia Agnelli de “La Stampa” di Torino e del “Secolo XIX” di Genova, il più grande gruppo dell'informazione borghese italiana e tra i maggiori della Ue, approfittando anche dell'uscita contemporanea della Exor dal capitale del “Corriere della Sera”, e in diretta concorrenza con l'altro monopolio editoriale italiano costituito dalla Mondadori e da “Il Giornale” appartenenti alla famiglia di Berlusconi.
D'altra parte, data anche l'insistenza della crisi che da anni colpisce l'intero settore dell'informazione, in particolare la carta stampata, le cose non erano andate secondo i piani e le ambizioni del magnate piemontese, che dopo aver già lasciato la presidenza della Cir al figlio Rodolfo, (che è riuscito a bruciare 2 miliardi di prestiti delle banche con investimenti sbagliati nelle centrali elettriche di Sorgenia) nel 2017 si era disimpegnato anche dalla Gedi affidandone la guida all'altro figlio Marco. Sta di fatto che il gruppo Gedi, secondo l'ultima trimestrale prima dell'accordo, registrava fatturato in discesa sia come vendite che pubblicità, soprattutto per quanto riguarda “Repubblica”, un calo di 18,3 milioni nel risultato netto e un indebitamento ingente. Dell'intero gruppo solo le radio producevano utili. In sostanza i figli di De Benedetti sono stati costretti a vendere la Gedi perché stava diventando un investimento insostenibile. Negli ultimi tempi la crisi era arrivata ad assumere anche tratti grotteschi, con il padre che accusava pubblicamente i figli di essere degli incapaci, responsabili di aver portato la Gedi vicino al collasso, e arrivando perfino ad avanzare un'offerta d'acquisto per 40 milioni, più una provocazione che altro, ricevendone in cambio un secco rifiuto accompagnato da insulti.
C'è da chiedersi invece che cosa abbia spinto la famiglia Agnelli-Elkann a ritornare sulla decisione di tre anni fa di lasciare le sue partecipazioni nel campo dell'informazione, al punto da riprendersi adesso non solo il suo quotidiano storico ma tutto il blocco dell'informazione di riferimento della “sinistra” borghese. Nel 2016 l'ex Fiat era in pieno allontanamento dall'Italia, stava assumendo la sua attuale dimensione multinazionale e perciò non aveva più bisogno, come ai tempi di Valletta e dell'avvocato Agnelli, di un quotidiano aziendale come “La Stampa” e della partecipazione con potere decisionale al giornale più influente della grande borghesia monopolistica, come il “Corriere”, per supportare direttamente i suoi interessi e influire sulle decisioni politiche. Da qui la decisione della Exor di uscire dalla carta stampata in Italia, pur mantenendoci un piede dentro con il 5% di Gedi. Mentre invece entrava a pieno titolo nel campo dell'informazione finanziaria internazionale, diventando primo socio del settimanale economico britannico “The Economist” con il 43,4%.
Nel commentare l'accordo John Elkann ha sottolineato che con questa operazione il gruppo da lui guidato “si impegna in un progetto imprenditoriale rigoroso per accompagnare Gedi ad affrontare le sfide del futuro. Exor assicurerà la stabilità necessaria per accelerare le trasformazioni sul piano tecnologico e organizzativo”, con particolare riferimento alla digitalizzazione. E ha anche assicurato che non cambierà la linea editoriale del gruppo che ora dirige. Ma queste sono tutte frasi di circostanza che non hanno per nulla tranquillizzato i giornalisti e gli altri lavoratori del gruppo, sia sul versante occupazionale che su quello dell'autonomia editoriale, tant'è che hanno effettuato anche uno sciopero.
La chiave per capire il senso di questa operazione sta piuttosto nella sua contemporaneità con con la fusione Fca-Peugeot e i probabili licenziamenti, se non chiusure di interi stabilimenti di Fca in Italia, che comporteranno presto i processi di ristrutturazione tecnologica, organizzativa e commerciale annunciati dalla nuova società. Il costo di 120 milioni per l'acquisto di Gedi è un'inezia per Elkann, considerato gli 1,6 miliardi incassati dalla Exor per la fusione con Psa-Peugeot. Basti pensare che appena qualche giorno prima la holding della famiglia Agnelli aveva speso 190 milioni per finanziare la Juventus, di cui detiene il 63%.
Con una manciata di milioni Fca e gli Agnelli si sono comprati dai semi falliti De Benedetti il più grande gruppo dell'informazione italiana, riferimento di tutta la “sinistra” riformista e liberale borghese, cosa che gli tornerà molto utile quando si tratterà di far ingoiare ai lavoratori e al Paese le dolorose ristrutturazioni e i licenziamenti che prima o poi arriveranno.
11 marzo 2020