Elezioni in Israele
Il 29% dell'elettorato diserta le urne, nei centri arabi il 35,3%
La coalizione di destra di Netanyahu batte il partito dei generali di Gantz. Insignificante il risultato della coalizione di “centro-sinistra”. Avanza la lista araba unita
Secondo i dati diffusi dalla Commissione elettorale centrale il 5 marzo, il Likud del premier Benyamin Netanyahu ha ottenuto 36 seggi, il partito Blu e Bianco di Benny Gantz 33 seggi e la Lista unita araba 16; la coalizione di destra che regge il governo non arriva però che a 58 seggi, tre in meno di quelli necessari per avere la maggioranza in parlamento. Le elezioni politiche del 2 marzo, le terze in poco meno di un anno, non hanno quindi sciolto la questione di chi deve governare a Tel Aviv dopo che la formazione laica di destra guidata dall'ex ministro Avigdor Lieberman a fine 2018 si era tirata fuori, contraria all'accordo sul cessate il fuoco a Gaza e chiedendo al premier sempre più legato alla destra religiosa di farsi da parte. La coalizione di destra di Netanyahu non riesce a conquistare la maggioranza dei seggi in parlamento, supera quella guidata dal partito dei generali di Gantz ma i rapporti di forza tra le due principali formazioni sioniste restano in equilibrio. Un equilibrio che finora è stato sfruttato dal leader del Likud per guidare un governo senza maggioranza in parlamento che è andato avanti di elezione in elezione, per rimanere al suo posto dove è ancora in attesa di ricevere l'incarico dal presidente Reuven Rivlin di avviare le consultazioni per la formazione del nuovo esecutivo. Ha tempo fino al 17 marzo, la stessa data nella quale al tribunale di Gerusalemme inizierà il processo dove è accusato di corruzione, frode e abuso di potere; un curriculum completo per il leader sionista imperialista.
Il lungo duello elettorale tra le due coalizioni senza esito definitivo per la formazione di un governo, da quelle del 9 aprile 2019 a quelle del 17 settembre 2019 e al 2 marzo ha avuto fra gli effetti quello di richiamare alle urne un numero sempre maggiore di elettori; l'ultimo dato è di quasi 4,6 milioni pari al 71%, la più alta affluenza dal 1999. La diserzione dalle urne è scesa dal 32,1% del corpo elettorale di aprile al 30,6% di settembre, al pur sempre significativo livello del 29% del 2 marzo. Più alta la diserzione dalle urne da parte degli elettori arabi, che sono circa un quinto dell'intero corpo elettorale, scesa al 35,3% dal 50,8% di settembre, quando i quattro partiti della lista araba unita si erano presentati divisi, e dal 40,8% di aprile.
I dati della Commissione elettorale, in attesa della ratifica ufficiale, assegnano al Likud 36 seggi, 4 in più rispetto a settembre; 9 seggi sono andati al partito dei religiosi ortodossi sefarditi Shas, 7 seggi al partito askenazita Torah Unita, e 6 seggi a Yamina, la destra laico-religiosa guidata dal ministro della Difesa Naftali Bennett, per un totale di 58 seggi alla coalizione governativa.
Il Bianco e Blu di Gantz ha mantenuto i 33 seggi conquistati a settembre ma ha dovuto cedere il primato al Likud. D'altra parte ciò che differenzia la formazione guidata da un gruppo di ex capi di Stato maggiore e ministri della Difesa dalla politica del governo riguarda sostanzialmente l'opposizione a una alleanza con le forze religiose della destra sionista, quella su cui si regge Netanyahu. Alla fine del 2018 Gantz dette vita alla sua formazione assicurando un “cambiamento”, un “nuovo corso” per Israele e si riferiva al promuovere la “serenità sociale” tra ebrei laici e religiosi. Nessuna divergenza con la politica antipalestinese e antiiraniana, tanto dal condividere il Piano Trump.
L’alleanza tra i Laburisti dell’ex sindacalista Amir Peretz, Gesher, un piccolo partito della destra sociale guidato da Orli Levi-Abekasis e Meretz ha ottenuto 7 seggi, uno in più del settembre scorso quando all'alleanza però era formata solo dai primi due. Meretz era l’unico partito sionista che ancora un anno fa chiedeva la fine dell’occupazione militare dei Territori palestinesi. La coalizione dei tre partiti ha centrato la campagna elettorale sui temi sociali, le battaglie per l’ambiente, i diritti civili e i diritti della comunità Lgbt mettendo in secondi piano i diritti dei palestinesi. Una scelta sbagliata per la coalizione di “centro-sinistra” che resta ai minimi termini e non recupera i voti persi lo scorso anno a destra verso Blu e Bianco e a sinistra a favore della Lista araba unita.
La Lista araba unita ha ottenuto 16 seggi, tre in più di quelli che già aveva alla Knesset. La lista è formata da quattro partiti: Hadash guidato dal leader della coalizione Ayman Odeh e del quale fa parte il Partito comunista revisionista di Israele, Ta’al di Ahmad Tibi, l’islamista moderato Ra’am e il nazionalista progressista Balad. Balad è la formazione che sostiene la soluzione di un unico Stato binazionale. Si era ritirata dalla coalizione tra l'altro opponendosi alla posizione avanzata nei mesi scorsi da Odeh che aveva aperto a una alleanza con Gantz in funzione anti-Netanyahu se avesse almeno accettato la cancellazione della legge che proclama Israele lo Stato degli ebrei. Offerta respinta da Blu e Bianco ma che era un salto dalla padella alla brace sionista.
Fra le formazioni minori resta Israel Beytenu di Avigdor Lieberman che perde consensi e un seggio, scendendo a 7 che consentono all'ex ministro della Difesa di restare l'ago della bilancia tra i due raggruppamenti sionisti; una posizione che mantiene da tre tornate elettorale e a dire il vero finora inutile.
Netanyahu senza attendere l'ufficializzazione dei risultati, già la sera del 2 marzo, quando sembrava che la sua coalizione fosse a un passo dal conquistare la maggioranza, aveva esultato per il “successo gigantesco”, ossia il controsorpasso sulla coalizione di Gantz rispetto al voto di settembre. Un risultato ottenuto tra l'altro grazie anche alla pesante sponsorizzazione derivata dalla presentazione del “Piano del secolo” che ha concordato col suo protettore, il presidente americano Donald Trump. Su quella base che era stata la sua piattaforma elettorale Netanyahu prometteva di “normalizzare le relazioni con i paesi arabi e islamici, oltre a firmare un’alleanza di difesa con gli Stati Uniti ed eliminare la minaccia iraniana”. “Abbiamo vinto per aver trasformato Israele in questi dieci anni (sotto il suo governo, ndr) in una superpotenza a tutti i livelli: politico, diplomatico, economico”, aggiungeva assicurando di voler procedere al più presto all’annessione a Israele della Valle del Giordano e delle colonie ebraiche in Cisgiordania, come prevede il Piano Trump. Se riuscirà a formare il nuovo governo.
Insomma siamo sostanzialmente allo stesso punto dello scorso settembre e vale quindi lo stesso commento alla tornata elettorale quando osservavamo che la scena politica di Tel Aviv è occupata da formazioni di destra, ultradestra e di integralisti ebrei che hanno proseguito la politica imperialista e egemone locale costruita sulla negazione dei diritti del popolo palestinese, sulla creazione di uno Stato su base religiosa e razzista verso la minoranza araba ma spacciato come l'unica “democrazia” del Medio Oriente e che continua illegalmente a allargarsi con le colonie nei territori della Cisgiordania; su una politica di costante aggressione verso i paesi vicini a partire da Siria e Libano e di occupazione di loro territori grazie all'alleanza di ferro con l'imperialismo americano per tenere il mirino puntato anche contro l'Iran; sulla complicità oramai palese di paesi arabi reazionari come l'Arabia Saudita e l'avallo di fatto dell'imperialismo europeo, da Bruxelles a Londra, da Parigi a Roma. Le direttrici su cui si muoverà anche il prossimo governo.
11 marzo 2020